Idee. In questo mare di concessioni

La sintesi del webinar moderato da Massimiliano Vavassori, direttore relazioni istituzionali del Touring, cui hanno partecipato il presidente del Tci Franco Iseppi; Marco Buticchi, imprenditore balneare e scrittore; Graziano Debellini, presidente di TH Resorts; Marina Lalli, presidente di Federturismo Confindustria, e Sebastiano Venneri, responsabile Territorio e innovazione di Legambiente.  

Se non ci fossero in ballo 15 miliardi di euro di giro d’affari, decine di migliaia di posti di lavoro e il 40 per cento delle presenze turistiche in Italia, per la questione delle concessioni balneari si potrebbe parlare di una lunga telenovela. La vicenda si trascina da decenni, ma negli ultimi mesi ha subito un’accelerazione in seguito alla sentenza del Consiglio di Stato che impone la scadenza di tutte le concessioni a fine 2023 e a un emendamento al disegno di legge sulla Concorrenza del Consiglio dei ministri, mirato a riformare il sistema.

Per approfondire la questione, lo scorso febbraio il Centro Studi del Tci ha organizzato un webinar, moderato da Massimiliano Vavassori, direttore relazioni istituzionali del Touring, cui hanno partecipato il presidente del Tci Franco Iseppi; Marco Buticchi, imprenditore balneare e scrittore; Graziano Debellini, presidente di TH Resorts; Marina Lalli, presidente di Federturismo Confindustria, e Sebastiano Venneri, responsabile Territorio e innovazione di Legambiente.

«Anche su questo tema, come sempre, il Touring – ha esordito il presidente Iseppi – ha una posizione propositiva e si augura che la risoluzione del problema possa assumere le caratteristiche del rammendo, per usare un’espressione di Renzo Piano, basato sulla effettiva innovazione di un comparto strategico». Un intervento da affrontare con pragmatismo non divisivo, visto che si parla di accesso alle spiagge e di modello di accoglienza. «È necessario – conferma Iseppi – fare uno sforzo per conciliare concorrenza, investimenti, occupazione, tutela della diversità e rispetto dell’ambiente».

«È una situazione che si protrae da troppo tempo e che scaturisce da un grave errore di interpretazione della direttiva comunitaria – ha sottolineato Marina Lalli –. Stiamo lasciando in balia del nulla i nostri concessionari; non solo per ciò che riguarda le spiagge, ma anche per le concessioni di impianti sciistici, cantieri navali ecc., il rischio è che i nostri imprenditori si trovino in una competizione impari con multinazionali straniere pronte a spendere cifre “impossibili”. E l’incertezza ha frenato gli investimenti a danno del pubblico e della competitività del comparto, non essendo previsto il riconoscimento né dell’ammortamento né dell’avviamento al concessionario uscente».

«Per il Lido di Lerici, che gestisco da più di 30 anni, ho un contratto di concessione di 40 pagine, con indicata la scadenza al 2033 – rincara Marco Buticchi –. Ora arriva una sentenza e cambia tutto. Se è vero che la spiaggia è del demanio, l’impresa è mia, ci ho investito io e deve essermi riconosciuto. È una sentenza di pura demagogia, come demagogico è il ritornello “i concessionari pagano poco di canone”: nessuno si rifiuta di farlo né, mi risulta, lo Stato ha avviato una trattativa per rivedere i canoni».

E non è certo musica per le orecchie dei concessionari italiani il fatto che Spagna, Portogallo e Grecia, gestendo tempestivamente l’impatto della direttiva europea, abbiano di fatto “blindato” le loro spiagge. Caso diverso la Francia, dove dal 2017 è a regime il Décret plages voluto dal governo di Jacques Chirac nel 2006 che, nonostante vigorose proteste, ha imposto lo smantellamento di numerosi (e anche celebri) stabilimenti balneari. Prescrive infatti che almeno l’80 per cento della lunghezza del litorale e della superficie degli arenili resti di libero accesso e sgombro da ogni genere di costruzione.

«Quando ho letto davvero la direttiva europea ho capito come molti altri Paesi abbiano potuto metterla in pratica senza fare danni – segnala Graziano Debellini – e mi sono irritato: in Italia si sono persi 15 anni di proroga in proroga. Confrontandomi con i sindacati e gli operatori ho constatato che, in realtà, esisterebbero gli spazi e gli strumenti per uscire da questa impasse senza limitarci a sventolare lo spettro del “primo straniero che passa ci sottrae le concessioni”.

Non abbiamo mai riflettuto abbastanza sul come interpretare la direttiva, siamo troppo divisi tra noi e incapaci di un confronto con il governo. Basta guardare al fisco: tutti parlano di prezzi alti ma nessuno menziona il fatto che, rispetto per esempio alla Grecia, esiste un cuneo fiscale a nostro sfavore del 10%».

«Le spiagge fanno parte del demanio marittimo, “bene comune per eccellenza” – rimarca Sebastiano Venneri – demanio vuol dire molto di più che patrimonio dello Stato; i termini sono importanti. E invece su questo gioiello, attraverso l’istituto della concessione, si è creato uno strumento che configura una sorta di proprietà. Una situazione che favorisce il gigantismo degli stabilimenti balneari. E ne vediamo il risultato se si affronta il tema delle spiagge libere, dove in mancanza di una norma nazionale le Regioni vanno in ordine sparso o non hanno fatto le norme, sempre che siano anche fatte rispettare. Cito solo il caso del Lazio, in teoria virtuoso con un 50% del litorale libero da concessioni. Ma basta andare a Ostia per toccare con mano lo scempio: non si vede neppure il mare. Al posto di un lungomare c’è il “lungomuro”, come a Legambiente abbiamo ribattezzato le recinzioni».

Una situazione senza uscita? «Proprio il riferimento al Lazio e ai recenti fatti di cronaca – ha ripreso Massimiliano Vavassori – pone il quesito se il modello di affidamento ai Comuni della gestione di queste risorse possa ritenersi efficiente, o non sarebbe più opportuno pensare alla creazione di Agenzie su base territoriale più estesa, per pianificare meglio il destino dei nostri litorali». E, più in generale, sul cammino da seguire per evitare che, dopo la stagione delle proroghe, si prospetti quella di provvedimenti “calati dall’alto” destinati giocoforza a creare scontento o, peggio, contenziosi legali che potrebbero protrarsi per decenni, contribuendo a impoverire il “sistema Italia”.

Forte del proprio approccio propositivo, il Touring si è detto pronto a condividere con gli operatori del settore un tavolo di confronto che affronti il tema delle nuove regole legate all’adeguamento alla normativa comunitaria andando oltre il dato meramente economico. «Non ci deve interessare chi gestisce quella spiaggia – ha sintetizzato Venneri insieme a Vavassori, trovando l’accordo degli altri partecipanti al webinar – ma come è gestita, che qualità offre agli ospiti, quali obiettivi di sostenibilità ambientale fanno parte di quel progetto. Ed è dal confronto tra tutti gli interessati che si possono individuare dei criteri condivisi da applicare per un’assegnazione delle concessioni basata su una strategia realmente improntata alla qualità».

Una visione che trova conferma anche da ciò che trapela da Palazzo Chigi, dove si fa sapere che le gare di assegnazione dovranno “favorire la partecipazione delle piccole imprese, delle microimprese e di enti del terzo settore”. Individuando anche un numero massimo di concessioni di cui si può essere titolari. Un cambio di passo, mirato a realizzare standard di riferimento per accessibilità e sostenibilità degli stabilimenti balneari, oltre per le percentuali di spiagge di libero accesso, che in realtà, più che dalle norme europee – concordano Touring e Legambiente – ci è imposto dal cambiamento climatico e dai suoi effetti erosivi. In 40 anni, in Italia, l’erosione delle coste si è “mangiata” oltre 13mila strutture balneari, grosso modo quante ne abbiamo oggi. Ecco perché entrambe le associazioni invitano tutte le parti in causa a un “incontro in rete” per elaborare una proposta legislativa condivisa da sottoporre al governo.

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