Cagliari. La mia città talismano

Rita MachiavelliRita MachiavelliMaki GalimbertiRita MachiavelliRita MachiavelliRita Machiavelli

I luoghi e gli angoli segreti del capoluogo sardo che ispirano lo scrittore ventenne Matteo Porru. E che ha già vinto un premio Campiello Giovani

Il giovane scrittore Matteo Porru riflette a lungo prima di scrivere un libro. Seduto sulle scale di una chiesa o davanti al mare, o sul bastione di Santa Caterina mentre guarda il sole che tramonta come nel caso di Madre Ombra, il suo romanzo più famoso, anche se è con Talismani che ha vinto il Campiello Giovani di due anni fa, a diciotto anni e con il liceo da terminare. Romano di nascita e veneziano per parte di madre, già grande viaggiatore nonostante l’età, Porru adora Cagliari che fa parte del suo bagaglio identitario, fonte di ispirazione per i romanzi e per la vita. «In realtà l’ho scoperta soltanto sei anni fa, in prima superiore. Fino ad allora la mia vita era stata, per una serie di motivi, molto ritirata, poi di colpo mi sono guardato intorno e ho scoperto che intorno a me c’era un mondo meraviglioso, e che quel mondo era rappresentato da Cagliari». Per la città si aggira con viaggi fisici e interiori, lunghe immersioni che partono da un panorama per addentrarsi in un percorso più complesso e diventano consolazione, riflessione e conoscenza. Ed è così che accetta di guidarci alla scoperta di quel capoluogo che oltre al mare è anche parchi, struscio e allegria, piazzette-simbolo e memoria storica. Proprio dal bastione in cui è nato Madre Ombra ha deciso di partire per il nostro tour: una gigantesca terrazza nel cuore del quartiere medioevale di Castello, un tempo circondata da mura e dunque con funzione difensiva e oggi punto panoramico tra i più suggestivi. «Ci vado soprattutto al tramonto», spiega Matteo. «È bellissimo vedere il colore del cielo che cambia in un attimo e si spegne piano piano».

«La frase “Il tramonto è un bruciare di nuvole” che compare nel romanzo l’ho scritta guardando quello spettacolo». Intorno, le stradine strette e a saliscendi su cui si affacciano palazzi signorili e antiche case popolari e in cui Matteo passeggia spesso, ripercorrendo le atmosfere descritte dalla scrittrice e amica Ilenia Zedda nel suo bellissimo racconto Anna. Sotto il bastione, in lontananza, il porto e il mare, punti nevralgici della città e luoghi di elezione del giovane scrittore. Una piacevole passeggiata tutta in discesa conduce alla Calata dei Trinitari, il tratto di “lungoporto” in fase di restyling che per Porru rappresenta il mare, e la pace che quell’elemento porta con sé. «La barca della mia famiglia è ancorata proprio lì ed è da quell’ormeggio che mio padre e io siamo partiti mille volte per andare a pesca. Ci svegliamo alle cinque del mattino e ogni volta l’emozione è indescrivibile». Per Matteo il mare è quello che conosci in barca, il rumore delle onde che si alternano, e sbattono sull’acqua. Tant’è che se gli chiedi «E il Poetto?» (la lunga spiaggia di Cagliari che parte dalla città) ti risponde che lo ama moltissimo ma che il mare è un’altra cosa. «E infatti in quella spiaggia più che i cagliaritani vanno parecchi turisti e senti molti accenti oltre a quello sardo». Se però ti spingi fino ai chioschetti che costellano la spiaggia eccoli, i “casteddai” doc, a bere l’aperitivo seduti ai tavoli sulla sabbia e di cui Porru è assiduo frequentatore. «Ci vado per incontri di lavoro, per presentazioni di libri ma soprattutto per bere con gli amici uno spritz, avendo molta cura di scegliere il più analcolico». Un nome da consigliare? «No, vado in tutti indistintamente e in tutti mi trovo come a casa». Non solo mare, però, né solo spiaggia. Lo stagno di Molentargius è un’altra delle attrazioni che lo scrittore ci consiglia. Il grande parco nato sulle saline dismesse di cui conserva tracce architettoniche è sede di habitat di piante e animali, in particolare i fenicotteri rosa che a Matteo basta affacciarsi alla finestra per vedere, dato che la sua casa si trova nel Quartiere del Sole, zona residenziale a metà strada tra il Poetto e Sant’Elia.

«Da quell’osservatorio, lo stagno è una straordinaria distesa rosa e lo spettacolo è davvero mozzafiato. Credo che il fenicottero sia l’animale più elegante al mondo, più ancora del cigno». È per vederli da vicino ma anche per respirare l’atmosfera di quel luogo che Porru ci si spinge spesso e ne percorre i sentieri. «Mi piace la natura, ne ho bisogno. E Cagliari ne regala parecchia. Prendi per esempio Monte Urpinu, proprio nel cuore della città». Un monte a Cagliari? Non proprio. Il nome esagerato si riferisce a una collina alta sì e no cento metri, su cui Matteo racconta un episodio esilarante. «Alle elementari ci avevano insegnato che i monti arrivano a una altezza tot, le colline possono raggiungere seicento metri e infine c’è la pianura che non supera i duecento. E qualcuno di noi aveva chiesto alla maestra: “E Monte Urpinu?”. E lei, drastica: “Monte Urpinu è Monte Urpinu”». Che sia collina o no, quel posto regala grandi suggestioni. «Vedere i pavoni che ci abitano è sempre una emozione. E poi ci sono le volpi e un’enorme varietà di piante come il pino d’Aleppo, il carrubo e il leccio». Intorno le villette del quartiere residenziale con lo stesso nome, e a poche centinaia di metri le architetture ottocentesche del centro, le strade dei bar, la gente che passeggia, le zone dei negozi come via Garibaldi e via Manno: due strade in successione che dalla piazzetta sotto il bastione di Saint Remy portano alla frequentatissima piazza Yenne e insieme a questa rappresentano il vero centro in cui Porru passa molta parte delle sue giornate a camminare. «Via Manno è il vero asse portante di Cagliari, mentre via Garibaldi è la sua prosecuzione ideale. Stanno a Cagliari come piazza del Duomo sta a Milano e piazza San Marco a Venezia e ci passano proprio tutti, sono la zona più trasversale e interclassista. Per me sono continua fonte di ispirazione perché mi permettono di osservare una quantità di tipi umani incredibile e di entrare o meglio immaginare le vite degli altri». Per inciso, è proprio in via Garibaldi che ha incontrato per la prima volta la scrittrice Valeria Usala che è poi diventata una delle sue migliori amiche. «Ci eravamo dati appuntamento in via Garibaldi e poi ci siamo messi a passeggiare e a raccontarci le nostre vite. Da quel momento è nato un legame che si è consolidato con il tempo e sono diventato un suo grande estimatore, per esempio ho trovato divino il suo romanzo La rinnegata ambientato a Lolai, paese di fantasia».

Percorrendo fino alla fine via Manno, ecco piazza Yenne, un altro punto topico: spiazzo non troppo grande e molto “semplice” ma vitale. «è una piazza vuota e piena, un posto evocativo. Vuota perché a eccezione della statua del re Carlo Felice non c’è niente, soltanto auto che sfrecciano intorno e gente che passa. E piena per la miriade di tavolini dei numerosi bar che ne coprono un intero lato e per le moltissime persone che la attraversano. A Cagliari non esiste un luogo di aggregazione per gli scrittori e gli artisti, però ci sono alcuni punti che rappresentano un punto di riferimento anche per loro, per noi. Non so quante decine, centinaia di aperitivi avrò consumato in quei bar». Un altro luogo eletto per il giovane scrittore anche se di tutt’altro genere è il liceo classico Dettori che ha frequentato fino a due anni fa, situato nella moderna e concitata zona del Tribunale. Non proprio una bellezza architettonica – una struttura in cemento armato in stile eclettico realizzata negli anni Trenta e rimodellata nel dopoguerra – ma Porru le è così legato che salva anche quella. «Sai che è praticamente uguale al liceo classico di Mestre?». Il mitico Dettori, d’altronde, istituto di prestigio, è iconico per i cagliaritani che l’hanno frequentato e non solo per Porru. «Ci ho passato gli anni formativi della mia vita ed è lì che sono diventato la persona che vedi. è un posto che mi ha dato tanto e che non è mai uscito dalla mia vita, tant’è che ci torno spesso a salutare i miei ex professori, alcuni dei quali sono diventati carissimi amici». Se è vero che a chi non è del posto quell’edificio dice poco, non si può dire lo stesso per il Caffè Valentina che si apre lì vicino: frequentato da cagliaritani di ogni tipo e soprattutto crocevia di giovani delle vicine scuole e di avvocati e magistrati del Palazzo di Giustizia, il monumentale edificio nacque negli anni Trenta in pietra di Serrenti su progetto di Domenico Dettori. «Credo di aver bevuto, in quel locale, caffè e spremute d’arancio con mezza città», ride Porru. «Perché in quel bar vanno davvero tutti. Non solo per la qualità eccellente dei prodotti (per inciso, il mio preferito è il muffin senza glutine) ma soprattutto perché è un locale antinevrosi. Nei pochi minuti che impieghi a bere il tuo caffè stacchi da tutto. Merito del titolare Giorgio e della sua famiglia, che hanno saputo fare di quel posto una piccola oasi».

Per chiudere l’itinerario bisogna spostarsi di poche centinaia di metri. E cioè percorrere il tratto di via Dante che porta verso la zona orientale della città fino a incrociare, sulla sinistra, quel simbolo maestoso che è la basilica di Bonaria: un grande complesso che comprende tra le altre cose la basilica neoclassica del XVIII secolo e il cimitero-parco. A impressionare ogni volta Matteo non è soltanto la grande scalinata che porta alla chiesa, «in una sorta di cammino di elevazione che simboleggia il processo di fede, anche per chi non è religioso». Né la prospettiva speculare della basilica che vede il mare e da cui si vede il mare. è, soprattutto, il ricordo molto vivido di un momento che ha segnato nella sua esistenza un prima e un dopo, una sorta di fine dell’innocenza. Quello in cui, dopo l’esame di maturità e dopo un breve intervento a cui si era dovuto sottoporre, si era fermato davanti alla basilica, in auto con la sua migliore amica e compagna di scuola Francesca e guardandola al volante, e guardando se stesso aveva capito che una stagione era finita e che da lì non si tornava indietro. Che il tempo non lo puoi fermare, e che non ti fa sconti.

Illustrazioni Rita Machiavelli, Foto Maki Galimberti
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