Riscopriamo la geografia. Afghanistan la nuova cartografia

Che succederà nel Paese asiatico?

Rimarranno per sempre impresse nella mente di tutti noi le scene di disperazione dell’aeroporto di Kabul. E ora? Dopo la compassione per la gente che soffre, dopo la rivendicazione dei diritti – del popolo, delle donne – la geopolitica disegna la sua nuova cartografia afghana. Con un aspetto interno e uno internazionale. Visto dall’interno, lo scenario afghano ci dice che la guerra non è finita. Semmai, è finito un tipo di guerra, con un altro che va a sostituirlo. Anzi, è virtualmente già in corso. Si tratta del conflitto che oppone tradizionalmente i talebani ai mujiaheddin etnici e regionali. Lo stesso giorno in cui Kabul è caduta, Ahmad Massud, il figlio del celebre comandante tagiko Ahmad Shah, il “Leone del Panjshir“, ha chiamato alle armi la sua gente del Nord e dell’Ovest.

Altri comandanti si accingono a organizzare la resistenza armata. I gruppi etnici, tribali e clanici, compresi i Pashtun del Sud, sono in allerta. Lo stesso si dica delle minoranze sciite del centro del Paese, che possono contare sul supporto iraniano. Insomma, i talebani non avranno vita facile e il governo jihadista di Kabul non può essere certo inteso come il governo di tutto l’Afghanistan. Altrettanto complessi sono gli scenari geografici internazionali. Intanto, la coalizione armata che fugge da Kabul – Stati Uniti in testa – sta abbandonando il territorio, ma non i suoi interessi, né le sue visioni geostrategiche. Ma nuovi attori si profilano. Prima di tutto, la cerchia degli Stati confinanti: repubbliche centro-asiatiche a Nord (Tagikistan, Uzbekistan, Turkmenistan), quindi Pakistan, Iran e, naturalmente, Cina. Che però si appresta a svolgere un ruolo di potenza globale, insieme alla Russia. Ma sappiamo che dire Russia, sugli scacchieri internazionali, significa evocare la Turchia: in qualche modo, dove cerchi lo Zar trovi il Sultano. E dire Cina significa evocare l’India, in allerta perenne di fronte a qualsiasi mossa di Pechino.

Nel frattempo, la comunità internazionale, Onu in testa, si accinge a far fronte a una crisi migratoria senza precedenti. Idee? Poche e confuse, di fronte a un paradosso tragico. Nel momento in cui viene chiesto con forza alla coalizione che fugge di farsi carico del destino delle persone che con essa hanno lavorato in questi due decenni, ci rendiamo conto che si attua in tal modo un esodo di cervelli, come pure di competenze tecniche e pratiche, di mestieri, di attitudini, che impoveriranno l’Afghanistan ancor di più, per i prossimi cinquant’anni. E dopo che succederà?

*Geografo Aiig, prof. emerito/IULM, Milano

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