Idee. Sostenibilità, condivisione e territori

Le riflessioni del Presidente Franco Iseppi sul futuro del turismo, del Touring e del Paese

Possiamo affermare che il Touring Club Italiano ha sempre messo al centro della sua attività il “pensiero”. Mosso da grandi ideali – primo tra tutti favorire la conoscenza del Paese da parte degli italiani – fin dalla fondazione ha inciso sulla società prefigurandone le dinamiche evolutive e cercando di essere protagonista attivo, in quanto soggetto collettivo, dei cambiamenti. Questo attraverso lo studio, la ricerca del consenso e la mobilitazione dell’opinione pubblica e in parallelo a una costante e proficua collaborazione da parte della sua governance con il mondo accademico, della politica e delle imprese, sia a livello nazionale sia internazionale. Il pensiero ci ha sempre guidato, in modo più strategico che tattico, nell’individuare i temi di prospettiva e nel progettare quegli strumenti per cui la nostra associazione è divenuta popolare, rispondendo ai nuovi bisogni in modo avveduto e pragmatico, in un quadro di coerenza con i valori statutari. Vale per la prima grande impresa del 1906, la realizzazione della Carta d’Italia al 250.000, la carta-madre delle successive, e per moltissimi anni strumento insostituibile per lo studio topografico del Paese. Allo stesso modo, mentre dal 1914 si realizzava la collana delle Guide d’Italia (le Guide Rosse) per mettere a disposizione dei soci una fonte unica per conoscere le bellezze del Paese, si costruiva al contempo un patrimonio unico, per valore scientifico, dei beni culturali italiani che è ancora prezioso oggi. Una cosa analoga successe quando il Touring, a partire dal 1897, promosse la prima segnaletica stradale per migliorare la viabilità e l’orientamento dei ciclisti: le competenze acquisite nei trent’anni successivi furono indispensabili alle amministrazioni locali che ne assunsero poi la responsabilità.

Questa premessa è stata necessaria per dimostrare che nel dna del Touring è sempre esistito un “pensiero” che ha guidato l’attività dell’Associazione consentendo di far arrivare fino a oggi, rinnovandola, l’eredità culturale che tutti condividiamo. Se dobbiamo sintetizzare il ruolo odierno del Tci, crediamo che la definizione di “costruttore di futuro” sia la più appropriata per la lunga storia che ci caratterizza e per le prospettive di sviluppo che ci animano con pragmaticità e realismo verso il futuro. La prima domanda da porci è dunque: che futuro vogliamo costruire oggi? Il Touring Club Italiano ha le idee chiare: non possiamo uscire dalla pandemia (termine che porta con sé non solo il senso “sanitario” ma anche le conseguenze economico-sociali correlate) tornando allo stato precedente. Non è né realistico né auspicabile. Il nostro pragmatismo ci spinge a pensare che da quanto successo dobbiamo imparare per costruire un mondo migliore rispetto a quello in cui abbiamo vissuto fino al 2019. Ogni avvenimento, anche il più traumatico e doloroso, può diventare un elemento su cui riflettere. La pandemia dovrebbe aiutarci a costruire un futuro che ruoti attorno a quattro parole-chiave. Innanzitutto comunicazione. La nostra, già prima del Covid, era una società immersa nella comunicazione. La pandemia, però, ha messo in evidenza quanto la “qualità” di questa comunicazione e la “competenza” nel maneggiarla facciano la differenza. La comunicazione in pandemia ha determinato la credibilità dell’azione dei governi ma anche, più pericolosamente, con la diffusione di false notizie, la sottovalutazione o la negazione del pericolo del virus con atteggiamenti irrazionali per esempio nei confronti dei vaccini. Stiamo sperimentando quanto possa essere socialmente pericolosa la “post verità” quando domina sulla verità, influenzando l’opinione pubblica e, indirettamente, le nostre scelte non in base a dati e fatti oggettivi ma alla loro presentazione, alle diverse emozioni che generano e alle affinità al nostro modo di sentire. Lee McIntyre, autore nel 2018 del libro Post-verità, teorizzava «che le persone mentano, e che la politica usi la propaganda per perseguire i propri fini, non è certo una novità. Per post-verità io però intendo qualcosa di molto diverso: un contesto in cui l’ideologia ha la meglio sulla realtà perché quale sia la verità interessa poco o niente. Quando si mente, si cerca di convincere qualcuno che quel che si sostiene è vero. Con la post-verità, tutto questo è irrilevante. Non occorre sforzarsi di ingannare nessuno. Non si devono costruire prove false. Quel che conta è avere la forza di imporre la propria versione, indipendentemente dai fatti. Basta ripetere concetti semplici e accattivanti, anche se infondati, perché a nessuno conviene verificarli». Ciò di cui la post-verità si nutre – di cui sperimentiamo oggi le conseguenze – è lo scetticismo verso la scienza e la ricerca, la politica e le istituzioni: occorre invece recuperare questa fiducia che costituisce un “anticorpo”. Anche Papa Francesco, ricevendo i partecipanti all’Incontro del Consorzio internazionale dei media cattolici, il 28 gennaio scorso, ha ribadito che «essere correttamente informati, essere aiutati a capire sulla base dei dati scientifici e non delle fake news è un diritto umano».

Abbiamo dunque una forte necessità di rivalutare la competenza, a lungo fuori moda e anzi percepita come un ostacolo: la pandemia ci deve portare a riconsiderarla. È un fattore ineliminabile di crescita economica e sociale (Pnrr e vaccini sono due diverse testimonianze dell’importanza delle competenze). Speriamo che anche la pandemia sia un acceleratore di un cambiamento culturale. Tom Nichols nel 2017 aveva dedicato un libro all’età dell’incompetenza (La conoscenza e i suoi nemici) quasi profetico. «Tutti ci sopravvalutiamo, ma i meno competenti lo fanno più degli altri» afferma. Grazie alla diffusione dei social tutti possono esprimere le proprie opinioni con buona possibilità di essere ascoltati, anche su temi in cui non si ha la minima competenza: ciò ha enfatizzato l’importanza che le opinioni dei non competenti hanno. Una situazione che Umberto Eco già nel 2015 aveva fotografato in modo paradigmatico affermando che «i social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli». Solo ridando dignità alla funzione della verità e della competenza avremo speranza di poter costruire il futuro.

Un’altra parola-chiave è relazione. La pandemia ha messo a dura prova le relazioni e i rapporti fiduciari tra persone: il distanziamento sociale ha creato solitudine fisica per il prolungato impedimento a una vita normale – si pensi a quanto è stato tolto ai più giovani, senza la possibilità di frequentare la scuola negli ultimi due anni, e con le conseguenze nell’apprendimento – ma la pandemia ha anche fatto emergere nuove spaccature ideologiche (pro vax vs. no vax) con ripercussioni pesanti sui rapporti, anche amicali e familiari. Tutto ciò ha acuito il divario sociale tra chi è riuscito ad adattarsi alla pandemia perché aveva gli strumenti economici, culturali e relazionali per “sopravvivere” e chi non li aveva. A farne le spese sono state alcune fasce specifiche della popolazione (donne e giovani), rallentando il processo di inclusione sociale. C’è poi la questione della relazione fiduciaria tra individuo e ciò che chiamiamo i cardini della nostra società (istituzioni pubbliche, imprese, terzo settore, media). Ciò che risulta da rilevazioni recenti degli istituti di ricerca (Demos, Ipsos) è un ritorno di fiducia, specie nei confronti delle istituzioni pubbliche: un segnale importante che, se consolidato, può essere un elemento fondamentale per la ripartenza, in particolare se la nuova politica abbandonerà la ritualità delle riforme adottate in favore di quelle realmente implementate.

Infine, sostenibilità. I cambiamenti climatici – di cui si è discusso a Glasgow durante la COP 26 e che sono stati un elemento acceleratore della diffusione del Coronavirus – sono uno dei temi ineludibili dei prossimi anni. Ci impongono una riflessione sul modello di sviluppo a livello globale – e che ha coinvolto anche il turismo – con l’obiettivo di trovare una mediazione tra esigenza di crescita e salvaguardia del nostro Pianeta. Anche in relazione alla responsabilità che abbiamo nei confronti delle giovani generazioni e di quelle future che subiranno gli effetti della nostra incapacità di scegliere. Troviamo illuminante ciò che nel libro Cambiamo strada scrive il filosofo Edgar Morin a proposito di un auspicato nuovo umanesimo che dovrebbe caratterizzare la nostra vita alla luce dell’esperienza della pandemia: «L’umanesimo rigenerato rifiuta l’umanesimo della quasi divinizzazione dell’uomo, teso alla conquista e al dominio della natura. Riconosce la complessità umana, fatta di contraddizioni. L’umanesimo rigenerato riconosce la nostra animalità e il nostro legame ombelicale con la natura, ma riconosce anche la nostra specificità spirituale e culturale».

Tutto quanto detto è da leggere nella cornice dell’Europa, che costituisce un contesto integratore del nostro discorso (vedi, Editoriale a pag. 3). Da questo sintetico quadro che motiva il nostro atteggiamento propositivo (come Associazione) sia di fronte all’emergenza nella quale viviamo sia rispetto alle possibilità di mettere in essere una rigenerazione non solo del nostro Paese ma, soprattutto, del nostro ”universo di riferimento” (come è il Touring), emerge la convinzione che bisogna ripartire dai “fondamentali”, quali il principio di sostenibilità (nei suoi estremi culturali, economici e sociali) e il principio di condivisione (nei suoi caratteri operativi). Ogni nostra attività di ricerca, di formazione, di innovazione tecnologica, di business, di articolazione territoriale deve incrociarsi sistematicamente con i valori condivisi e non negoziabili della Associazione stessa e con una modalità operativa partecipata che, a sua volta, qualifica i nostri comportamenti. Convinti di essere una parte rilevante di un tutto (la pratica del viaggio) vogliamo muoverci (come tutti i soci sanno) mettendo in essere una articolazione territoriale della Associazione da definire sulla base delle aggregazioni delle destinazioni, secondo i flussi turistici in essere e potenziali. L’obiettivo è che la nostra articolazione a livello territoriale metta in essere una pratica della nostra missione rappresentata da un mix tra rigenerazione del presente (Aperti per Voi, Club di territorio, Un giorno per Bene, visite promosse dai Consoli...) e immaginazione del futuro (iniziative locali con un valore e un’attrattività nazionale e sovranazionale). Vogliamo generare riflessioni partendo da questioni legate ai diversi territori per esprimere un contributo e un posizionamento della nostra Associazione su temi specifici (spiagge, paesaggio, ambiente, infrastrutture di comunicazione...). Non rinunceremo mai a ragionare attorno a nuovi prodotti turistici da far crescere, a produrre conoscenza in sinergia con il nostro editore, a essere servitore civile delle istituzioni e dei viaggiatori e venire considerati punto di riferimento morale per chi viaggia e chi fa pratica turistica.

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