Controcanto. Cristina alle Cinque Giornate di Milano

La prima donna ad avere un monumento a Milano

«Il 18 marzo scoppiò la rivoluzione in Milano. Tutte le città dell’alta Italia risposero a quel segnale. Senza asilo, cacciati in fuga da una popolazione inerme, i soldati austriaci si rinserrarono nelle loro fortezze, già d’avvanzo provviste. Ferveva la lotta nelle strade di Milano; e Genova, e Torino insorgevano». Principessa Cristina Triulzi-Belgioioso, L’Italia e la Rivoluzione Italiana nel 1848, Tipografia della Svizzera Italiana, Lugano, 1849.

Cristina Trivulzio Belgiojoso è la prima donna ad avere un monumento a Milano. Non da molto, anzi dal 2021, dopo oltre 150 anni dalle Cinque Giornate e non per volontà della Municipalità e non per il ricordo del suo impegno in quella rivoluzione che si resse anche sul suo contributo. Oggi la statua fronteggia il palazzo omonimo – ancora di proprietà della sua famiglia – nella omonima piazza dietro alla Scala, con una sua romantica citazione. Lei, ormai libera dai vincoli di un matrimonio fallito, in una vita aperta con il meglio della cultura europea a Parigi da Liszt a Balzac, inseguita dalla polizia austriaca, espropriata del suo patrimonio, non si sarebbe fermata e sarebbe corsa, dopo Milano, a Roma, allora Repubblica Romana.

Lei non condannava nessuno e voleva solo descrivere fatti: le incomprensioni dei comandi piemontesi, pieni di conti e marchesi che avrebbero capitolato dopo Custoza; le desolate descrizioni di capitolazioni con la bandiera bianca senza combattere sulle mura di Vicenza; la mancanza di divise e di armi; i sacrifici di volontari nelle paludi mantovane e nel Tirolo italiano, costretti a dormire all’adiaccio e senza cibo, riempiono le sue memorie.

Delle Cinque Giornate, come dei Promessi Sposi, una città in continuo movimento e in continuo divenire ha lasciato poche tracce, qualche lapide, aiutata anche dai bombardamenti con moncherini di palazzi subito rioccupati e sovrapposti. Di Palazzo Taverna in via Bigli, dove si riuniva il Governo Provvisorio, ammodernato nella seconda metà dell’Ottocento dal nuovo proprietario, un cotoniere varesino, vi è oggi una facciata diversa.
Delle riunioni in via Montenapoleone dei cospiratori si indica solo la via, oggi affollata di negozi di lusso. Solo Porta Tosa, la porta conquistata che portò alla ritirata degli Austriaci di Radetzky, ha cambiato nome divenendo Porta Vittoria e al suo sbocco vi è il monumento alle Cinque Giornate, con i bronzi dell’aquila reale (la Libertà) e del leone (la Forza) tra cinque leggiadre fanciulle. Ma le “prime famiglie” (stavolta milanesi), come spesso cita Cristina Trivulzio Belgiojoso, mantennero i loro palazzi e i loro fermenti rivoluzionari e non cessarono mai di porsi alla guida del nuovo e nello stesso tempo della spinta conservatrice che, con uguale forza, prorompeva dalle vie intorno alla basilica di S. Ambrogio.

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