di jacopolist
Giassudin Saddar è un contadino. Vive nel villaggio di Mugarjo, nel distretto di Pirjopur nel sud del Bangladesh. È un territorio in continua trasformazione il suo. È a poche decine di chilometri dall’oceano, ma non lo si sente e non lo si vede. Però si sentono e si vedono le maree che alzano e abbassano il livello del dedalo di canali che drenano il territorio. Un dedalo che meglio si raffigura come arterie e capillari di acqua. Un complesso sistema che risente del mare, ma anche degli immensi fiumi Gange (qui chiamato Padma) e Brhamaputra.
Il terreno è composto da limo fine che lentamente si comprime sotto il proprio peso al ritmo di 2.9-5.6 millimetri all’anno. A questo sprofondamento si aggiungono i 1.7-3.0 millimetri annui di risalita del livello marino legati al riscaldamento climatico. Più a Sud nel paese, livello marino e subsidenza hanno già reso salinizzati e quindi incoltivabili da 83 a 105 milioni di ettari di terreni dal 1973 ad oggi.
In un ambiente così mutevole. Giassudin e I contadini di Mugarjo il terreno su cui vivono e coltivano se lo sono letteralmente costruito sotto i piedi, alzandolo da una palude che non interessava a nessuno.
“È stato mio nonno a trovare questo posto. Ha comperato il terreno per pochi thaka”, dice con una certa soddisfazione. “L’intera area era una palude allagata!”
Arrivato qui, il nonno di Giassudin, come altri contadini, aveva un progetto. Ha acquistato e trasportato terra per depositarla in questo che era un acquitrino inondato da maree di un metro, fino a quando finalmente ha potuto costruire una casa.
I nuovi arrivati hanno continuato a trasportare terra (e continuano a farlo oggi), hanno piantato alberi, drenato il terreno, e poi hanno cominciato a coltivare. Nel giro di una generazione in questo angolo del Bangladesh sorgeva un villaggio contadino, produttivo e colorato.
Ancora oggi si ricavano il loro territorio in un luogo considerato di nessun interesse, perfino ostile. Alcuni parlerebbero di resilienza ai cambiamenti ambientali. Perché qui clima e ambiente stanno cambiando rapidamente.
Il villaggio di Giassudin è attraversato da un dedalo di canali. È una Venezia verdeggiante, con alberi e liane al posto di palazzi. Ci sono mille ponti di bambù invece di ponti in mattoni e pietra. C’è un silenzio interrotto dalle voci delle famiglie, dai bambini che si tuffano nei canali, o da qualche rara lancia a motore.
Sembra una giungla, ma è una foresta interamente domesticata.
“Nei villaggi vicini non hanno i canali, qui non abbiamo bisogno di auto o ricksaw. Io ho la mia barca, trasporto grandi quantità di riso o frutta, senza troppa fatica. Due volte la settimana vendo i miei prodotti ai commercianti, e con questo mantengo la famiglia e alcuni braccianti. Mangiamo bene, abbiamo una doccia di fronte a casa. Siamo fortunati”, conclude.
“Abbiamo piante di cocco, mango, guava, amrha, chambol”, dice. “Anche se eravamo poveri ce la siamo cavata e qui stiamo bene, ci siamo adattati alle inondazioni. Abbiamo un mercato di frutta e verdura sul fiume, ce la faremo”, spiega accennando alle incertezze future.
Il mercato ortofrutticolo di Pirojpur (si raggiunge da Khulna) è vivace, attivo. Sta diventando una attrazione turistica per i locali.
