Toscana, la dolce vita degli Etruschi

Da Pitigliano e Sorano, Bandiere Arancioni Tci nel Grossetano, a Vetulonia: nuove scoperte e nuovi musei svelano le passioni dell’antico popolo

 

Un suono dolce e vibrante che proviene da lontano, affondando le radici in una storia lunga 2.600 anni, ci rapisce e ci trascina nei simposi etruschi, quei momenti di aggregazione che seguivano i banchetti, dedicati ai soli pasti.

Le ore simposiali erano scandite dal piacere e dall’ozio, dalle note musicali e dalle danze e bagnate da fiumi di vino mescolato con acqua, essenze o formaggio grattugiato. Siamo a Castiglione della Pescaia, in provincia di Grosseto, l’antica città di Vetulonia, l’etrusca città-Stato di Vatl, e ad attirarci sono i flauti in legno di bosso della nuova sezione appena inaugurata al Museo civico, tutta dedicata all’ozio degli Etruschi. A rinvenire i resti di questa città di cui si ignorava la localizzazione, l’unica tra le dodici città-Stato della Dodecapoli etrusca a essere considerata scomparsa, fu il medico condotto Isidoro Falchi, cui è intitolato il museo. Era il 1880 e a Falchi furono mostrate alcune monete sulle quali identificò la scritta Vatl, intuizione che gli attirò l’invidia del mondo accademico, ma grazie alla quale fu dato impulso agli scavi che riportarono alla luce Vetulonia.

In questo museo della città, simbolo dell’opulenza etrusca, si rimane incantati a osservare momenti di vita declinati in musica, simposio e poesia, il cosiddetto tempo libero. L’Angolo dell’otium, arricchito con reperti e copie di altri musei d’Italia, introduce ai giochi di società, che ricoprivano uno spazio speciale nell’ozio – dadi, pedine, il kottabos, il gioco da tavola per famiglie –, ma anche al consumo di vino e ai vasi utilizzati per la “mescia” con acqua, miele e spezie e, soprattutto, espone modelli di flauto di legno che, grazie a un’app del museo, risuonano come millenni fa. La riproduzione dell’antico suono del flauto etrusco è il frutto di 10 anni di studi condotti dal musicista Stefano Cantini e dall’archeologa Simona Rafanelli (direttrice del museo di Vetulonia), che hanno portato alla realizzazione di uno strumento con la presenza di un’ancia che garantisce il medesimo suono dell’antichità. Passi di danza e note musicali sembrano scandire ancora oggi gli itinerari nelle altre città etrusche della Maremma, scorrendo lungo le acque turchesi delle sue località marittime e insinuandosi nell’entroterra tra castelli, borghi e paludi. Una vegetazione a tratti arida, un sole presente oltre 300 giorni all’anno che, in connubio con il maestrale, genera un cielo quasi sempre terso. Il panorama si perde a vista d’occhio tra pini e vigne, care anch’esse agli Etruschi. 

Proprio il popolo italico pare le avesse portate dalla Tracia all’Italia centrale. Plinio il Vecchio racconta che a Populonia, altra città-Stato (che si trova nell’attuale provincia di Livorno), fosse conservata una statua di Giove intagliata in legno di vite, sebbene le prove più tangibili della circolazione del vino in queste zona arrivino dalla produzione di anfore di ceramica per il vino rinvenute in grandi quantità nelle tombe dell’epoca.

Oggi Populonia è più di un sito archeologico, è un comprensorio tra i più dinamici del territorio maremmano. Qui svolgono attività di ricerca e di scavo diverse università e i ritrovamenti sono quasi quotidiani. Un sito in fieri, le cui scoperte il visitatore ha la gioia di condividere quasi in tempo reale con gli studiosi. Come nel caso del recente rinvenimento del mosaico dei Neri, che sarà visibile al pubblico già da questa primavera. 

Dall’acropoli di Populonia la vista sull’arcipelago toscano è uno degli spettacoli più struggenti che la natura possa offrire. Con un unico sguardo si ha la possibilità di ammirare le isole dell’arcipelago e la Corsica, mentre il golfo di Baratti si apre ai piedi del promontorio in tutto il suo splendore. Proprio in questo porto, considerato sicuro, approdavano i naviganti del tempo prima di affrontare le onde impetuose del Mar Ligure. E non è un caso che Populonia sia l’unica città etrusca edificata sul mare. Nell’abbraccio tra il promontorio e il golfo si staglia l’acropoli, punteggiata di templi, mentre le necropoli sono sparse ovunque nella sottostante piana di San Cerbone. Se l’ozio ricopriva un ruolo fondamentale nella vita degli Etruschi, è altrettanto vero che esisteva una classe media molto laboriosa che si occupava di estrazione e lavorazione del ferro presente in misura copiosa sul territorio. I metalli dell’Elba venivano lavorati ed esportati a bordo delle navi lungo la rotta del Mediterraneo, mentre la vicina Piombino era un porto di smistamento. Di questo comprensorio fa parte anche il Museo Archeologico di Piombino, con affaccio privilegiato sul mare.

Anche Follonica ha una storia metallurgica molto importante grazie alla ghisa, cui è dedicato il museo Magma, ospitato negli spazi del Forno San Ferdinando. Racconta una storia appassionata di industria siderurgica italiana, è un importante esempio di archeologia industriale e testimonia delle attività estrattive del territorio etrusco di Massa Marittima. 

Il ritmo lento maremmano riprende lungo le Vie Cave, intagliate nel tufo dagli Etruschi, lungo le quali troviamo necropoli con tombe a dado e a semidado, che disegnano percorsi profondi, come a Sovana, una cittadina caratterizzata oggi dall’architettura medievale della chiesa e museo intitolati a San Mamiliano, evangelizzatore della Maremma. Qui è esposto il tesoretto di 498 zecchini d’oro ritrovati sotto il pavimento della chiesa, probabilmente messi da parte dalla cittadinanza per i tempi di pestilenza e carestia. L’area archeologica della Tomba Ildebranda, risalente al III secolo e dedicata probabilmente a Papa Gregorio VII, lldebrando da Soana, è forse una delle testimonianze più monumentali della zona. A una manciata di chilometri da Sovana troviamo la città del tufo per antonomasia, Pitigliano, incantevole borgo sede di una sinagoga e di una comunità ebraica, noto come Piccola Gerusalemme per gli ottimi rapporti fra ebrei e cristiani. Chiude l’itinerario Sorano, aggrappata a speroni di tufo e abbarbicata alla fortezza medievale degli Orsini, l’unica del territorio mai espugnata.

Fotografie di Giacomo Fe
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