di Clara Svanera | Foto di Clara Vannucci
Nominato per primo "città della cultura toscana", il borgo pisano certificato Bandiera Arancione dal Tci punta sulla rigenerazione
Una città senza tempo. Una città “erma”, che ha visto morti e pestilenze, che è stata attraversata dal nemico e ferita dalle conquiste, ma sempre rinata e che guarda l’orizzonte infinito del mare con fiducia. Questa è Volterra, Bandiera Arancione del Touring. A descriverla così è Gabriele D’Annunzio, nella raccolta Elettra. Una città, che ha il sapore dell’eternità. Dalla bellezza immutata nei secoli. Ha mantenuto tutt’oggi il reticolo di stradine labirintiche di origine etrusca, poi trasformate e adattate in epoca medievale, che ancora richiamano, per l’atmosfera quasi misteriosa che le pervade, miti e leggende, come quelle di New Moon, uno dei romanzi della saga di Twilight, che la scrittrice e produttrice Stephenie Meyer scelse di ambientare proprio a Volterra, in particolare la fece diventare luogo di origine dei Volturi (una delle famiglie di vampiri protagonisti).
Anche Lorenzo il Magnifico volle mettere la sua firma sull’eternità di Volterra, erigendo tra il 1472 e il 1474, come vessillo del potere, la fortezza medicea, che domina imponente con i suoi merletti il punto più alto del colle ove sorge la città. Una città che, ben consapevole di questo ricco patrimonio, ha presentato la candidatura a capitale della cultura 2022 ma, pur classificandosi tra le prime dieci città, ha assistito alla vittoria dell’isola di Procida. I volterrani non si sono però dati per vinti e hanno portato a casa ugualmente lo scettro di prima città della cultura toscana.
Volterra, che ricade nella provincia di Pisa, ma che è porta di ingresso per ben quattro province (Pisa, Livorno, Firenze e Siena), sfodera orgogliosamente la sua storia, che si perde nella notte dei tempi, quando si chiamava Velathri ed era tra il VI e il IV secolo a.C. una città etrusca, potente e fiorente, una delle 12 città-Stato (la Dodecapoli) dell’antica Etruria (un territorio che si estendeva tra le attuali regioni di Toscana, Umbria e Lazio). Nei secoli tante culture diverse si sono avvicendate qui, culture che le testimonianze geologiche catturate nella stratigrafia del territorio, ma anche architettoniche e archeologiche, restituiscono nella loro pienezza. Sembra che il vento – elemento molto presente, al punto che, sempre Gabriele D’Annunzio, l’aveva battezzata «città di vento e di macigno» – ci faccia fluttuare tra un’era e un’altra, sorprendendoci con mura etrusche, teatri romani, fortezze medievali e palazzi rinascimentali.
La storia non è che il cuore racchiuso in uno scenario paesaggistico e architettonico senza sbavature.
Dalla collina alla quale è aggrappata la città-fortezza si può catturare in un colpo d’occhio una vista a 360 gradi sulle valli dei fiumi Era e Cecina, che si presentano come un affresco dai colori che digradano dal giallo ocra dei campi di grano al color pastello dei calanchi argillosi che abbracciano la città. Dalla cima della collina lo sguardo incrocia anche i grandi cerchi dello scultore Mauro Staccioli, che forniscono un’inquadratura perfetta per catturare la varietà di colori e luci che avvolge Volterra.
Le testimonianze architettoniche della città sono pressoché tutte medievali e rinascimentali (dal Palazzo dei Priori, nell’omonima piazza, alla Cattedrale fino al Battistero di S. Giovanni). Il passaggio degli Etruschi è catturato nell’acropoli che ospita il parco archeologico e nella porta all’Arco, oltre che nel Museo Guarnacci, che custodisce reperti di grande pregio come l’Ombra della sera, una statuetta votiva filiforme che evoca l’ombra serale (fu D’Annunzio ad attribuirle questo nome); la testimonianza più vistosa romana è invece il teatro romano del I secolo a.C., uno tra i meglio conservati in Italia.
Volterra è riuscita a preservare il suo passato, ma anche a valorizzarlo nel segno della tradizione e della rigenerazione, guardando al futuro. E proprio sul rinnovamento del patrimonio artistico e culturale attraverso un progetto di valori condivisi si era basato il dossier di candidatura a città italiana della cultura 2022. La città, grazie a un progetto promosso e studiato dai cittadini e da un pool di giovani provenienti da tutta Italia, non è diventata capitale, ma è stata investita del titolo di prima città della cultura toscana, carica voluta da Regione Toscana per premiare il percorso virtuoso compiuto durante le fasi della candidatura.
Uno degli scenari che spiegano meglio questa rigenerazione del patrimonio artistico e umano è l’ex ospedale psichiatrico di San Girolamo che, con una superficie di oltre 400mila mq, fu il manicomio più esteso di Italia. Sito deputato alla memoria della sofferenza e della marginalità, capace però di convertirsi in luogo di arte e di inclusività. Nuovi spazi daranno valore e risalto alle opere di art brut, ovvero di arte grezza, praticata dagli ospiti della casa di cura e ospiteranno parte dei graffiti di Oreste Fernando Nannetti, uno dei degenti di questa struttura, considerato il più grande esponente dell’art brut. Opere di grandezza impressionante, 180 metri per due e 102 metri per 20 centimetri, realizzate con la fibbia della divisa da internato, sono una testimonianza unica di questa arte. Le incisioni di Nannetti furono interpretate e trascritte con cura dall’infermiere che si occupava di lui, ma ora sono stati restaurate grazie all’associazione Onlus Inclusione Graffio e Parola, di cui è capofila Andrea Trafeli, figlio proprio dell’infermiere che lo aveva assistito. È lui ad accompagnarci nei corridoi (e tra i boschi) di questo immenso ospedale dismesso, in parte abbandonato, e a mostrarci le opere d’arte che restituiscono sì la sofferenza, ma anche il desiderio di riscatto.
E sempre di riscatto e di reclusione si parla nel carcere della fortezza (chiamato così perché ospitato nell’antica fortezza medicea che disegna il profilo della città). Qui è il visionario regista Armando Punzo a impegnarsi per il riscatto dei detenuti del carcere. La Compagnia della Fortezza è un progetto di laboratorio teatrale nato nell’agosto 1998 nella Casa di Reclusione di Volterra, sotto la sua direzione. Le iniziali ore di sperimentazione si sono trasformate in un laboratorio di recitazione, frequentato con assiduità dai detenuti, affermandosi come progetto vero e proprio di teatro in carcere, con i detenuti che portano le proprie emozioni sul palcoscenico e recitano da veri professionisti, andando persino in tournée, superando pregiudizi e dimenticando le loro tragedie personali. Dal 1998 la compagnia è accreditata presso i ministeri di Giustizia e Cultura come progetto di recupero.
La Volterra capitale della cultura Toscana è anche quella che dal 2019 è impegnata in scavi archeologici che hanno portato alla luce lo straordinario anfiteatro romano a nord della città. Nessuna fonte, antica o moderna, aveva mai menzionato questo imponente monumento. Si è dato il via a un progetto integrato di scavo, restauro e valorizzazione, che ha condotto a un’importante campagna di messa in sicurezza del sito.
L’anfiteatro è costituito da tre ordini di gradinate dalle dimensioni presunte di 82 per 64 metri. E significa straordinaria rinascita anche il restauro avviato dalla Sovrintendenza ai beni artistici della Deposizione dalla croce di Rosso Fiorentino, a 500 anni dalla sua realizzazione.
Un gioiello rinascimentale, conservato nella parrocchia della Cattedrale di Volterra che, grazie a un finanziamento della fondazione Friends of Florence, ritornerà a breve allo splendore originale. Il restauro è stato necessario per intervenire sui danni causati dai restauri precedenti, come quello del 1975, giudicato invasivo: la struttura lignea era stata rinforzata con traverse di metallo (ora rimosse) che hanno limitato l’elasticità del legno, causando danni alla superficie pittorica. O come quello del 2003, anno in cui l’opera subì uno shock termico dovuto al riscaldamento.
Rigenerazione infine anche per l’alabastro, la pietra-simbolo di Volterra, dalle iridescenti trasparenze, a base di solfato di calcio idrato, estratto in cave a cielo aperto nei dintorni della città, che gode di una lunga tradizione che risale all’epoca etrusca: veniva utilizzato per realizzare soprattutto urne cinerarie. L’uso maggiore risale però alla fine del Settecento, quando si iniziarono a costruire oggetti di alto artigianato che, grazie ai viaggiatori, si diffusero in tutto il mondo. «Non è un caso che l’alabastro sia stato il punto di forza del dossier di candidatura» ci spiega Alessandro Corda, presidente della comunità dell’alabastro.
Proprio intorno a questo materiale si è sviluppato il progetto “22 designer per 22 artigiani”, capitanato da Luisa Bocchietto, architetto di fama internazionale, a lungo presidente dell’Associazione italiana per il design industriale italiano e ora Senator della World design organization. «Vogliamo riportare la pietra volterrana al centro dell’economia cittadina» sottolinea Alessandro mentre ci conduce tra scalpelli e pietre grezze che attendono di essere lavorate in uno dei laboratori della città.
«Ma soprattutto desideriamo riportare la pietra agli antichi splendori, attraverso progetti condivisi con i cittadini». I 22 designer e gli altrettanti artigiani, in un lavoro sinergico condurranno all’apoteosi l’artigianato artistico del territorio, esaltando il lavoro degli alabastrai, che con sapienza hanno portato avanti per secoli questa tradizione, così intimamente legata al territorio, alla quale ora vogliono conferire il sigillo di (dannunziana) eternità.