di Clelia Arduini | Foto di Fabrizio Borelli
Tra Perugia e il lago Trasimeno, nei luoghi di Gerardo Dottori, “aeropittore” futurista che portò la modernità nelle pievi più isolate
«Mo vedemo come c’arduce la Madonna...». Così dicevano tra loro i parrocchiani di Montecolognola, facendo capolino nel portone della chiesa della Ss. Annunziata, mentre spiavano quel pittore dai radi capelli brizzolati a cui il parroco don Giuseppe Aureli aveva dato l’incarico di adibire l’antica sacrestia a cappella dedicata a Santa Lucia e di decorarla. Era la primavera del 1949 e il lago Trasimeno – su cui svettava con la sua cinta muraria questa frazione del Comune di Magione, in provincia di Perugia – brillava come non mai catturando dal cielo tutte le sfumature dell’azzurro, del celeste e del turchese. Le stesse che quell’artista perugino silenzioso e schivo, che si chiamava Gerardo Dottori, utilizzò per il suo murale a secco: la cifra inconfondibile del suo stile e dell’arte sacra futurista di cui fu uno dei pionieri, tanto da venir definito dai suoi colleghi “futurista mistico”. Del resto, la sacralità della natura umbra e la morbidezza del territorio non potevano passare inosservate agli occhi “di un perugino a quattro passi da Assisi, di una terra dove i Santi sono germinati come i fiori del prato”, come scrisse nel 1950 il giornalista perugino Virgilio Coletti. «I fedeli, prima scettici, rimasero incantati da quella pittura – racconta don Stefano Orsini, parroco della Ss. Annunziata, sulla scorta dei ricordi dei suoi predecessori – alcuni si commossero per le morbide linee del velo della Madonna, che ricordava la superficie del lago, e vollero parlare con il maestro per stringergli le mani. E quando, dopo una ventina di anni, lui tornò per “rinfrescare” la cappella, fu festa grande per il paese».
Questo “mondo piccolo” – per dirla alla Guareschi – di colori, di luce, di liquide increspature, fu magnifico scenario per l’artista che vi operò negli anni successivi alla Seconda guerra mondiale, periodo in cui si ritrovò in condizioni di povertà, ripudiato dalla collettività che lo associava all’ideologia fascista a cui tutti i futuristi avevano aderito e che aveva portato il paese al disastro bellico. “Povero fino al punto di non saper quasi cosa mangiare (come si legge nel libro di Franco Prevignano Perugia nascosta, Futura edizione, 2019) ogni mattina saliva a bordo del suo motorino con una scatola di pennelli e di barattoli di vernice, si metteva in moto e girava i vari paesi della zona del Trasimeno in cerca di qualche chiesa che avesse bisogno di una decorazione banale o anche di una mano di intonaco (…)”. Immalinconito e incanutito, Dottori bussava con discrezione alle canoniche mentre il “suo” lago con i colori del cielo e con le sfumature delle luce segnava le stagioni di quel tempo di ricostruzione e di cambiamenti, separando idealmente come uno spartiacque l’epoca in cui l’artista fu tra i firmatari del Futurismo italiano, fondato da Filippo Tommaso Marinetti nel 1909, e uno dei maggiori esponenti di quell’Aeropittura in cui aveva costruito uno spazio raffigurativo totalmente nuovo, come se il punto di vista fosse dall’alto di una montagna. «Le richieste di decorare chiese, palazzi pubblici e privati in effetti arrivarono numerose, specie da parte dei sacerdoti del territorio – spiega Andrea Baffoni, esperto di Futurismo e membro del Comitato scientifico dell’Archivio Gerardo Dottori di Perugia –, dandogli la possibilità di riabbracciare il linguaggio classico della tradizione umbra e di sperimentare una via più addolcita, rassicurante e mistica rispetto al suo tipico paesaggio aeropittorico». Nella frazione di Montesperello, a circa 6 chilometri da Montecolognola, il lago si mostra da lontano in un quadratino di azzurro, ma rimane sempre il nume tutelare del luogo. Qui, la chiesa di S. Cristoforo a ridosso delle mura del castello vive grazie alle cure di don Paolo Ianni, che schiude con delicatezza il portone ai fedeli e ai visitatori facendo entrare luce, aria e calore del Trasimeno negli scuri ambienti. L’abside si rianima così sotto la sferza di quella naturale energia mostrando un trittico dedicato al Santo protettore dei viaggiatori, realizzato da Dottori tra il 1948 e il 1949, che raffigura la Conversione del Santo, il Traghetto di Gesù e il Martirio del Santo. Un’altra pittura murale a secco che fu inaugurata il 3 luglio 1949 con una grande festa. Pochi minuti e si è a Magione, sulla sponda orientale del Trasimeno, passato alla storia per la Dieta della Magione ai danni di Cesare Borgia, raccontata da Niccolò Machiavelli ne Il Principe.
Nella chiesa parrocchiale di S. Giovanni Battista, ecco ancora il “nostro” alle prese con diverse opere realizzate sempre fra il 1948 e il 1949, tra cui il Battesimo di Gesù nell’abside, l’Annunciazione nel transetto di destra, l’Apparizione di Gesù a Santa Margherita Maria Alacoque e una scenografica decorazione della cupola con al centro l’occhio azzurro del cielo o del lago. «Sono esempi di veduta a fish-eye (occhio di pesce) – spiega Baffoni – nei quali il paesaggio si dilata secondo il suo tipico stile, ma abbraccia una visione più mesta quale è quella del nuovo paesaggio moderno». Vale la pena “allungarsi” al Municipio dove, nella Sala del consiglio, si può ammirare un altro suo ciclo di affreschi, questa volta laico, dedicato al territorio, e la tavola che immortala l’incontro tra Fra’ Giovanni da Pian di Carpine e il Gran Khan dei Mongoli. A Tuoro sul Trasimeno, 22 chilometri più a nord, i tratti sinuosi e “nutriti di cielo” del maestro futurista trionfano ancora nella chiesa di S. Maria Maddalena, ricordando più che mai il profondo legame con la sua terra, l’Umbria, in cui sin dall’inizio della sua avventura avvertì l’esigenza “di far vivere nei luoghi più appartati e legati alla tradizione, lo spirito moderno delle avanguardie”.
Il monumento religioso, appena riaperto dopo lavori di consolidamento al tetto e di tinteggio, conserva nell’abside un fish-eye di 84 metri quadrati, che avvolge l’osservatore immergendolo nel suo azzurro. Un murale che, intrapreso sempre tra il 1948-49 per volontà del parroco dell’epoca don Antonio Milli, Dottori definì il proprio capolavoro. «La scena all’interno di una casa rappresenta la Maddalena – descrive Rubina Perugini, architetto e “cultrice della materia” – che carponi lava, anche con le lacrime, i piedi del Cristo, asciugandoli poi con i suoi capelli. Ma al posto delle mura della stanza, Dottori rappresenta il suo amato paesaggio umbro, con il suo lago, le sue colline, caratterizzato dalle velature e dalla distorsione geometrica tipica della sua pittura. Le tre vetrate dell’abside, sottostanti all’affresco, sono invece opere di don Nello Palloni, di cui Dottori fu maestro». «Il consolidamento della chiesa – aggiunge il giornalista Umberto Benini –, favorirà una migliore custodia della pittura, che però non ha subito interventi conservativi dopo quelli degli anni Novanta, commissionati dal parroco di allora, don Aldo Gattobigio. Prima o poi bisognerà intervenire nuovamente per continuare a preservare quest’opera d’arte e di fede». Custodire e promuovere il capitale artistico del “futurista mistico” umbro è oggi un imperativo categorico delle istituzioni, anche perché molto si è perso della produzione di quegli anni sul lago quando il maestro regalava ai sacerdoti del territorio cartoni e tavole di compensato decorate. «Una volta – svela con tenerezza l’artista Giuliano Giuman, suo allievo e per tre anni direttore dell’Accademia di Belle Arti di Perugia – mi raccontò che, invitato da un contadino a bere in casa sua un bicchiere di vino, si accorse che l’uomo usava una tavoletta da lui dipinta per sventolare il fuoco. “E questa come l’hai avuta?” Gli chiese stupito. E il contadino, facendo spallucce, rispose: “L’ho vinta alla lotteria della parrocchia”». Con la cultura si mangia e ci si riscalda, avrebbe aggiunto “futuristicamente” Dottori.