Riscopriamo la geografia. Con Zerocalcare per conoscere il mondo

Prendendo spunto dal successo di Strappare lungo i bordi di Zerocalcare e dalle critiche per l'uso del romanesco, una riflessione geografica

 Il successo della serie tv Strappare lungo i bordi del fumettista Zerocalcare apre a riflessioni su diversi aspetti che legano geografia, conoscenza e rappresentazione del sapere.

La geografia a fumetti. In quanto scienza delle rappresentazioni, la geografia esplora e valorizza ogni possibile forma di comunicazione che possa essere utilizzata nel proporre narrazioni e nel costruire immaginari. A queste non sfugge il fumetto come strumento didattico ed educativo per rendere più accessibili e fruibili concetti legati all’educazione alla sostenibilità e ai cambiamenti climatici, ma anche come mezzo di divulgazione della conoscenza del territorio. Oppure come forma di narrazione alternativa a immagini stereotipate e luoghi comuni che stigmatizzano le disuguaglianze territoriali, come proposto da Adriano Cancellieri (sociologo) e Giada Peterle (geografa) in Quartieri. Viaggio al centro delle periferie italiane.

Andare oltre. Una delle domande più comuni alle quali ai geografi capita di dover rispondere è: «A che cosa serve la geografia oggi che non è rimasto più nulla da scoprire?». La geografia visuale e l’indagine sul campo consentono di andare oltre la dicotomia centro-periferia e di far emergere le biografie territoriali e i caratteri di luoghi spesso ignorati o comunque proposti solo come disvalori dalle rappresentazioni ufficiali. L’intera proposta artistica di Zerocalcare è quindi un’opportunità di scoperta di luoghi e di esplorazione di paesaggi altrimenti taciuti.

“E pluribus una”. Il grande rimbalzo mediatico di Strappare lungo i bordi ha offerto una platea illimitata a chiunque avesse qualcosa da dire al riguardo. Così la sterile polemica sul romanesco usato nella serie è stata amplificata oltre ogni buon senso. Perché innanzitutto si tratta di una scelta di registro linguistico, non certo di lingua: Zerocalcare, come probabilmente ormai nessuno a Roma, non si esprime in un dialetto. E certamente tra le sue aspirazioni è difficile pensare ci sia quella di proporsi come un moderno Alberto Manzi (il maestro di Non è mai troppo tardi, trasmissione Rai degli anni Sessanta lanciata per combattere l’analfabetismo). Seppur pretestuosa, dal punto di vista geografico, la polemica consente di ribadire come il milieu e i processi di territorializzazione che caratterizzano un luogo abbiano una forte impronta culturale e quindi si manifestano attraverso espressioni, anche linguistiche, peculiari di ciascuna realtà territoriale. Come dimostra il successo editoriale e ora televisivo di Zerocalcare, la caratterizzazione localistica del linguaggio non priva di universalità il messaggio: dal momento che è proprio la credibilità del “con-testo” a rendere riconoscibili dinamiche e processi di territori e luoghi che, a prescindere dalla lingua, hanno in comune marginalità e periferizzazione.

Con gli occhi della geografia, le accuse rivolte alla serie e al suo autore appaiono un sintomo di provincialismo, alimentato dai rigurgiti di campanilismo che in genere manifesta chi ha difficoltà a emanciparsi dal proprio specifico dominio culturale nell’incontro con l’altro e nel confronto con la diversità. Le narrazioni di Andrea Camilleri, di Elena Ferrante e di Marco Paolini non sarebbero tali se in nome di una spinta omologatrice dettata da un processo di acculturazione spacciato per universalismo abdicassero allo specifico codice linguistico narrativo locale. Codice che non serve “semplicemente” a comunicare, ma concorre alla costruzione della narrazione, non solo per un bisogno di realismo ma, principalmente, perché luoghi, storie e personaggi si definiscono a vicenda secondo una dinamica propria della complessità territoriale.

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