di Viviano Domenici
Girolamo Nerli, pittore senese emigrato agli antipodi, firmò il ritratto più intenso di robert Louis Stevenson
«Ieri abbiamo avuto la visita di una persona chiamata conte Nerli. Dicono che sia un buon pittore, ma anche un ubriacone e una canaglia. E ne ha l’aspetto». Così scrisse Robert Louis Stevenson a un amico in una lettera spedita dalle isole Samoa, e con un pregiudizio del genere c’era poco da sperare che l’autore de L’isola del tesoro accettasse di posare per quel pittore italiano il quale, per potergli fare il ritratto, era partito dalla Nuova Zelanda e aveva attraversato mezzo Oceano Pacifico. Ma Girolamo Nerli, pittore senese trapiantato in Oceania, non era tipo da arrendersi facilmente, e tanto fece che riuscì a convincere lo scrittore scozzese a posare per lui. Dopo quasi trenta sedute negli orari più scomodi e con un modello così insofferente, Nerli realizzò un’opera in cui Stevenson, ammalato di tubercolosi, sembra guardare in faccia il destino che l’aspetta. Lo scrittore, sobillato dalla moglie Fanny che non sopportava quello strano italiano, non volle acquistare il dipinto, ma prima che Nerli lasciasse Samoa per la Nuova Zelanda gli dedicò una dozzina di versi scherzosi carichi di simpatia: «Ha mai udito un comune mortale una vicenda così singolare / Come quella della venuta ad Apia del pittore sig. Nerli? / Venne; e tra tutti gli amici lui era il più prezioso / La perla tra tutti i pittori era sicuramente il sig. Nerli / Decise di farmi un ritratto…». Era il novembre del 1892 e Nerli rientrò in Australia col ritratto rifiutato oggi conservato alla National Galler,y di Edimburgo e considerato il più intenso ritratto esistente di Stevenson. Quarto dei sei figli di una nobile famiglia senese che si trasferì a Firenze, l’irrequieto Nerli frequentò l’Accademia di Belle Arti dove si distinse subito tra i giovani pittori macchiaioli. Ma nel 1885 – a 25 anni – mentre i suoi colleghi sognavano Parigi e gli impressionisti, lui decise di andare in Australia «per la voglia di vedere il mondo». Estroverso, poco interessato al denaro ma attratto dalla bella vita, si fece molti amici tra i pittori e gli intellettuali australiani, portando una libertà pittorica fino ad allora sconosciuta nell’emisfero australe. Le notizie su di lui sono sparse e scandite dai continui spostamenti da una città all’altra, dove (tra qualche scandalo per certi dipinti con scene di baccanali nell’antica Roma) Nerli raccolse un buon successo. Ma non gli bastava. Si trasferì in Nuova Zelanda, dove accolto come un vero innovatore fondò con due colleghi la Otago Art Academy. Dopo aver viaggiato alle isole Fiji, rientrò in Nuova Zelanda e sposò Marie Cecilia Josephine Barron, lei 23 anni, lui 38. La coppia partì subito per Melbourne – i suoi amici parlarono di una vera fuga – poi per Sydney, dove Nerli fondò un’altra scuola di pittura, ma il successo cominciava a declinare. Nel 1904, Girolamo e la moglie salparono per l’Italia e si stabilirono sull’isola di Palmaria, nel golfo di La Spezia, in una villa di famiglia. Nerli riprese a dipingere scorci della costa ligure e alcuni angoli caratteristici della Livorno medicea; opere che spediva e vendeva ai collezionisti australiani. Ma il suo tentativo di reinserirsi nell’ambiente dei pittori italiani non riuscì. Infatti si spostò a Parigi, poi a Londra e nei Paesi Bassi, dove continuò a dipingere, ma le notizie sulla sua attività artistica sono sempre più rare. Durante la Grande Guerra lo troviamo inaspettatamente impiegato come interprete presso l’ambasciata italiana a Londra. Finita la guerra rientrò in Italia. Morì a Nervi nel 1926. In Australia le sue opere sono nei più importanti musei, invece in Italia è praticamente sconosciuto.