Controcanto. Cinque chiese d'Ungheria

Franco Spuri Zampetti

«The conquests and victories of Suleiman: [..] The death of the Prince Mohammed happened in the same year (1543) of the conquest of Pechevi (Five Churches), Pechkeret, Arát, Jenád (Cianad), Temesvar. [..] Temesvar was conquered in 1551 by the second vezir Ahmed Páshá» Narrative of Travels in Europe, Asia And Africa Farbury Allen & Co, Londra, 1832

Chiamarsi Cinque Chiese non è il massimo della personalità, forse meglio del precedente nome Sopianae, derivato dalle paludi che la circondavano. Questo nome era dovuto al Cristianesimo, arrivato al seguito della XIII Legione romana Gemina che qui, nella capitale della Pannonia Valeria, aveva stanza. Quinque Ecclesiae, oggi paleocristiane, i cui ruderi sono nel sottosuolo della città, anzi ci si cammina sopra, con i vetri rinforzati che reggono il peso dei passanti e permettono la vista, tra le fondamenta rimaste, dei manichini dei cristiani destinati al martirio, nelle lunghe vesti bianche e i capelli sciolti, attorniati da legionari con le bluse rosse coperte dalle lamine di metallo della corazza e con gli elmi piumati, rossi, a spazzola. La vita era proseguita, dopo l’Impero, sino all’invasione dei Mongoli che l’avevano rasa al suolo. Cinque Chiese era stata ripopolata senza perdere il nome, che aveva solo cambiato lingua. Anzi, il nome era stato confermato nell’anno Mille con la costruzione della nuova chiesa di S. Bartolomeo. Il Transdanubio nella Ungheria medievale si era man mano degradato sino all’arrivo di Solimano il Magnifico. Dopo l’infausta battaglia di Mohàcs (1526), a poche miglia di distanza, settemila teste ungheresi furono inviate al Divano di Istanbul, per dare la prova che si era vinto davvero, e i pasha presero il potere. Khadem Alì era un pasha con tre code di cavallo nel bastone di comando e aveva l’Eyalet (suddivisione amministrativa nell’impero ottomano, ndr) di Budin: la striscia a ovest, tra Buda e Temesvar, collinare verso la Croazia e aperta alla pianura verso i Carpazi, con in mezzo Pécs. Anche Gazi Kassim era pasha (non si sa per quante code) e a lui pertoccò il governo delle Cinque Chiese che sbrigativamente gli Ottomani chiamarono Pécs (da bes, cinque in turco). Gazi Kassim volle marcare, con la moschea più grande e importante delle terre ungheresi al posto di S. Bartolomeo, la conquista all’Islam. Nel punto più alto della piazza di città, il minareto si sarebbe visto da ogni parte.

La moschea è ancora lì ma il minareto fu la prima cosa che i Gesuiti fecero abbattere dopo la riconquista. D’altro canto fu deciso che vi sarebbero stati i Vescovi Conti, poi formati sotto la guida della Compagnia di Gesù nel Collegio germanico ungarico di Roma. A Pécs toccò un Esterhàzi del ramo secondario di Czeszneck, neppure citato tra i membri più illustri della famiglia, ma con un grande cappellano, il Koller, che diede alla città le opere di religione oltre allo spessore culturale. La collina ebbe così sulla sommità, nelle piazze tra loro parallele ma separate, quella culminante nella moschea (degradata a chiesa di pessimo gusto) e quella della cattedrale, fredda e pomposa. La prima piena della vita dei palazzi e delle vie, la seconda con i giardini pubblici prima del sagrato. Dalla balaustra del Vescovato, a chiusura del lato sottostante alla facciata della cattedrale, protesa verso la gente, si staglia la massa umanoide di lamiera zincata, quasi un automa dell’Ottocento letterario tedesco, con i lunghi capelli e la palandrana di un musicista. La didascalia permette di identificare la scultura moderna con Ferenc (Franz a Vienna) Liszt, pianista, compositore e direttore d’orchestra ungherese. Vissuto più in Austria e in Europa, qui, nel Vescovato di Pécs, poteva essere presentato, seppure in lamiera, come di casa, perché Adam Liszt, funzionario degli Esterhàzi a Eisenstadt, diede al figlio Ferenc i suoi primi maestri: Johann Nepomuk Hummel, Kappelmeister di corte, e Joseph Haydn.

Disegni di Franco Spuri Zampetti
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