Idee. Il turismo che verrà

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Un forum al Touring per discutere del futuro del turismo postpandemia, il cui rilancio dipende anche dai fondi stanziati dal PNNR

L’unica cosa certa è che questa volta i soldi non mancano. Per il turismo il Pnrr ha stanziato 2,4 miliardi di euro. Tanti soldi che costituiscono un’occasione formidabile, forse unica, per ripensare il turismo in Italia, investendo sia su di un nuovo modello d’offerta sia sui meccanismi di promozione. E magari in questo modo riuscire ad arrivare a quel sogno futuribile auspicato dal ministro del turismo Massimo Garavaglia secondo cui «l’obiettivo è di portare il comparto turistico a generare il 20 per cento del Pil, invece del 13 per cento in epoca pre-pandemia». Delle prospettive e delle possibilità del turismo che verrà si è parlato in una tavola rotonda organizzata nei giorni scorsi dal Touring Club Italiano cui hanno partecipato, oltre al presidente Franco Iseppi, al direttore generale Giulio Lattanzi e al direttore del Centro Studi Touring, Massimiliano Vavassori, anche la presidente di Federturismo Marina Lalli; la consigliera Tci Mara Manente, economista specializzata in turismo; il presidente dell’Enit Giorgio Palmucci e Nando Pagnoncelli, consigliere Tci e presidente di Ipsos Italia.

UN FUTURO DIGITALE E parlando di futuro non si può pensare alla crescita del settore senza investimenti nella sua digitalizzazione. «È già stato deciso che una fetta di questi soldi, 114 milioni di euro da qui al 2026, serviranno a finanziare il Digital Tourism Hub nazionale» spiega Vavassori. Si tratta di un progetto che punta a innovare e connettere l’offerta e la promozione turistica del Paese attraverso la realizzazione di una piattaforma digitale unica e integrata. «Il progetto coinvolge anche Enit come titolare del sito Italia.it che ha avuto una storia travagliata e che dovrebbe essere ottimizzato e migliorato anche a livello tecnologico. Ma come Enit seguiamo soprattutto la parte relativa ai contenuti» sostiene Giorgio Palmucci.

Che il digitale sia fondamentale lo dicono i dati. «In questi due anni di pandemia c’è stata una crescita delle competenze tecnologiche in tutta la popolazione, il digitale spaventa sempre meno e c’è stata una semplificazione generale che ha avvicinato sempre più persone» spiega Pagnoncelli. «E dunque non possiamo certo permetterci di rimanere indietro nella promozione digitale – aggiunge Lalli –. Il viaggiatore si rivolge sempre più a questi canali, perciò è necessaria una porta di accesso al sistema turistico italiano che sia seria e forte, che sia posizionata nei motori di ricerca e si apra alla vendita online. Anche perché se non lo facciamo rinunciamo implicitamente a una grande fetta delle persone che online cercano informazioni sul nostro Paese ma non trovandole si perdono per strada» spiega Lalli. «La nostra capacità attrattiva è ancora alta: la ricerca Be-Italy che abbiamo realizzato come Ipsos ci dice che l’Italia è ai vertici in Europa come reputazione e giudizi positivi. Alla domanda: dove andrebbe se in questo momento le regalassero una vacanza, il 40 per cento del campione su base mondiale ha risposto Italia» commenta Pagnoncelli. «Non solo, l’andamento delle discussioni online da noi analizzate evidenza come nel 2021 tra i temi legati all’Italia di cui si è parlato di più ci siano turismo, cultura ed enogastronomia. Però si sente la mancanza di un punto unico da cui reperire informazioni» conclude Pagnoncelli.

STRATEGIA DEI TERRITORI
Punto unico che è necessario ma non sufficiente, almeno secondo Mara Manente. «Serve una porta di ingresso, soprattutto per certi mercati lontani con una loro specificità anche linguistica. Ma prima di procedere bisogna definire gli obiettivi che sottostanno alla creazione di un portale nazionale. Per esempio bisogna portare avanti una progettualità che consenta di raccogliere le informazioni e i dati ed elaborarli per poter agire di conseguenza, non solo a livello nazionale ma anche territoriale» spiega la consigliera Tci. «Anche perché in questi anni i territori non sono stati fermi, molti hanno lavorato assai bene sull’aspetto digitale per promuoversi nei loro mercati di riferimento e questo sforzo non può andar perso. Sarebbe più funzionale se ci fosse un contributo federato, ovvero se i territori potessero continuare a concentrarsi sulla promozione nei mercati vicini e più facilmente aggredibili, mentre per quelli più lontani sarebbe importante puntare tutti insieme su un portale nazionale».

 

GOVERNARE I FLUSSI
Cruciale allora sarà capire che turisti arriveranno nel prossimo futuro. «Perché se è vero che in questi anni si è sviluppato un turismo di prossimità, è altrettanto vero che la nostra bilancia commerciale non può prescindere dall’incoming: pre-Covid 221 milioni di presenze, di cui 80 da Germania, Svizzera e Austria. Ma come fare a riportarli in Italia, magari cambiando il mix di provenienza per aprirsi ad altri mercati?» si domanda Vavassori. «Questo e il prossimo anno vivremo ancora di prossimità, il che vuol dire italiani, certo, ma anche quel 30 per cento di lingua tedesca che specie al Nord è importante perché molto fedele e attento a scoprire destinazioni secondarie», è convinto Palmucci. «Ma, appena si potrà, americani e orientali torneranno a cercare l’Italia, e sarà un bene perché sono turisti che portano valore, in quanto spendono tanto. Per cui la sfida del futuro sarà essere in grado di accoglierli al meglio per far sì che la loro non sia solo una esperienza toccata e fuga, ma sia l’inizio di un rapporto duraturo. E per far questo bisogna investire in promozione, come per esempio ha fatto la Svizzera, che sui mercati orientali ci sopravanza per tutto quel che riguarda il turismo montano» spiega Palmucci.

IL RUOLO DELLA FORMAZIONE
Ma bisogna farsi trovare pronti anche come capacità di accoglienza che va modulata sulle diverse culture di chi arriva, perché i turisti di Paesi differenti hanno esigenze, anche linguistiche, differenti. E allora la domanda spontanea è: siamo pronti? «La risposta non può essere un sì secco: è piuttosto un no. Non siamo pronti perché abbiamo strutture che sentono il peso del tempo, che però nel periodo pre Covid non sono state modernizzate perché tanto i turisti arrivavano lo stesso» commenta con onestà Lalli. «Siamo stati abbastanza immobili per quel che riguarda l’innovazione e l’ammodernamento. E invece i soldi del Pnrr vanno investiti anche in questo senso» commenta Lalli. «E vanno investiti anche in formazione, perché in questi due anni il turismo ha perso molte competenze visto che tanti hanno cercato lavoro in altri settori. Però se non si fa formazione non saremo in grado di affrontare le nuove sfide, e rischiamo di non avere i risultati che ci auspichiamo e che potremmo raggiungere se solo ci organizzassimo meglio» conclude.

Formazione in campo turistico che è da sempre uno dei cavalli di battaglia del Tci. «Il mercato del lavoro nel settore per molti aspetti è pioniere rispetto a tante sfide, per esempio quelle legate alla flessibilità, ma è da sempre debole, frammentato, poco tutelato. Bisogna invece mettere insieme una seria filiera di formazione turistica. Formazione che deve partire da lontano, dalle basi, investendo sulla capacità dei cittadini di conoscere il proprio territorio. Ma anche dalla capacità di saper leggere il cambiamento dei fenomeni, interpretandoli per creare nuove strategie» spiega Manente. Strategie che sono necessarie, anche perché il mercato turistico cambia assai velocemente. «Siamo passati dalla ricerca del relax a quella della conoscenza e adesso siamo al momento dell’esperienza, che durerà ancora in futuro, declinandosi magari con la voglia di conoscere meglio gli elementi distintivi di un territorio, che non sono solo artistici o paesaggistici, ma anche di produzione dei beni» spiega Pagnoncelli. «Ma quel che è certo è che c’è una grande, grandissima voglia di riprendere a viaggiare: il 61 per cento degli italiani, a precisa domanda, ha risposto che vuol fare un viaggio nei prossimi tre mesi. Lo scorso anno questa dato era invece molto, molto basso» aggiunge.

TURISMO, TRASVERSALE DI NATURA
Il turismo quindi non è destinato a scomparire, travolto dai divieti e dalla paura di muoversi che ancora aleggia in questi mesi: ormai è considerato un bene primario. «Ma per forza di cose dovrà essere un turismo diverso, perché il cambiamento è un dato strutturale» interviene il presidente Iseppi. «Siamo alla vigilia di una riqualificazione di questo universo, un processo che va sempre più verso l’integrazione di settori differenti perché il turismo per sua natura è trasversale e non può essere gestito con le stesse idee e gli stessi schemi di un tempo. Serve uno sforzo intellettuale e poi pratico per ripensarlo. Una sfida anche per noi del Touring, che siamo stati moderni nel contribuire a costruire il sistema turistico in Italia nel passato, e dobbiamo tornare a esserlo oggi, per influire sul futuro e contribuire allo sviluppo del Paese» conclude Iseppi.

Foto Archivio Tci
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