di Stefano Brambilla
Fino al 29 maggio il progetto "Treviso contemporanea" fa il punto sul tema "mappare il mondo"
Ci sono almeno due motivi per programmare una visita al progetto Treviso contemporanea. Il primo è che questa nuova piattaforma, ideata da Fondazione Benetton Studi e Ricerche e Fondazione Imago Mundi, prende vita da una triplice mostra dedicata al tema “Mappare il mondo”, dove le mappe sono intese come strumenti che aiutano a capire chi siamo, a collocarci in uno spazio, a interpretare lo scenario in cui ci muoviamo – sia esso geografico o sociale. Il secondo è che queste tre mostre sono allestite in altrettanti luoghi riportati recentemente a nuova vita dalla Fondazione Benetton grazie a un restauro intelligente, a volte provocatorio, comunque sempre degno di nota. Un’occasione ideale, dunque, per esplorare una nuova mappa di Treviso, associandola a quella più storica e tradizionale dei canali e dei monumenti; e insieme per approfondire e riflettere sulla nostra immagine del mondo. Ecco che cosa troverete ad accogliervi nei weekend sino alla fine di maggio.
Come disegnare il mondo
Prendete un planisfero. Come si disegna lo spazio? Chi decide che cosa metterci al centro e perché? E l’orientamento? «Le mappe vengono utilizzate, a torto, come sostituti della realtà, spesso con leggerezza e in modo irriflessivo» spiega Massimo Rossi, curatore della mostra Mind the Map! Disegnare il mondo dall’XI al XXI secolo. «Bisogna prestare loro attenzione, invece: ogni mappa dipende da un punto di vista, dalla coscienza critica del proprio posto nel mondo. Questa mostra vuole proprio essere un’operazione sull’immagine del mondo che l’uomo si è dato nel tempo, e di conseguenza sulla responsabilità che il genere umano ha sul mondo che abita». Un concetto che vi apparirà chiarissimo a mano a mano che scoprirete i tentativi audaci di disegnare lo spazio terrestre da parte dell’uomo: da quando le colonne d’Ercole erano il confine di ogni carta (sezione Non plus ultra) all’epoca delle scoperte geografiche (sezione Plus ultra), agli atlanti moderni (sezione Theatrum orbis terrarum). Non aspettatevi mappe in carta, tela o pergamena: sono pochissime. Il racconto è affidato a immagini in altissima risoluzione ottenute da biblioteche di mezzo mondo (le mappe antiche spesso sono inamovibili) e riportate su grandi pannelli dalla grafica curata e raffinata. Il tutto allestito sui tre piani di Ca’ Scarpa, magnifico spazio dalla storia complessa (era dapprima una chiesa, S. Maria Nova; poi è stato a lungo parte dell’Intendenza di Finanza della città). A metterci le mani, con un restauro concluso nel 2020, è stato Tobia Scarpa, figlio di Carlo, uno dei nomi più insigni dell’architettura italiana del Novecento, che ha ricucito gli strappi prodotti dai vari passaggi storici. L’insieme di scale, strutture metalliche e luci perfettamente studiate vale da solo la visita.
Tra i maghi della terra (sacra)
«Se vi sembra un’operazione insolita quella di inserire l’arte degli aborigeni australiani all’interno di una chiesa italiana, in realtà i punti di contatto sono molti di più di quanto si potrebbe immaginare». D Harding è il curatore di Terra Incognita: l’inclusività è la strada giusta. È lui – di origine aborigena – ad aver pensato di disporre sul pavimento della chiesa sconsacrata di S. Teonisto 228 tele appartenenti alla collezione di Luciano Benetton, frutto di diverse esperienze ed espressioni. «Se ci pensate – dice in collegamento da Brisbane, in occasione della presentazione della mostra – il contesto naturale australiano in cui gli aborigeni dipingono da millenni pitture sulla roccia ha la stessa sacralità di una chiesa europea. Sono spazi che ci chiedono di essere meglio di noi stessi, paesaggi sacri che creano un percorso di conoscenza». Ed è proprio l’effetto-sorpresa dell’installazione a lasciare a bocca aperta: non conta tanto la comprensione delle singole tele (che sono legate a miti ancestrali e a mappe mentali indecifrabili agli europei, visto che gli stessi aborigeni sono restii a rivelare e a spiegare la loro concezione del mondo); quanto la bellezza dell’insieme e la suggestione di un paesaggio culturale “altro da noi”.
Cartogrartisti oggi
Lo dice lo stesso sottotitolo della mostra: Cartografie del sé nell’arte di oggi. Ci possono essere anche mappe “alternative”, complementari rispetto a quelle tradizionali: rispondono alla necessità di analizzare il rapporto tra realtà e rappresentazione, tra mondo esterno e percezione individuale. Appunto un Atlante temporaneo, perché le nostre sensazioni continuano a cambiare. «Le opere dei 14 artisti in mostra propongono una mappa che coinvolge il vissuto e l’intimità personale di chi le ha realizzate», spiega il curatore Alfredo Cramerotti. «Del resto, ciò che noi leggiamo in una rappresentazione dipende non dalla sua verosimiglianza rispetto al soggetto rappresentato, ma dai metodi e dalle regole che adottiamo per la sua lettura». Così, nell’affascinante spazio delle ex carceri asburgiche, le Gallerie delle Prigioni, circondati da celle anguste e finestrelle sbarrate, ci si muove tra i materiali e i mezzi artistici più vari: dai lavori in 3D di Maheke alle fotografie “immaginifiche” di Raad, dal diagramma di flusso di Deller alla poltrona di Lewis, circondata da bicchieri di whiskey e da 195 fogli in cui sono riportate, espresse in secondi, le aspettative di vita media di ogni singolo Stato del mondo. Un invito a indagare se stessi, mappandosi e rielaborandosi.
INFORMAZIONI
Treviso Contemporanea - Ca’ Scarpa (via Canova 11), Chiesa di S. Teonisto (via San Nicolò 31), Gallerie delle Prigioni (piazza del Duomo 20); trevisocontemporanea.it - Venerdì dalle 15 alle 19; sabato e domenica dalle 10 alle 19. Fino al 29 maggio - Biglietto ridotto per i soci Tci