Percorso d'autore. Primavera in verde

Il Vulture nella primavera post Covid nel racconto di Franco Arminio

Mi pare un miracolo il verde che è spuntato dai rami in pochi giorni e quello che si stende per terra e copre tutto, lascia scoperte solo le strade, circonda i paesi, li assalta dove sono vuoti. È una sensazione che conosco, che si rinnova ogni anno, ma oggi sono andato nel Vulture dopo mesi che stavo fermo al mio paese. E l’inverno al mio paese è finito proprio ieri, per cui nel viaggio di oggi il verde era clamoroso e la strada che mi portava verso Monticchio mi appariva commovente anche se non ha niente di speciale. Poche macchine e gli alberi che ti fanno vedere solo altri alberi, il verde come barricata, la sensazione che quando l’economia rallenta le radici riprendono fiato. Non vedo cemento nuovo e questo rallegra il mio viaggio. Sbaglio strada ma sono contento, oggi la luce mi tiene nel palmo della sua mano, la tristezza che mi sentivo stampata sulla faccia fino a ieri pare sia andata via e così anche il fastidio alla pancia: mi sta curando il paesaggio, mi ha già curato. E quando arrivo a Barile mi fa piacere comprare il vino e guardare la zona delle cantine. Faccio un giro a piedi. Il verde ha decretato che è festa, ogni giorno di maggio dovrebbe essere festa nazionale. Barile, come molti paesi della zona, ogni tanto ha qualche palazzo fuori misura, sono reliquie degli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso, testimonianze della modernità che voleva alzarsi, mettersi in mostra. La cultura del luogo, le case più basse, gli alberi, le facce delle persone, si può dire che hanno resistito a questo tentativo di dare una nuova forma ai paesi. E la sensazione è chiarissima nel vedere Ripacandida da lontano. Vado ad ammirare la chiesa di S. Donato, una chiesa tutta affrescata. Intanto vedo sul colle un paese dall’aria dolce, un paese che prende la sua grazia dal verde che gli sta sotto e dal cielo che gli sta sopra.

Ci sono giornate in cui tutto quello che è sotto la luce del sole appare in uno stato di grazia. Perfino alcuni quarantenni che parlano delle Juve mi sembrano ispirati. Li ho sentiti prima di entrare nella chiesa e anche dopo. L’argomento è sempre lo stesso, eppure in questo parlare di calcio io ci vedo solo una vernice, sento che sono nel piacere di stare assieme, non hanno ambizioni clamorose per questa loro mattinata e va benissimo la Juve per aiutare il tempo ad andare avanti e arrivare all’ora di pranzo. Io intanto ho visto la chiesa, ho fatto qualche foto agli affreschi. È più piccola, ma somiglia molto alla chiesa di S. Caterina a Galatina. C’è stato un tempo in cui nei paesi si facevano cose grandi. Sarebbe ora di riprendere a farle adesso. Intanto sono arrivato in uno dei paesi più grandi tra quelli che stanno sotto il Vulture. Anche a Rionero i palazzi dello sfregio sembrano precocemente invecchiati. Non punto al centro, cerco una cantina di cui mi hanno parlato assai bene. Prendo del vino anche qui. Oggi il consumismo mi pare felice, entro con piacere anche in un negozio tutto dedicato al caffè e poi in uno dove compro una lampada a forma di libro. Si sente che veniamo tutti da un lungo inverno, con o senza divieti, ogni corpo sembra si sia portato fuori dalla mestizia dei mesi scorsi, è come se gli alberi avessero deciso di fiorire anche dentro di noi, siamo pieni di foglie, gli alberi ci stanno aiutando a rialzarci, il verde guida la riscossa.

Mi faccio un panino e decido che lo spazio buono per andare a mangiare è il bordo del lago di Monticchio. Ci arrivo da Rionero ed è bello che appena finiscono le case del paese il Vulture mi prende in consegna, mi porta nella sua atmosfera e poi mi adagia nel cratere pieno d’acqua, un lago circondato da un muro d’alberi. Non c’è nessuno. Un signore che vende panini e souvenir mi racconta un po' di cose. C’è tempo anche per vedere un tronco a terra e la lapide di chi aveva provato a tagliarlo. Mentre mangio penso che al mio paese negli anni Settanta: Monticchio era il luogo dove facevano i matrimoni le famiglie più ambiziose. E se veniva un parente dall’America lo portavi qui, ignorando che il paesaggio americano certo non è privo di luoghi come Monticchio. Sarebbe stato più interessante portarli a Matera, ma allora i Sassi erano davvero considerati solo dei sassi miseri e polverosi e non ci andava nessuno. Oggi comunque Monticchio è un posto meraviglioso. Il verde e il silenzio. Non ci sono turisti, il cielo si è liberato delle sue nuvole. Camminare intorno al lago è un esercizio che può guarire qualunque trauma. Monticchio, a parte le domeniche, è turismo terapeutico. Ottimo anche il caffè con la crema di castagne. Da queste parti si mangia bene. L’Aglianico del Vulture è accompagnato da salumi e formaggi buonissimi, pur senza avere una fama particolare. Riprendo il cammino verso altri paesi. Dopo il lago voglio vedere il fiume e mi fermo per un poco sulla riva dell’Ofanto.

Impigliata tra i rami sento un’aria ottocentesca. Non mi aspetto molto dal resto della giornata. E invece la strada verso Ruvo del Monte a un certo punto mi regala scorci di paesaggio strepitosi. Ci arrivo perché ho di nuovo sbagliato strada. In Lucania non è difficile sbagliare strada, ma a maggio non esistono errori. Più ti allontani dalle vie principali e più trovi spazi per emozionarti. Ecco un campo di grano grande come un campo di calcio con gli alberi intorno che sembrano una folla di spettatori. La foto è obbligata. E subito dopo i pilastri in cemento decaduto di una masseria che non c’è più fanno pensare a un piccolo tempio rurale. È talmente scintillante il verde che c’è sotto da portare bellezza a tutto quello che spunta in questo paesaggio. Arrivo a Ruvo e capisco che anche qui c’è la logica delle case alte, le case di quando questi paesi volevano diventare moderni. Invece che la piazza scelgo ancora una strada che entra nella campagna. All’improvviso spunta una vacca podolica, una sola. Foto anche per lei e nessun problema che la strada è interrotta da massi di cemento per un ponte pericolante. Ritorno al paese e scendo sulla via principale da un’altra parte. Mi aspetta Rapone, anzi non mi aspetta nessuno, sto in giro solo perché c’è ancora il sole ben alto nel cielo e fino a quando il sole cade sulle cose oggi è solo grazia.

Ora sono lontano dal Vulture. Mi sono ricordato che volevo andare a Melfi per rivedere il castello e il museo archeologico, invece ho passato il giorno a sbagliare strada e a navigare nel verde. Il mio non era un viaggio da turista, in Lucania non ti senti mai turista. Sei qui e ti senti un privilegiato, il posto è tutto per te, non vedi folle da nessuna parte, quello che vedi è tutto per te e per pochi altri. Accade così anche sei vai a Venosa e poi a Irsina o più giù nella montagna materana e poi verso il mare. Tra le tante fortune della mia vita c’è quella di abitare vicino alla Lucania, di poterci passare dentro senza avere bisogno di grandi appuntamenti. Il Vulture sembra quasi non badare al tuo arrivo. Ti prendi quello che ti vuoi prendere. Qui non c’è nessun obbligo e nessuna invadenza. Si può vedere una bellezza senza firme e senza confezione, ma questo non deve far scordare che ci sono monumenti di grande interesse, a cominciare dal complesso della Santissima Trinità a Venosa, con la chiesa antica e la chiesa nuova che è rimasta incompiuta.

È un luogo che da solo vale il viaggio da queste parti. Poi c’è il castello di Melfi, già magnifico di suo, che all’interno contiene il sarcofago di Rapolla, una delle meraviglie assolute dell’archeologia europea. Insomma, l’impero del verde non deve far dimenticare che qui Federico II emanò le costituzioni del suo impero. Il Vulture è un posto prezioso, ma sembra quasi che non voglia farsi notare. Sembra aver fatto suo più il “vivi nascosto” di Epicuro che il “carpe diem” di Orazio, grande poeta di questa terra

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