Una foto, una storia. Che ci fa un arco in mezzo al deserto?

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La storia dell'arco dei Fileni, edificato sul litorale libico e abbattuto durante il regime del Colonnello Gheddafi nelle foto dell'Archivio Touring.

«Al chilometro 669 si vede spuntare in lontananza una costruzione che rompe la monotonia del paesaggio e va ingrandendo, prendendo forma e dimensioni di un arco monumentale di eccezionale imponenza. È l’arco Trionfale commemorativo della costruzione della litoranea libica, destinato a ricordare nei secoli la grande opera di civiltà voluta dal governo...». Non mancava certo la retorica nazionalista nelle pagine della Guida Rossa Tci Libia pubblicata nel 1937. L’Associazione non aveva ancora dovuto cambiare nome in Consociazione turistica Italiana, ma l’atmosfera del tempo imponeva al Tci di accodarsi alla gran cassa governativa. E dunque lodare «le poderose realizzazioni in ogni campo e ogni settore che hanno veramente trasformato il volto e lo spirito di questa nostra colonia» come si legge nell’introduzione. Lodarle e raccontarle ai turisti di “cultura media” interessati alla visita delle Colonie e dell’Impero.

Di quell’avventura coloniale l’arco dei Fileni – le cui foto sono conservate nell’Archivio storico Tci – era diventato un simbolo, un po’ per la sua imponenza, 31 metri di altezza, e un po’ perché venne edificato nel giro di un solo anno. L’arco era parte integrante del progetto del governatore Italo Balbo che, salito in carica nel 1934, nella colonia libica si comportava alla stregua di un proconsole romano. Tra le imprese del suo governatorato ci fu la costruzione della strada litoranea che univa il confine tunisino a quello egiziano, la via Balbea. Una strada larga sette metri e lunga 1.882 chilometri in cui, a circa 700 chilometri da Tripoli, dal piattume sterminato del deserto si elevava questo immenso arco di trionfo, così grande che venne usato dagli aviatori per orientarsi. Una struttura in travertino con statue di bronzo e bassorilievi con cui si celebrava l’impresa coloniale e la leggenda dei fratelli Fileni. Storia narrata da Sallustio nel De Bello Iugurtino. All’epoca Cartaginesi e Greci di Cirene avevano la necessità di delimitare il confine tra i loro territori. Per porre fine all’interminabile conflitto decisero di non farlo con le armi, ma con una gara podistica. Ogni coppia sarebbe partita da una delle due città alla medesima ora del medesimo giorno: i Fileni per Cartagine da ovest, i due prescelti dei Greci di Cirene da est. Il punto in cui si sarebbero incontrati sarebbe diventato il nuovo confine. I Fileni percorsero il doppio della distanza dell’altra coppia, accrescendo così di un terzo il territorio cartaginese. Ma vennero accusati di essere partiti in anticipo. I due negarono, ma i Greci di Cirene insistettero per far retrocedere il confine. Alla fine si trovò un accordo tragico: per testimoniare la loro sincerità e onorabilità i due fratelli accettarono di farsi seppellire vivi nel punto dove erano arrivati. Lì vennero edificate le Are dei Fileni, due mucchi di pietre che da allora segnarono il confine nella Grande Sirte.

Confine che in epoca fascista venne ripreso per delimitare le province della Tripolitania e della Cirenaica. Confine storico e leggendario che venne celebrato dall’arco dei Fileni. L’architetto scelto fu Florestano Di Fausto, che già aveva edificato la città di Rodi, all’epoca italiana, con la sua impronta razionalista mediterranea. Sormontato da due statue di bronzo e da un’ara che rappresentava la leggenda cartaginese, l’arco venne inaugurato il 16 marzo 1937, negli stessi giorni in cui venne stampata la Guida Libia che già lo comprendeva. Sulla parte sommitale capeggiava gigantesca la massima oraziana che celebrava Roma: “O almo Sole, tu non vedrai nessuna cosa al mondo maggiore di Roma”. Ma quello che per alcuni è un simbolo di civilizzazione per altri è simbolo di oppressione. Se, riguadagnata l’indipendenza della Libia, Re Idris I lo conservò limitandosi a far tradurre in arabo l’iscrizione di Orazio, altrettanto non fece il colonnello Gheddafi. Nel 1973 fece abbattere quel simbolo immenso del colonialismo italiano. Oggi – racconta l’ultima edizione della Guida Verde Libia, del 2010 – i resti dell’arco giacciono all’esterno del museo di As-Sultan, cittadina vicino Bengasi che si trova circa 140 km a est rispetto all’arco dei Fileni. In un recinto vicino all’edificio per terra si trovano le due statue in bronzo, mentre qua e là abbandonati si trovano altri resti dei bassorilievi, tra cui si riconoscono le figure di Vittorio Emanuele e di Mussolini. Sic transit gloria mundi

Foto Archivio Tci
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