di Vittorio Giannella | Fotografie di Vittorio Giannella
In Lombardia, sulle Alpi Retiche, la piccola Val Masino ricorda i grandi parchi americani. Merito dei suoi ghiacciai, dei suoi boschi ma soprattutto delle sue rocce di granito
È la prima valle che s’incontra a sinistra risalendo la Valtellina dopo aver passato il lago, appena superato il ponte sull’Adda. Chi arriva in Val Masino scopre un angolo di natura che per i suoi paesaggi assomiglia incredibilmente allo Yosemite Park americano. Anche se in scala ridotta – in tutta la valle vivono appena 873 abitanti su tre paesi con un loro fascino rurale e qualche borgata abitata d’estate – e poi è tutto un susseguirsi di torrenti tumultuosi, boschi antichi, un fazzoletto di campi coltivati sul fondovalle, contadini eroici con gerle cariche di fieno sulle spalle e un orizzonte chiuso da montagne altissime. Un paesaggio che fa della Val Masino una valle piena di sorprese e facili itinerari che attraversano fitte abetaie e pareti di roccia liscia e vertiginosa.
Un’escursione da non perdere è all’altipiano di Predarossa: un attico sulla Val Masino. Si tratta di una conca glaciale torbosa a duemila metri, attraversata dal torrente Duino. Gli alpinisti la conoscono perché è il punto di partenza per raggiungere il rifugio Ponti, seicento metri più in alto, prima di approcciare la scalata del monte Disgrazia. Costa un po’ di fatica raggiungerlo, ma è un luogo ideale per ristabilire un legame con la natura in un’oasi di tranquillità di fronte a cime maestose che sfiorano i 4000 metri.
Per arrivare bisogna pagare un ticket di 10 euro, poi si sale lungo una stretta strada forestale tra i boschi e si arriva ai 2000 metri della Predarossa. Da subito si vedono piccoli laghetti che riflettono le cime circostanti: custodiscono una flora particolare e protetta, visibile grazie a scenografiche passerelle di legno dotate di pannelli informativi. Un percorso questo, per chi non cerca imprese sportive, ma ideale per esplorare il territorio, senza particolari difficoltà e che necessita solo di buone scarpe e adeguato abbigliamento. Addentrarsi su questo altipiano, costeggiando il torrente di acque cristalline, accompagnati dal merlo acquaiolo che saltella e volteggia tra picchi verticali, sotto il blu del cielo.
Sorprendenti incontri con il gufo reale o la cincia su un ramo gonfia del piumaggio per difendersi dal freddo mattutino. In fondo alla valle coperta di larici, tra le residue macchie di neve spuntano crochi e fioriscono i botton d’oro. L’orizzonte invece è chiuso dal gigantesco Disgrazia con i suoi 3678 metri. La piana torbosa è coperta da nebbie simili a uno sconfinato tappeto bianco. All’inizio della ripida salita per il rifugio Ponti, a tratti il sentiero è occupato da slavine invernali, ma la neve è dura e gli scarponi fanno buona presa. Un lenzuolo di rododendri fioriti colora di rosso la prateria, gigantesche pareti si ergono tutt’intorno a strapiombo sul cammino, giù il respiro del torrente che viene dal ghiacciaio rumoreggia tra massi frastagliati e rossastri. Capitano poi quei giorni di mezza primavera in cui in montagna tira sempre vento, con banchi di nuvole che vanno e vengono coprendo il sole, e nell’aria fresca d’alta quota il profumo di timo serpillo invade la valle dove ronzano api, insetti e farfalle.
John Muir, grande esploratore americano, scrisse: «Migliaia di persone stressate e fin troppo civilizzate stanno iniziando a capire che andare in montagna è tornare a casa, e che la natura incontaminata non è un lusso ma una necessità». Necessaria ma minacciata: i ghiacciai del Disgrazia, del Pizzo Badile e del Cengalo stanno drammaticamente arretrando. E tutta la Val Masino è uno scrigno di biodiversità solo in parte tutelato dove si trovano 181 specie di uccelli, 41 di mammiferi, 10 di anfibi e 10 di rettili. Nei boschi, carpini e castagni alle quote più basse si alternano alle poche fasce coltivate a fieno. Più in alto aceri e abeti rossi, larici, pini mughi e rododendri fino al limite della vegetazione. Oltre, tra le rocce alcune specie di piccoli fiori nonostante il vento incessante e le temperature rigide. Del resto siamo tra giganti che hanno fatto la storia dell’alpinismo dalla seconda metà dell’Ottocento, quando scalatori italiani e inglesi raggiunsero le vette più alte della Val Masino: il Disgrazia nel 1862, il Pizzo Cengalo nel 1866 e l’anno successivo il più difficile Pizzo Badile, la più ardita e famosa.
Da allora poco è cambiato. Le pareti impressionanti e verticali continuano ad attrarre alpinisti da tutto il mondo. Picchi granitici immensi come quelli della Val di Mello, fiore all’occhiello della Val Masino, dal 2009 Riserva naturale. Per visitarla il sentiero parte appena sopra l’abitato di San Martino. È un percorso dal dislivello modesto, che corre a fianco del rio Mello, ombreggiato da abeti e ontani per poi immergersi nella fitta abetaia.
Sulle scoscese pareti si aggrappano faggi, cespugli e rocciatori che sfidano la verticalità di alcune vie entrate nella leggenda, mentre più in alto diverse cascatelle precipitano per decine di metri per poi schiantarsi sul granito. Un luogo da esplorare sia nella sua grandezza sia nella sua intima bellezza paesaggistica. Sulla via del ritorno verso San Martino, le pareti granitiche brillano nella luce dorata del tramonto e si riflettono nelle acque del Bidet della Contessa (sic!), un laghetto limpido diventato meta prediletta degli instagrammer.
Dal lato opposto si sale verso la faggeta secolare dei Bagni di Masino, con il complesso termale (ora chiuso) conosciuto già in epoca romana. Un luogo per chi ha voglia di camminare senza fatica, ideale in primavera, quando la natura si risveglia. Qui incontro un gruppo di persone che abbraccia gli alberi: «Facciamo forest bathing» mi spiega Mattia. «È una pratica inventata in Giappone che consiste nel passeggiare nei boschi e abbracciare gli alberi più vetusti, a tutto beneficio di mente e corpo». Tugnin, la mia guida di Filorera, mi stoppa dicendomi che in Val Masino queste pratiche si conoscono e si praticano da sempre: «Qui è la natura che ci fa da personal trainer». Già, quella natura grandiosa che amava profondamente Walter Bonatti, uno che aveva scelto di vivere non distante, a Dubino. «Solo più tardi – scrisse Bonatti –, molte montagne dopo, ho scoperto che questo della Val Masino è il granito più bello del mondo».