Parigi. La ville lumière si accende

Cyrille WeinerPierre AntoinePierre Antoine

Progetti colossali, cifre da capogiro, nuovi spazi, antichi edifici riciclati e restaurati dove rileggere e conservare le memorie del passato. Parigi riapre i battenti in grande stile dopo il tempo del Covid e del terrore e si prepara a ospitare le Olimpiadi 2024 puntando su art de vivre e sostenibilità

«Cominciamo dal conto economico», annuncia Delphine Christophe, direttrice del restauro dell’Hôtel de la Marine mentre mi accoglie alla vigilia dell’apertura fra il viavai di operai. Per nascondere la sorpresa (ma davvero tutto questo sarà pronto fra tre giorni?) volgo lo sguardo verso l’alto e lei lo segue. «Quella vetrata è un’opera d’arte», commenta. «L’architetto Hugh Dutton l’ha progettata per coprire la cour d’honneur e renderla fruibile anche nei giorni di pioggia». Ma non solo: su quei 330 metri quadri, sospesi nel punto in cui terminava l’edificio originale, un abile gioco di specchi riflette i raggi del sole portando luce a uno spazio che ne era privo. E restituisce agli ospiti l’idea dell’altezza del primo palazzo. Gli investimenti, diceva. «Il restauro dell’Hôtel de la Marine è costato 135 milioni di euro, una cifra colossale raggiunta grazie a un modello economico totalmente innovativo». In sostanza: 10 milioni di denaro pubblico, 24 di proventi pubblicitari dei pannelli che coprivano il cantiere e un prestito da 80 milioni che si ripagherà con l’affitto degli spazi commerciali, espositivi e del coworking negli ultimi due piani. E poi le donazioni di mecenati privati, tra cui quella “estremamente generosa” della Al Thani Foundation, made in Qatar e proprietaria di una delle collezioni private più prestigiose al mondo.

Le opere, che spaziano fra le culture e le diverse civiltà, saranno esposte al pubblico a partire da questo autunno (e per i prossimi 20 anni) negli spazi che per due secoli furono il centro operativo della Marina francese, da cui il nome del palazzo. Un ulteriore prezioso tassello di questo mosaico di storie affacciato su place de la Concorde e nato per rappresentare la grandezza del potere. Tutto iniziò nel 1748, quando Luigi XV scartò i 150 progetti candidati a realizzare la piazza che doveva accogliere la sua statua equestre. Per uscire dall’impasse e creare un luogo adeguato a celebrare lo splendore della Corona, Ange-Jacques Gabriel, primo architetto del re, pensò a due edifici separati da quella che sarebbe divenuta la rue Royale. Dieci anni dopo veniva posta la prima pietra del palazzo in cui, dopo altri dieci, sarebbe stato trasferito il Garde-Meuble della Corona, una sorta di archivio di documenti e di oggetti istituito nel 1663 da Luigi XIV e dal suo ministro Colbert. Insieme a quel prezioso materiale arrivò anche il sovrintendente Fontanieu, il cui ruolo era di custodire la memoria storica dei gusti e degli oggetti usati dai sovrani e di consentire al popolo di “familiarizzare con le abitudini dei propri governanti”. Così, ogni primo martedì del mese, da Pasqua a Ognissanti, il pubblico poteva visitare gratuitamente sale e magazzini con armi e armature, gioielli, tappezzerie, bronzi e mobilio per conoscere e ammirare abitudini e capricci, sfide e ostentazioni del sovrano e della corte. Non stupisce quindi che la notte del 13 luglio 1789 quello stesso popolo si fosse presentato alle porte del palazzo per farsi consegnare le armi che poi – secondo la leggenda – contribuirono alla presa della Bastiglia.

Nel tempo, le stanze di quella che fu anche una dimora privata accolsero gli ospiti della festa di nozze di Luigi XVI e Maria Antonietta e furono testimoni di importanti atti storici, come il processo verbale con cui la regina venne condannata a morte o la firma del decreto di abolizione della schiavitù. Nel magnifico salone d’onore, un suggestivo sistema di “miroirs dansants” ricorda ai visitatori i fastosi balli cui ha fatto da cornice, uno fra tutti: quello per l’incoronazione di Napoleone I. È parallelo alla loggia colonnata, affacciata sulla piazza nata in nome di Luigi XV, divenuta della Rivoluzione nel 1792, poi de la Concorde dal 1795 a oggi, con un breve intervallo – tra il 1826 e il 1830 – quando venne dedicata a Luigi XVI, ghigliottinato nel 1793. Salotti e camere private, ornati da tendaggi tenuti insieme da 900mila punti cuciti a mano, hanno pareti, sedie, poltrone e letti rivestiti di tessuti e sete d’epoca, scovati in ogni angolo della Francia e che corrispondono a quelli minuziosamente descritti nei volumi del Garde-Meuble. «Volevamo che i visitatori avessero l’impressione di entrare in una sontuosa abitazione del secolo dei Lumi», spiega Michel Charrière, esperto di arti decorative del XVIII secolo, mentre sistema un lembo della tovaglia sul tavolo della sala da pranzo dell’Hôtel de la Marine. Sopra quel capolavoro di ricamo a mano, piatti, stoviglie e bicchieri in disordine danno l’impressione che la famiglia del sovrintendente si sia appena alzata per trasferirsi nella sala della musica, con i libri poggiati ovunque e gli spartiti aperti sul clavicembalo. Anche le luci sono quelle che illuminavano le giornate di Monsieur e Madame Thierry de la Ville-d’Avray, successore di Fontanieu; le candele di oggi però si spengono più rapidamente, azionando un interruttore. La città – che lavora alacremente alle Olimpiadi 2024 e al completamento del progetto Grand Paris – punta su art de vivre e sulla cultura ad alti livelli. L’inaugurazione di questa nuova stagione di apertura della Ville Lumière l’ha segnata “l’impacchettamento” dell’Arco di trionfo di Christo (terminata il 3 ottobre), ma è stato solo l’inizio.

A tratti sembra quasi di intuire che la Parigi di domani sarà a misura di giovani, indipendenti, benestanti e colti, diversa da quella degli scatti in bianco e nero del grande fotografo Henri Cartier Bresson, il cui sguardo sulla città è stato protagonista di una mostra al Musée Carnavalet. Questo hôtel particulier a cui Mansart aggiunse un piano e dove Madame de Sevigné abitò per 30 anni, è proprio il museo della storia di Parigi. Il suo nome – Carnavalet – deriva dalla “francesizzazione” di quello del primo proprietario, tale François de Kernevenoy, signore bretone, scudiero di Enrico II e precettore di Enrico III, le cui doti di educatore vennero lodate da Montaigne e Ronsard. Fu la sua vedova ad acquistare nel 1578 una dimora costruita nel 1550 da Pierre Lescot, architetto del cortile quadrato del Louvre, che divenne poi modello per molti altri hôtel particuliers del quartiere del Marais. Quando aprì al pubblico, nel 1880, doveva diventare la memoria storica di una città che il barone Haussmann stava sconvolgendo e di cui non si volevano perdere le tracce. Giunsero qui oggetti d’arredo da locande e caffè, insieme alle insegne di legno e ferro battuto. Fu lo stesso per scaloni monumentali, trompe l’oeil, interi arredi di sale da ballo e mobili in stile. E mentre in giardino si sistemavano facciate di edifici monumentali, all’interno fu ricollocata l’intera gioielleria Fouquet della rue Royale, completa degli arabeschi di Mucha realizzati nel 1901 e smontati un paio di decenni dopo. La riapertura del museo, accompagnata dalle polemiche sulla iniziale decisione di “democratizzare” il linguaggio espositivo abolendo i numeri romani e distribuendo cifre arabe anche per accompagnare i nomi dei sovrani, ha disposto le 3.800 opere (delle oltre 625mila) lungo un percorso gratuito di oltre un chilometro. Davanti alla Canopée che ricopre le vecchie Halles il giardino intitolato a Nelson Mandela ha preso forma. Al fondo di questo quadrilatero di verde che nasconde una piscina, una stazione interurbana e vari centri culturali, l’edificio circolare della Bourse de Commerce è il nuovo posto da non perdere. All’interno, i locali che in passato accolsero il mercato del grano oggi ospitano una collezione di opere che spaziano da pittura e scultura a performance e installazioni. Questa notevole mole di 10mila opere e 350 artisti è stato raccolto da François Pinault, imprenditore e proprietario di Palazzo Grassi e della Punta della Dogana a Venezia, che ha nuovamente coinvolto Tadao Ando. L’architetto giapponese ha giocato sul dialogo fra passato e futuro, rispettando la struttura esistente. Il risultato è un prodigio architettonico che aggiunge al valore dell’arte lo stupore dello spazio. Sintesi perfetta della nuova, esuberante Parigi.

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