di Clelia Arduini | Foto di Marco Belelli
Una ciclovia a pochi metri dal mare, 31 trabocchi da pesca come antiche palafitte sospese sull’Adriatico: è la Via Verde, 42 km di costa intatta da Francavilla al Mare a San Salvo tra borghi marinari, insenature e oasi naturali
«Vieni, c’è un trabocco nel bosco, il suo nome conosco, vuoi conoscerlo tu?». La romantica Raffaella De Francesco, di origini abruzzesi, potrebbe aver sussurrato queste parole a suo marito (parafrasando una canzone del 1943, interpretata da Gino Bechi) convincendolo a regalarle per il suo compleanno una delle antiche macchine concepite per pescare senza doversi avventurare in mare aperto: il trabocco di Punta Aderci, in provincia di Chieti, proteso sull’acqua come un’antica palafitta.
Non è un trabocchetto per indurvi a leggere l’articolo, ma una gustosa curiosità, di quelle che “traboccano” in quest’ultima parte d’Abruzzo dove sabbia, ciottoli, falesie, rocce e dune giocano a braccio di ferro con l’acqua trasparente e potente dell’Adriatico sotto lo sguardo dei delfini e, a volte, delle tartarughe: la Costa dei Trabocchi. Sono oltre 42 km di litorale, che da Ortona scivolano fino al confine con il Molise con il fiume Trigno, puntellati da 31 macchine da pesca (29 di proprietà privata) simili a ragni colossali, come Gabriele D’Annunzio li definì nella sua opera Il trionfo della morte, scritta in parte in un rustico villino costruito sul promontorio in contrada delle Portelle a San Vito Chietino dove il Vate soggiornò nell’estate 1889, da allora definito come l’Eremo dannunziano.
A quei tempi, le reti a trazione verticale di forma quadrangolare (questo è il significato di trabocco) sospese su pertiche sporgenti sull’acqua, venivano calate a sera contro il cielo infuocato del tramonto, e il mattino dopo, ricolme di spigole, orate, rombi, ombrine e saraghi, tremavano per la frenesia dei pescatori e le loro grida rimbalzavano di roccia in roccia. Oggi, tramontata definitivamente l’attività di pesca a bilancia, praticata ormai solo come attrazione turistica o a scopo didattico, i trabocchi si sono trasformati per la maggior parte in originali ristoranti sospesi sul mare, costruiti con legno di robinia e raggiungibili attraverso una passerella, alla fine della quale si trova la piattaforma, l’apparato pescante con le grandi e le piccole antenne e il sistema di stralli di controvento e l’argano per il sollevamento della rete oltre che il capanno. Una visione antica che si stampa tra cielo e mare, per la gioia di turisti e di visitatori desiderosi di accaparrarsi un posto in prima fila per consumare un pranzo, una cena o un aperitivo sospesi sull’acqua.
Lungo la Costa dei Trabocchi, a pochi metri dal mare, e per 42 chilometri, corre una striscia color acqua marina lungo la quale si sgranano riserve naturali, insenature e borghi marinari. È la Via Verde, spettacolare progetto di mobilità sostenibile e di unione d’intenti, realizzata fra i diversi enti pubblici e privati del territorio, una via che valorizza l’antico tracciato dismesso della ferrovia litoranea costruita dopo l’Unità d’Italia per collegare il Nord con il Sud senza attraversare lo Stato Pontificio. Il tratto Ortona-Foggia fu inaugurato nel novembre del 1863 alla presenza del re Vittorio Emanuele II.
Oggi la pista ciclopedonale, incompleta ancora in alcuni tratti (il che costringe camminatori e ciclisti a percorrere la parallela, pericolosa, Statale 16 Adriatica) unisce nove località (Francavilla al Mare, Ortona, San Vito Chietino, Rocca San Giovanni, Fossacesia, Torino di Sangro, Casalbordino, Vasto e San Salvo), sei riserve naturali (Punta dell’Acquabella, i Ripari di Giobbe, la Grotta delle Farfalle, la Lecceta, il Bosco di Don Venanzio e Punta Aderci) e 16 trabocchi, per una pedalata o una camminata facile, completamente in pianura, adatta a tutti, specie ai ciclisti “lenti” che vogliono prima di tutto godersi il paesaggio, fermarsi a scattare foto, prendere il sole, mangiare pesce in un trabocco e poi ripartire.
Sul percorso, che in certi punti sembra precipitare fin dentro il mare, s’incontrano ponti, gallerie e opere di contenimento idrogeologico costruite per proteggere scarpate e torrenti. Tutte strutture che nel tempo potrebbero essere trasformate in altrettante installazioni d’arte contemporanea all’interno dell’intero progetto regionale Bike to Coast, che nel futuro prevede una ciclabile unica di oltre 130 chilometri con vista sull’Adriatico. La Via Verde è dunque soltanto il primo passo, anche se un tratto significativo è già funzionante.
«In attesa della conclusione dell’intero progetto, non ce ne stiamo certo con le mani in mano» ci spiega Roberto Di Vincenzo, presidente del Gal Costa dei Trabocchi e deus ex machina di ciò che si muove (in bici) su questo territorio. Qualche mese fa è stata infatti inaugurata la Rete ciclabile dei Trabocchi, che dal mare porta nella prima fascia dell’entroterra, fra colline, strade interpoderali e comunali, sentieri e vie panoramiche. Il percorso, caratterizzato da 12 tour per e-bike segnalati per un totale di 263 chilometri, con il supporto dell’azienda fornitrice di energia Metamer, che ha permesso l’installazione di una efficace segnaletica, insieme con la Via Verde sarà al centro dell’evento Art, bike, run and wine, previsto dal venerdì alla domenica del secondo finesettimana di giugno per promuovere un nuovo modo di vivere sostenibile all’insegna di ciclismo, corse, passeggiate, street art e saporite degustazioni delle tipicità enogastronomiche abruzzesi.
Proviamo allora a incamminarci lungo la Via Verde. Partiamo da Ortona, a sud dei Ripari di Giobbe e, dopo aver infilato le gallerie dell’Acquabella, entriamo nel territorio di San Vito Chietino, sull’insenatura dove si erge il trabocco, che ispirò D’Annunzio, detto Turchino per via di “un fanciullo seminudo agile come un gatto, bruno come un bronzo ricco d’oro coi suoi occhi acuti d’uccel di rapina”: Florindo Di Cintio, giovane “traboccante” dagli occhi azzurri, il bisnonno di Raffaella De Francesco. Ecco dunque scoperta la motivazione affettiva dell’insolito regalo ricevuto dal marito. «Avremmo dovuto acquistare quel trabocco, oggi di proprietà comunale, per custodire con precisione la memoria della nostra famiglia – puntualizza Raffaella –.
Ma anche la macchina da pesca di Punta Aderci ha un suo valore testimoniale di quei tempi e di quella attività, che non ho intenzione di snaturare trasformandola in una rotonda-ristorante sul mare, ma in un approdo d’altri tempi dove gli ospiti (privati, scolaresche, associazioni) possano contemplare la natura, studiando la cultura del territorio e quel sapere marinaio in gran parte perduto». Dopo aver rimirato nei pressi l’Eremo dannunziano, di proprietà privata, ci spingiamo lungo la Via Verde sul tratto di Rocca San Giovanni, dove nel 1960 una grossa balena s’incagliò sugli scogli.
Un cartello con tanto di foto in bianco e nero immortala quel momento. Siamo a punta Tufano, ribattezzata per quell’evento Punta della balena, regno di Rinaldo Verì che da attivo socio Touring organizza nel suo trabocco visite guidate per piccoli gruppi con spiegazione storica, prova di pesca e degustazione di prodotti tipici.
«Secondo una ricerca dello storico Pietro Cupido, pubblicata nel volume Trabocchi, traboccanti e briganti – spiega Verì – a idearli sarebbero stati, a metà del Seicento, un gruppo di ebrei provenienti dalla Francia. Tra questi, la famiglia Verì, i miei avi, che insieme agli Annecchini, giunti dalla Germania, cominciò a costruire ponteggi e passerelle sul mare su cui arpionare con le fiocine i pesci di passaggio. In seguito, con l’arrivo della ferrovia, furono a disposizione legno e acciaio per perfezionare le macchine pescatorie.
Negli anni ‘40 del Novecento, i miei zii trasferitisi sulla costa toscana, smontarono il trabocco e lo ricostruirono pezzo per pezzo a Castiglion della Pescaia (oggi non ce n’è più traccia) quindi dopo vent’anni rientrarono in Abruzzo e lo riedificarono a punta Tufano per perderlo di nuovo nel 1980. A questo punto sono intervenuto io e l’ho innalzato di nuovo nello stesso luogo».
Di nuovo in sella sulla Via Verde giungiamo a Fossacesia, sulla cui collina domina la maestosa abbazia benedettina di S. Giovanni in Venere; qualche chilometro ancora ed ecco apparire il lungomare sud di Torino di Sangro dove in località Fosso del Diavolo c’è un tratto di spiaggia libera per naturisti. Quindi è la volta di Casalbordino Lido, con le sue dune e la pineta di Santo Stefano in Rivo e poi, meraviglia, la Riserva naturale di Punta Aderci, a picco sul mare (dove la pista è su terreno battuto) che comprende le spiagge di Mottagrossa, dei Libertini e di Punta Penna nei pressi del porto di Vasto, l’unica dotata di servizi. Toglie il respiro la naturale bellezza delle dune, della sabbia dorata e dei vasti panorami dove in un abbraccio ancestrale, il mare sembra toccare la Maiella, il Gran Sasso, i Monti della Laga e, nelle giornate limpide, anche il Conero.
Percorrendo due chilometri di Statale adriatica, arriviamo a Vasto Marina, insignita più volte della Bandiera Blu, dove la pista ciclabile, che non è più lungo il tracciato dell’ex ferrovia, conduce allo straordinario giardino botanico di San Salvo Marina e da qui fino al confine con il Molise. Termoli, pur lontana una trentina di chilometri, appare come una visione dall’alto del centro storico di Vasto, che si può raggiungere attraverso un percorso a pettine: oltre si staglia come il dorso di una balena il promontorio del Gargano, con altre storie, con altre vite e con altri trabocchi. Ma il Turchino, il giovane traboccante dagli occhi azzurri, continua a vivere solo qui.