Muoversi. Good job, mr. Witt

Ricorrono oggi i 90 anni della prima corsa di un mezzo che è ormai un’icona della mobilità italiana, sebbene sopravvissuto in forze solo a Milano: il tram a carrelli. È infatti dal 20 novembre 1927 che i tram della serie 1500 circolano nella città lombarda. Prima della seconda guerra mondiale ne furono messi in servizio 500, oggi ne circolano ancora 125 e nessuno ipotizza di pensionarli.

Icona di Milano
Le “carrelli” o “28” (da 1928, l’anno in cui cominciarono effettivamente a essere usate) sono ormai, dopo il Duomo, il soggetto preferito per i selfie dai turisti stranieri che rischiano l’investimento – tipicamente in piazza della Scala – per immortalarsi con alle spalle una di queste vetture. E vanno in estasi nello scoprire che ancora oggi gli interni sono di legno (vero!) e le plafoniere di vetro. Solo i comandi di guida, per fortuna, sono stati adeguati agli standard di sicurezza d’oggi.

Un gioiello di tecnologia
Pochi, però, sanno che questi straordinari – in primis per solidità – mezzi pubblici si devono a un ingegnere di Cleveland, Peter Witt, che nel 1911-15 fu responsabile della rete dei mezzi pubblici della città americana. E che ideò lo schema di queste vetture, straordinariamente maneggevoli e felicemente organizzate: due sole porte con predelle ribaltabili, azionate dal sistema pneumatico; davanti un settore con panche longitudinali per i brevi percorsi, dietro un settore con sedili trasversali per chi faceva tratti più lunghi.

Idea di successo
I tram a carrelli Peter Witt, riconoscibili per la carrozzeria “chiodata”, trovarono rapidamente impiego in una ventina di grandi città statunitensi, da Baltimora a Saint Louis, in Europa a Madrid e Milano (poi anche a Torino, Roma e Napoli). Il senso pratico dei milanesi, però, rapidamente portò alla modifica del settore posteriore: aggiunta una terza porta in coda, quello che era nato come “salottino fumatori” divenne un secondo spazio a panche longitudinali e ben presto si trovò la soluzione vincente. Ovvero salita anteriore per gli abbonati, controllati “a vista” dal manovratore; dietro invece i passeggeri che avrebbero acquistato il biglietto dall’addetto, posto tra loro e la porta centrale di discesa.

Il futuro?
Guai a chi tocca le “carrelli” ai milanesi. Il cielo della città risuona ancora degli insulti ai pubblici amministratori che accompagnarono un decennio fa la vendita all’asta di una decina di vetture. E il paradosso è che, tra i passeggeri più affezionati, ci sono proprio quegli anziani che più fanno fatica a inerpicarsi su queste vetture: le nuove tecnologie tentano di mitigarne rumorosità e scossoni, ma nulla possono contro i due gradini che bisogna superare per salirvi.

 

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