di Giuseppe Roma
La ripresa post pandemia passa anche dai borghi dell'entroterra e dalle opportunità del Pnrr da sfruttare.
È certo una buona notizia che fra i primi interventi a essere avviati concretamente nell’ambito del Pnrr, il piano nazionale di investimenti per la ripresa, vi siano i progetti di rigenerazione culturale e sociale dei borghi. Si tratta di un impegno per cui si è molto speso il ministro della Cultura Dario Franceschini che già cinque anni fa, nel 2017, dedicò l’intero anno alla promozione del sistema dei borghi, con l’attiva collaborazione del Touring Club Italiano, collaborazione che dura tuttora. Il tema dei piccoli Comuni, delle aree interne, della ruralità, delle zone a bassa urbanizzazione ha molte e diverse implicazioni sul piano sociale, economico e ambientale. Da un lungo periodo la tendenza prevalente mostra per i borghi un lento e progressivo declino demografico. Nel nostro Paese i residenti nei centri con meno di tremila abitanti sono passati da circa il 14 per cento nei primi anni Cinquanta, all’11 nel 2001, per scendere ancora nel 2021 al 9,4 per cento del totale. Lo spopolamento dipende in larga misura dalla perdita di valore di quelle attività agricole e artigianali che, per secoli, avevano caratterizzato questi paesi. Meno economia, meno lavoro hanno portato poi all’abbandono del territorio, al suo inselvatichimento e, con la mancanza di cura e manutenzione soprattutto del bosco e delle zone montane e collinari, si sono prodotti i gravi fenomeni di dissesto idrogeologico che, a valle, colpiscono le città. Bisogna tuttavia ricordare che il conflitto fra città e campagna continua a esistere anche a livello globale, con un perdurante processo di concentrazione nelle grandi aree urbane. Nel mondo, la popolazione rurale si ridurrà, all’orizzonte del 2040, a poco più di un terzo (34,6%), mentre all’inizio di questo secolo rappresentava più della metà (53,3%) degli abitanti del pianeta. Un interesse particolare assume, in questo quadro, l’apporto che le attività turistiche possono offrire per la rivitalizzazione dei borghi, senza dimenticare quanto anche i borghi possono apportare alla nuova cultura dell’accoglienza. Nel Dna del Touring Club Italiano c’è un grande valore d’affezione ai territori meno conosciuti del nostro Paese. Basta sfogliare l’album fotografico della nostra associazione (oggi in parte consultabile su Digitouring.it) per constatare come, fin dalle origini, i soci venivano guidati, in bicicletta o con le carovane di camion, alla scoperta di luoghi all’epoca sconosciuti. Quella che allora rappresentava una felice e lungimirante intuizione, oggi costituisce la base solida per un nostro rinnovato impegno nella valorizzazione culturale e paesaggistica delle aree ancora meno frequentate.
Un tesoro ancora nello scrigno
I borghi rappresentano, in particolare, una risorsa primaria per il turismo contemporaneo, quello che tende a realizzare bisogni complementari al puro divertimento o al desiderio di conoscere nuove realtà. Vediamo ormai abbastanza diffusamente, e in tutte le stagioni, viaggiatori in bicicletta sulle strade secondarie e collinari delle regioni con un tessuto molto fitto di piccole città, di borghi e agriturismi come Toscana, Veneto o Umbria. Con il Covid-19, poi, si è accentuata nei viaggiatori la voglia di concepire la vacanza come un periodo di attività all’aria aperta, praticando sport capaci di rendere più appassionante l’esplorazione dell’ambiente (canoa, parapendio, cavallo), o anche come momento per “disintossicarsi” dalla pressione che comporta la vita metropolitana. Un turismo di scoperta soprattutto dei rapporti umani, che si ritrovano dove vive una comunità accogliente. Un tale orientamento, ancora di segmenti minoritari anche se significativi della domanda turistica, è destinato ad aumentare, soprattutto nel nostro Paese dove l’antropizzazione diffusa rappresenta uno dei principali fattori distintivi, che lo rende unico e irripetibile. Le radici di questa Italia, definita in passato da tanti scrittori e poeti come Mario Luzi “borghigiana”, stanno nella sua storia, fatta di divisioni di poteri frammentati e di policentrismo. Per questa ragione il territorio nazionale ha mantenuto nel tempo un reticolo diffuso di piccole capitali, di cittadelle fortificate, di castelli (non a caso borgo deriva dal tedesco burg che vuol dire castello). Il ritardo con cui l’Italia è diventata uno Stato unitario ha impedito che tutto il potere si concentrasse in una sola città-capitale come è stato per Parigi fin dal 1528, Mosca (1533), Madrid (1561) o Londra (1666). Da noi, invece, fra regni, ducati, repubbliche, marche e marchesati si possono contare più di trenta città che nella storia hanno assunto un ruolo di capitale di qualche entità autonoma. E non si tratta solo di grandi città come Napoli, Roma o Torino, ma anche di piccoli centri come Spoleto, Saluzzo, Fermo o Capua. La diffusione di piccoli centri, che spesso fanno corpo unico con il contado, con lo spazio rurale, rende l’Italia molto attrattiva soprattutto per gli stranieri che la riconoscono come culla dell’immaginario urbano, come ebbe a definirla il grande storico francese Jacques Le Goff.
Quindi, nei borghi ritroviamo storia, bellezza, natura ma anche una forte presenza di cultura immateriale che si manifesta chiaramente, in chiave turistica, nelle diverse declinazioni del buon vivere, con le produzioni artigianali, il cibo di alta qualità, fino alla gastronomia del territorio. E il Touring ha delineato con grande chiarezza questa dimensione che con terminologia internazionale potremmo definire come Foodscape, i paesaggi del cibo (vedi I Paesaggi del Cibo, Touring Club Italiano 2015), una forma peculiare del Landscape italiano. I borghi costituiscono, inoltre, un’opportunità per aiutare l’economia turistica in un momento di grave crisi, e soprattutto per rafforzare un’idea di viaggio rispettoso dei paradigmi della sostenibilità. Naturalmente molti centri borghigiani sono già meta di importanti flussi turistici, pure cresciuti con la pandemia, ma c’è ancora un tesoro nascosto, un patrimonio culturale, artistico e comunitario, un capitale di bellezza rimasto, finora, ”inagito”, su cui è urgente operare.
l futuro è già qui: gli esempi virtuosi delle Bandiere Arancioni
Se dalle tendenze generali si passa ai casi specifici, sono molte e promettenti le operazioni ben riuscite di rigenerazione dei borghi. Noi del Touring siamo testimoni dei tanti esempi positivi, delle iniziative virtuose e della creatività presente innanzitutto nei Comuni che possono fregiarsi della Bandiera Arancione come riconoscimento di una gestione ottimale del proprio territorio. A titolo puramente esemplificativo, come non ricordare una dei più recenti riconoscimenti internazionali del Comune Bandiera Arancione di San Ginesio, in provincia di Macerata, all’interno del parco dei Monti Sibillini, premiato dall’Organizzazione Mondiale del Turismo come uno dei 44 migliori borghi turistici del mondo per il 2021. Il riconoscimento valuta quanto il turismo concorre alla salvaguardia dei piccoli paesi rurali con i loro paesaggi, la loro diversità naturale e culturale, i loro valori e le loro attività, comprese quelle legate al cibo e alla gastronomia. Ma sono caratteristiche che si possono riscontrare in tutte le nostre Bandiere Arancioni, da Dolceacqua nell’entroterra di Imperia, quasi al confine francese fino a Petralia Sottana (Pa), molto più a sud, nel parco siciliano delle Madonie.
Le condizioni per la rinascita
Bisogna ora chiedersi su quali linee strategiche è possibile stimolare la rigenerazione dei borghi visto, fra l’altro, che nei prossimi mesi saranno scelti dal ministero della Cultura 250 progetti per avviare questo processo. Innanzitutto, va consolidata la dimensione sociale e comunitaria. Senza persone i piccoli centri diventano realtà inanimate, forse utili solo per complicati investimenti immobiliari di difficile successo. Ambiente, tradizioni, storia rappresentano le risorse base per creare opportunità di lavoro il più possibile stabile e duraturo nel tempo. Elementi fondamentali per la rigenerazione sono le connessioni, innanzitutto quelle digitali. Con la pandemia è cresciuto il ricorso allo smart working e la possibilità di trasferirsi a vivere dove si respira una migliore qualità della vita. Si tratta di piccoli numeri non in grado di modificare le grandi tendenze in atto prima descritte, ma tuttavia rappresentano una novità da incentivare. La neo-residenzialità porta con sé il turismo stanziale delle case per vacanza, reso possibile dal riattivarsi della fisiologia di vita nel borgo. Connessioni anche fisiche con tutte le possibili reti della mobilità dolce, la viabilità secondaria, le ferroviarie regionali e la mobilità elettrica. Laddove non c’è più il treno, le vecchie stazioni possono essere riutilizzate come un presidio di ricettività e servizi divenendo “Empori e Locande dei Borghi”.
Valorizzare le produzioni locali.
Un altro aspetto su cui puntare è rappresentato dalla valorizzazione delle produzioni locali, prime fra tutte quelle agro-alimentari, che fanno dei territori rurali i luoghi d’eccellenza per il primato italiano nell’alimentazione, riconosciuto in tutto il mondo come dieta mediterranea. E ancora, i borghi, incastonati in contesti naturalistici straordinari e spesso incontaminati, hanno tutte le carte in regola per diventare essi stessi vere e proprie comunità educanti in grado di offrire oltre all’esperienza della convivialità anche momenti formativi per la conoscenza delle tradizioni e degli ecosistemi. Per conseguire queste opportunità servono, infine, potenti strumenti operativi. Bisognerà procedere al recupero e gestione delle strutture culturali, dei musei locali e delle testimonianze della cultura materiale e immateriale, applicando le più moderne tecnologie informatiche. Non dovrà mancare una ricettività in grado di offrire ai viaggiatori soprattutto un’atmosfera “borghigiana”, indipendentemente dalla fascia di mercato in cui si colloca. Il tutto con un’appropriata promozione in rete del “prodotto turistico borghi” attraverso una piattaforma accattivante e con adeguato peso specifico per “bucare” nell’affollatissimo spazio dei media digitali. Non resta che rimboccarsi le maniche per dare il nostro contributo.