Nuovo Hotel Ruanda

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Prima Santo Stefano di Sessanio, in Abruzzo, poi i Sassi di Matera. Oggi la nuova scommessa di turismo sostenibile di Daniele Kihlgren è il “villaggio antropologico” sul lago Kivu, al confine tra Ruanda e Congo

Il nome definitivo non è stato ancora scelto, ma tutto il resto è pronto per ospitare i primi visitatori, che varcheranno la soglia delle neonate capanne firmate dall’imprenditore italo-svedese Daniele Kihlgren: il restauratore filosofo che ha resuscitato Santo Stefano di Sessanio, in provincia de L’Aquila, e creato a Matera un sistema di ospitalità diffusa all’interno dei Sassi, con un recupero conservativo che in entrambi i casi continua a far scuola, in Italia e all’estero. 

Siamo in Ruanda, nell’isola di Nkombo sul lago Kivu, uno dei più grandi dell’Africa. Un mare d’acqua dolce al confine con il Congo, esteso 2.700 km quadrati, che grazie ai suoi 1460 metri d’altitudine gode di un clima temperato tutto l’anno. Qui, in questo Paese di 13 milioni di abitanti tristemente noto per il genocidio del 1994, Daniele ha lanciato un’altra sfida: costruire un complesso di capanne adibite all’ospitalità, nel rispetto dell’identità culturale e naturale del luogo, usando solo materiali locali. «Il Progetto Capanne – racconta Kihlgren – trae spunto dalle tradizionali costruzioni dei villaggi locali, esposte nel Museo etnografico di Butare, principale centro del Ruanda meridionale. Con questi modelli, artigiani locali hanno potuto riprodurre l’intreccio dei tetti delle capanne – realizzato fino all’epoca della colonizzazione, prima tedesca e poi belga – manipolando paglia, fango e pietre e tirando su i primi alloggi, molto simili a quelli che si trovano nella foresta equatoriale». A Nkombo i visitatori vivranno un’esperienza di autosussistenza grazie alle produzioni agricole e all’allevamento di galline, mucche e capre; potranno produrre e consumare la locale birra di banana, e commerciare acquistando pesce dai pescatori dell’isola, con i quali potranno anche mangiare.

«Il nostro tentativo – spiega Roberto Santavenere, pescarese, l’altra anima di Daniele e suo compagno di viaggi, avventure e imprese, – è portare anche qui un po’ di ricchezza alla popolazione, senza devastare i sottili e fragili equilibri socio-culturali della comunità, circa 20mila anime, in parte congolese e in parte ruandese, che oggi vivono in armonia». Roberto ha scelto anni fa di vivere qui sull’isola dopo essersi innamorato di una giovane del luogo e oggi è padre di tre bimbi e imprenditore nel settore della pesca che dà lavoro a oltre venti persone.

Il viaggio verso l’isola sul lago Kivu è già un’avventura, ancor prima del “soggiorno antropologico” a Nkombo, come lo definisce Daniele. Da Kigali, dopo un volo interno di circa mezz’ora (in auto sarebbero oltre cinque ore di viaggio) si atterra a Kamembe, capoluogo del distretto di Rusizi. Qui i visitatori salgono su piroghe appositamente allestite e in una ventina di minuti sono sull’isola. «Tutto intorno – continua Roberto – è un paradiso di silenzi e di verde intenso. A meno di un’ora, si può raggiungere il Parco nazionale di Nyungwe, una delle foreste pluviali più antiche dell’Africa, con un tratto attraversato da un ponte sospeso alto 70 metri, che si affaccia sulle cime degli alberi e da cui si possono avvistare scimpanzé, manguste, lontre e, se si è fortunati, anche leopardi. Un’altra escursione, che però è distante dal lago circa sette ore, è al Parco nazionale dei Vulcani, sui monti Virunga, dimora del gorilla di montagna in via di estinzione». Fra meno di un anno, il villaggio antropologico sarà completato e forse allora Daniele volerà da qualche altra parte del pianeta. Non ha accresciuto il suo patrimonio, ma non lo ha neanche dilapidato: in compenso ha costruito un modello di ospitalità unico nel suo genere, ha creato posti di lavoro e portato un po’ di speranza a borghi morenti e remote comunità.  Lo seguiremo ancora perché anche lui è “il nostro modo di viaggiare”.

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