Evergreen. La "solita" questione delle spiagge

Il delicato tema, per l'Italia, delle concessioni balneari, ormai da tempo sotto il tiro delle sanzioni europee per inadempienza alla Direttiva 123/2006/CE

Il tema della concessione delle spiagge in Italia è delicato e fonte di scontro, anche politico, in genere risolto senza prendere alcuna decisione, procrastinando situazioni che sono sotto il tiro delle sanzioni europee che imporrebbero qualcosa che i nostri operatori del settore non vogliono neanche prendere in considerazione: riportare a bando concessioni che qualcuno considera acquisite per la vita intera. Ricordiamo che cosa recita la Direttiva 123/2006/CE (art. 12): ”qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili, gli Stati membri applicano una procedura di selezione tra i candidati potenziali, che presenti garanzie di imparzialità e di trasparenza”. E statuisce, inoltre, che “l’autorizzazione venga rilasciata per una durata limitata e non possa prevedere la procedura di rinnovo automatico né accordare altri vantaggi al prestatore uscente o a persone che con tale prestatore abbiano particolari legami”. Di fronte a un assunto così chiaro sembrerebbe impossibile scantonare: le spiagge in concessione vanno messe a bando, in modo che nessuno abbia posizioni di privilegio e la libera concorrenza venga garantita. E, infatti, il Consiglio di Stato ha concesso solo un’ultima proroga fino al 2023: dal 1° gennaio 2024 non ci sarà alcuna possibilità di un ulteriore prolungamento, neanche per via legislativa, e il settore sarà comunque aperto alle regole della concorrenza. Finalmente, verrebbe da dire. Secondo il Consiglio di Stato, il confronto concorrenziale, oltre a essere imposto dal diritto UE, “è estremamente prezioso per garantire ai cittadini una gestione del patrimonio nazionale costiero” e contribuire “in misura significativa alla crescita economica e, soprattutto, alla ripresa degli investimenti di cui il Paese necessita”.

Infine: “le norme legislative nazionali che hanno disposto (e che in futuro dovessero ancora disporre) la proroga automatica delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative, compresa la moratoria introdotta in correlazione con l’emergenza epidemiologica da Covid-19”, sono in contrasto con il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea e con la direttiva Bolkestein. E “deve escludersi la sussistenza di un diritto alla prosecuzione del rapporto in capo gli attuali concessionari”, che potranno partecipare alle gare che dovranno essere bandite. La levata di scudi degli operatori balneari era prevedibile, ma la loro ingordigia impedisce qualunque forma di solidarietà, vista la paradossale situazione di molte spiagge d’Italia, dove è diventato quasi impossibile beneficiare di uno spazio che sarebbe di tutti perché demaniale: il numero di spiagge in concessione è cresciuto fino ad arrivare a una vera e propria privatizzazione dei litorali, in totale assenza di controlli. In Italia oltre il 60 per cento delle coste sabbiose è occupato da stabilimenti balneari (in alcuni Comuni si arriva all’80 per cento e libere rimangono solo quelle non balneabili) a canoni demaniali bassissimi, a fronte di guadagni più che rilevanti. Lo Stato incassa circa sei euro al metro quadro all’anno, contro un guadagno che può arrivare, nelle spiagge “di lusso”, a centinaia di euro al metro quadro al giorno. Si può auspicare che venga colta l’occasione per ridisegnare il quadro delle concessioni, adeguare le tariffe e impedire lo scandalo delle spiagge private e dei guadagni milionari su un bene che è patrimonio di tutti.

Peso: 
11