di Andrea Forlani | Foto di Andrea Forlani
Abitata da millenni, contesa da inglesi, francesi e spagnoli, l’isola delle Baleari è rimasta selvaggia e agricola. Il luogo ideale per chi cerca sapori, mare e tranquillità
Le cronache dell’epoca non abbondano di particolari, ma è lecito supporre che, il giorno in cui gli Dei si ritrovarono intorno a un tavolo per discutere il dossier Minorca, fossero particolarmente ben disposti. Assegnarono alla più settentrionale delle isole Baleari un’esagerazione di spiagge, la sabbia avrebbe avuto i colori dell’oro e del latte, il mare riflessi cobalto e turchesi. Per non farle mancare nulla cosparsero l’isola di scogliere, pinete e lagune; nel mezzo avrebbe trovato posto il punto più alto, i 357 metri del monte Toro.
Il risultato fu un tale capolavoro che nel 1993 a Minorca venne assegnato il titolo di Riserva della Biosfera dall’Unesco. Per aggiungere un tocco di mistero tra l’età del bronzo e quella del ferro gli Dei decisero di insediare sull’isola la civiltà talaiotica, i cui resti, sotto forma di costruzioni megalitiche – i talaiot – punteggiano tutta l’isola; imperdibili i siti archeologici di Torre d’en Galmés, una vera e propria città fondata nel 1400 a.C., e la Naveta d’Es Tudons, impressionante edificio funerario in uso dal 1200 al 750 a.C. Gli Dei, sempre loro, decisero poi che alla fine della storia l’isola sarebbe sì stata spagnola – non prima di millenni di contese con saraceni, inglesi e francesi – ma la collocarono a una giusta distanza dalla Francia e... a un’ora di volo da Milano. In altre parole: il paradiso dietro casa. E dire che fino a non tantissimi anni fa Minorca era sinonimo d’industria, artigianato e agricoltura, non certo di vacanze. Il segno più visibile di quell’epoca sono le avarcas (o menorquinas, come le battezzarono i primi turisti francesi), sandali tradizionali in pelle con un copertone a far da suola, in vendita ovunque ancora oggi e gettonatissimi tra minorchini e non.
Ci sono mille modi per esplorare l’isola, che misura una cinquantina di chilometri: auto, moto, scooter, bicicletta, taxi d’acqua... ma a piedi è meglio. Merito del Camí de Cavalls, sentiero medievale nato per il pattugliamento a cavallo della costa e splendidamente riadattato a scopo turistico. Sono 185 chilometri di sentieri ben segnalati da percorrere a piedi, suddivisi in venti tappe panoramiche, alcune, specie a nord, più estreme e impervie, altre – a sud – piane e tra le pinete. Per chi ne gradisse un assaggio, il consiglio è di mettersi in marcia dal villaggio di Es Grau e procedere in senso antiorario nei meandri del rigoglioso Parco Naturale S’Albufera des Grau, rifugio per quasi cento specie di pennuti (se avete un binocolo portatelo) e di impassibili tartarughe. A dare asilo a cavalli, asini e muli ci pensa invece Samantha Lake nel suo Trebaluger Equine Rescue Centre, dove hanno trovato casa e una nuova vita Sanson, Casper, Liana e almeno un’altra ventina di quadrupedi minorchini (da sempre il cavallo è il fulcro della cultura locale) abbandonati.
Il panorama costiero di Minorca è abbellito da sette fari degni di un dipinto di Edward Hopper. Quelli da non perdere sono due, entrambi incastonati sulle scogliere da film del versante nord: Favàritx, costruito nel 1916 con 33 metri d’altezza, e Cap de Cavalleria, il più antico dell’isola, innalzato nel 1857. Arrivarci al tramonto è uno spettacolo da immortalare, ma una gita da queste parti è un trionfo a qualsiasi ora. Tanto più che Cap de Cavalleria ha come corredo una spiaggia dorata ad altissimo tasso di godimento balneare. E se non son fari sono torri – lasciate in eredità da inglesi e spagnoli – a presidiare la costa e i suoi insediamenti. La robusta torre di Fornells, villaggio di pescatori adagiato all’imboccatura di un fiordo profondo, è a ragione la più fotografata: è opera degli inglesi, che la eressero all’inizio del XVIII secolo per presidiare l’entrata del porto e proteggere l’adiacente castello di Sant Antoni, di cui rimane ben poco. Sempre a Fornells fanno base gli Indiana Jones di Jeep Safari Menorca, un manipolo di guide con un debole per la guida fuori strada. Sui loro 4x4 si viaggia tra canyon, boschi e sterrati all’interno dell’isola normalmente inaccessibili, e si parcheggia in fattoria per due fette di pane e sobrasada, sfiziosa cugina non piccante (il rosso è dato dalla paprika) della ‘nduja calabrese. Il gradino più alto nel podio della dispensa minorchina va però a un quadrato di formaggio noto ai gourmand come Mahón-Menorca Dop: latte bovino e tre stagionature diverse, merito dei 5.000 anni di esperienza alle spalle (lo dicono i reperti archeologici) dei formaggiai locali. Sul versante più dolce vince a mani basse un serpentello – a base di farina e strutto – arrotolato su se stesso e spruzzato di zucchero a velo che di nome fa enseimada. Spesso e volentieri si presenta in policrome confezioni ottagonali simili a cappelliere, ideali da mettere in valigia per portarle a casa.
E poteva un’isola come Minorca non richiamare naviganti, sognatori e nomadi digitali da tutta Europa? Francesi e britannici guidano il gruppo degli espatriati, ma la pattuglia italiana è brillante e variegata: artisti, imprenditori, pizzaioli, gelatai, agricoltori... tutti innamorati persi della meno battuta delle Baleari. Voce narrante di questa Little Italy in salsa minorchina è Gloria Vanni, giornalista con una passione per l’ospitalità. Dopo una vita trascorsa a Milano nel 2017 decide di cambiare aria: «Volevo una diversa qualità della vita, in mezzo alla natura e con un’idea di rispetto per gli altri difficile da trovare in una grande città». Risultato? Casa Bonita, il suo appartato ed elegante b&b immerso nel verde di Trebaluger, equamente vicino alla capitale, Mahon (in catalano Maó), e alle onde del Mediterraneo. Quando non impegnata a coccolare gli ospiti o il suo border collie Timo, la trovate dietro la tastiera ad aggiornare il suo blog o magari, la sera, seduta al Teatre Principal de Maó, una Scala in formato mignon costruita dall’architetto italiano Giovanni Palagi nel 1829. Lastricata di vicoli, viuzze e piazzette, la capitale prese forma attorno al suo porto naturale oltre duemila anni fa. Le mura, i monumenti e i palazzi che la popolano ben raccontano la storia millenaria della città, ma per chi volesse approfondire l’appuntamento è al Museu de Menorca.
Quello con l’aperitivo è invece al Mercat des Peix, dove la vita è un mulinare di tapas e drink. All’altro capo dell’isola svetta il campanile della cattedrale gotica di Ciutadella, città fenicia e capitale dell’isola fino all’arrivo degli inglesi nel 1708. Nasce qui uno dei più spettacolari eventi delle Baleari, la tradizionale Festa di San Giovanni, che si tiene il 23 giugno: protagonisti i cavalli neri di razza minorchina e i loro cavalieri, impegnati in sfilate e prove d’abilità. Il centro storico pedonale, farcito di botteghe, locali e ristoranti, calamita i visitatori che si riversano nelle strette carrers, a passeggio fino al calar del sole. A quel punto i “tramontisti” si trasferiscono sull’adiacente scogliera di Pont d’en Gil, arco di roccia a picco sul mare che si staglia sulla notte rosa di Minorca. Un posto oggettivamente divino.