di jacopolist
Si dice che in certi casi il viaggio è una neccessità. Ed è anche la base di ogni narrazione fantasiosa che parla di un viaggio. Questa è la storia, e non è fantasiosa, di Naseem che fin dalla sua adozione ha coltivato la curiosità e il desiderio farsi catturare dalle proprie radici, che da Firenze lo riporteranno, una volta cresciuto, nel caos tropicale di Delhi.
Daniele Gouthier, custode della storia di Naseem ha deciso di scrivere Sulle Tracce di Un Sogno. Una Storia Vera.
Ho chiesto a Daniele di spiegarmi come è nato il racconto
Daniele: Naseem, il protagonista, nell'estate del 2014 è venuto a trovare me e la mia famiglia. Non ci vedevamo da anni e ci ha mostrato molte foto del suo viaggio in India alla ricerca di "casa". Con poche parole e tante indimenticabili immagini ha condiviso con noi il succo della sua storia. Mi è parsa subito che meritasse di essere raccontata. Gli ho chiesto se potevo provare a scriverla. Ha accettato e io in quell'autunno ho iniziato un approfondito lavoro di interviste a Naseem e alle persone attorno a lui.
E se dovessi dirmi cosa hai imparato ascoltando Naseem?
Daniele: Credo che i ragazzi, ma anche i lettori che pensano di non essere più tali, continuino a credere ai propri sogni e li perseguano anche, o soprattutto, se sembrano impossibili. E, poi, quella di Naseem è una storia vera che ci mostra come il viaggio si faccia passo dopo passo e non solo riuscendo a raggiungere la meta. E' una vicenda corale, con protagonisti di paesi, culture e religioni diverse, ci insegna a metterci in cammino assieme al di là delle mille piccole grandi differenze che sembrano dividerci. Ma il messaggio che mi sta più a cuore è che tutti abbiamo il diritto di provare a realizzare il sogno di un bambino.
Quando parliamo di viaggio è spesso connotato con la vacanza, il momento di stacco dalla quotidianità, la routine del nostro stile di vita occidentale. La tua storia mi pare che mostri un altro aspetto del muoversi…
Daniele: Non sono il padre di Naseem. Sono il padre di quattro figli, due biologici e due adottivi. La prima figlia adottata, la terza figlia della famiglia, era piccolissima (pochi mesi) nello stesso istituto di Delhi dove viveva Naseem nel 1999 quando la nostra e la sua famiglia sono andati a conoscerli e a prenderli. Quello del 1999 fu il nostro primo viaggio in India - negli anni ne seguirono altri tre tutti "speciali", ma il primo fu eccezionale da molti punti di vista. Era la prima volta che sentivamo l'odore dell'India. La prima volta che iniziai a percepire la differenza profonda fra il determinismo occidentale che riduce le situazioni dal complesso al semplice e la complessità indiana nella quale ci si muove assieme a tutto il resto del contesto. Vivemmo quel viaggio con altre quattro famiglie adottive, tutte e cinque stavamo andando a conoscere i nostri figli. Tutte e cinque avevamo caratteristiche uniche, chi gioiose e chi dolorose, estremamente dolorose; e questo viaggio ci unì e ci tiene uniti ancora oggi a vent'anni di distanza, anche se in alcuni casi, come con la famiglia di Naseem, non c'è stata frequentazione nei lustri successivi. Essere in India per accogliere nostra figlia Anshi (e cinque anni dopo tornarci per Somu, un sorridente bimbetto di Mumbai) ha voluto dire per mia moglie e me sperimentare l'urgenza di conoscere il più possibile dell'India per portarcene dietro qualche pezzetto da condividere con nostra figlia. Sentivamo il bisogno di non vedere la Delhi turistica ma di stare con i bambini dell'istituto, con le didi che ci lavoravano, di girare per le strade con e come gli indiani. E averlo fatto in condivisione con altre quattro famiglie è stato un dono del tutto inatteso di cui godiamo ancora oggi a vent'anni di distanza.
(Tutte le foto sono di Naseem Campana)
