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Dodici fotografi per dodici scatti, scelti da loro per raccontare l’Italia che amano. Dai grandi maestri ai giovani talenti, un viaggio con protagonista il Belpaese. Ne è emerso un bellissimo ritratto collettivo. Nella buona e nella cattiva sorte (A cura di Daria Bonera e Barbara Gallucci)
MIMMO JODICE
Sperimentazione continua
«Questa immagine è stata realizzata in occasione di una mostra tenutasi sull’isola di S. Giorgio a Venezia nel 2011. È diventata per me importante perché coincide con la mia visione e la mia continua ricerca sul senso dell’infinito e dell’attesa». Con queste parole Mimmo Jodice, fotografo napoletano, racconta com’è nato lo scatto alla Riva degli Schiavoni. Fin dagli anni Sessanta ha puntato tutta la sua esperienza sull’avanguardia, la sperimentazione e la ricerca continua. La fotografia non poteva più essere solo un mezzo descrittivo, ma uno strumento creativo, in grado di dare libertà espressiva. E se in quegli anni frequenta Andy Warhol, Joseph Beuys, Gino De Dominicis, Sol LeWitt, Jannis Kounellis, è solo due decenni dopo che la sua arte raggiunge il grande pubblico internazionale grazie a una serie di mostre da New York a Parigi, da Mosca a Milano. Jodice continua a scattare ed è diventato un punto di riferimento per le nuove generazioni che osservano con stupore la lucida ricerca che emerge in ogni sua immagine.
FERDINANDO SCIANNA
La Sicilia per leggere il mondo
Da Leonardo Sciascia a Giuseppe Tornatore, passando per Dolce & Gabbana e il calendario Pirelli. Se c’è un fotografo italiano che, fin dagli esordi agli inizi degli anni Sessanta, ha espresso attraverso i suoi scatti lo spirito italiano nelle sue mille sfaccettature questo è Ferdinando Scianna da Bagheria. Un “lettore del mondo” come si descrive per l’agenzia Magnum con la quale collabora da molti anni. In questa immagine scattata nel 2010 a Portopalo, Siracusa, racconta di lavoro, fatica, persino orgoglio. «Qui finisce l’Europa. Un peschereccio si prepara a salpare per una pesca a lampuche (pesce bellissimo, dai colori sgargianti che svaniscono dopo la cattura, ndr). Li aspetta una notte lunga, dura, qualche volta pericolosa. Al ritorno ritroveranno scarsa paga, ma umana dignità».
GIANNI BERENGO GARDIN
Il fascino antico delle strade bianche
Alcune tra le sue immagini sono delle vere e proprie icone nel mondo della fotografia. Fin dagli esordi, negli anni Cinquanta, i suoi scatti sono comparsi sulle testate più importanti come Domus, Epoca, Le Figaro, L’Espresso, Time, Stern e Qui Touring per poi essere anche esposti in musei e gallerie a New York come a Milano. Raccontare l’Italia però rimane la sua cifra stilistica più straordinaria. Dai manicomi alla Milano delle case di ringhiera, dai baci ovunque alle contestazioni sociali, fino ai paesaggi più classici come questo. «La foto fu fatta per un libro del Touring, redattore Giuliano Manzutto. Quelle piccole figure si accompagnano nella calma e nella bellezza di un paesaggio grandioso. Questa fotografia della Toscana oggi non sarebbe più possibile farla perché le curve sono state rettificate, la strada da bianca è stata asfaltata ed è stato messo un guard-rail. Anche gli alberi sono scomparsi con la gelata del 1985». E una foto diventa così testimonianza storica di un mondo che non c’è più.
CESARE COLOMBO
Ritratti di ex immigrati ora nuovi italiani
«È il 17 marzo 2011. In tutto il Paese, sotto una pioggia continua, si celebra, in modo più o meno formale, il 150° anniversario dell’Unità d’Italia. Capitando per caso con la Nikon alle colonne di S. Lorenzo, nel cuore di Milano, mi accorgo che sotto il portico della basilica si alternano piccole rappresentanze di immigrati che, in modi diversi, ringraziano l’Italia, la nuova patria di cui sembrano orgogliosi. Tra essi un gruppo di colf filippine, la nazionalità di origine più numerosa tra i cittadini milanesi. Intonate ed eleganti – tra uno scatto e l’altro – cantano più volte l’inno di Mameli». L’Italia di oggi è anche questa e la coglie alla perfezione Cesare Colombo che proprio della società e della sua storia si fa interprete attraverso le immagini.
MARIO DONDERO
Il toro Urpino, simbolo di speranza
Potenza, fierezza, storia. La razza chianina rappresenta tutto questo. «Ho scattato questa foto a metà degli anni Ottanta alla Tenuta La fratta a Sinalunga in val di Chiana. Il protagonista assoluto è il toro di razza chianina fotografato sulle rive di un ruscello. Si chiamava Urpino e ha lasciato decine e decine di eredi. Insieme a lui Aldo Bianconi che se ne occupava a quei tempi. Questo scatto ebbe un grande successo e me lo richiesero dalla Germania, dalla Scandinavia e anche dagli Stati Uniti da dove mi chiamarono nel cuore della notte. Il toro è un simbolo di speranza e rappresenta i pregi antichi dell’Italia, non dettati dalla moda, ma radicati nella storia e nel territorio». Antropologia, legame con il territorio, cronaca e dinamiche sociali sono al centro del lavoro di Mario Dondero che, da una vita, mette su pellicola la potenza, la fierezza e la storia.
FRANCESCO RADINO
Un Paese libero, civile, onesto...
Esplorare la realtà, aprirsi a ogni aspetto del mondo, senza pregiudizi, ma con autentica curiosità. Francesco Radino ha sempre lavorato così. «L’Italia che amo! Così difficile a dirsi con poche misurate parole: dovrebbero essere metafora e sogno e poi ancora viatico e speranza, per rendere giustizia a questo Paese amato e operoso e così povero di prospettive nella sua pochezza presente. L’Italia che amo è libera, memore di se stessa, civile, onesta, ricca di risorse e di storia. Un’immagine che forse potrebbe simboleggiare questi concetti la possiamo trovare in una delle tante che ho realizzato durante la manifestazione “Se non ora quando?” del 13 febbraio 2011, quando decine di migliaia di donne scesero in piazza Castello a Milano per difendere la propria dignità offesa dall’ostentata raffigurazione delle donne come nudo oggetto di scambio sessuale offerta dalle cronache di questi anni». La realtà dura e pura che diventa bellissima.
PEPI MERISIO
Quel futuro appeso all'ancora
Inizia nel 1956 la collaborazione tra il Touring Club Italiano e il fotografo Pepi Merisio. Poco dopo entrerà nello staff di Epoca, allora la più importante rivista di reportage in Italia. Le sue foto raccontano un Paese che lavora, fatica, suda e prega, come in questa scattata al porto di Genova nel 1968. «Raffigura lavori di manutenzione nel bacino di carenaggio. La foto è stata pubblicata come immagine d’apertura del volume Liguria, edito nel 1969 proprio dal Touring, del quale curai tutta la parte fotografica. Queste scene non sono usuali. Quando capitano sembra che la macchina esiga lo scatto, tanto sembrano inverosimili questi spensierati operai appesi in qualche modo tra mare e cielo, sotto l’immensa prua...». La grande industria italiana degli anni Sessanta sembra ora un lontano ricordo, per fortuna immortalato negli scatti di Merisio.
ANGELO ANTOLINO
Panorami per riconciliarsi con il Belpaese
«Ho scattato questa foto nell’ottobre del 2012 mentre stavo realizzando un reportage sulla cementificazione nel Paese. Quella sera ero arrivato a Portovenere (Sp) dopo aver passato la giornata a fotografare gli scempi del paesaggio della Brianza. Durante la realizzazione di questo lavoro sentivo la necessità di trovare anche dei luoghi che mi potessero ristorare; dopo tutto il brutto che fotografavo ogni giorno avevo bisogno di vedere e di credere che ci sono ancora in Italia dei posti stupendi non devastati dalla furia edificatoria. In questa immagine si vedono gli scogli alle spalle di Portovenere e la costa della Liguria, che qui comincia, fino agli ultimi bagliori del sole a Ponente». Angelo Antolino fa parte di quella nuova scuola di fotografi italiani che sanno catturare i luoghi, il tempo e lo spazio senza filtri morali e senza sconti, ma con grande autonomia intellettuale.
CLARA VANNUCCI
La partita decisiva nei ghetti di Taranto
Non ha ancora trent’anni Clara Vannucci, ma ha già un curriculum e un portfolio eccezionali. Una residenza di un anno a Fabrica, il laboratorio culturale di Treviso, uno stage all’agenzia Magnum di New York, nonché una serie di partecipazioni a mostre collettive e individuali. Questa foto l’ha scattata a Taranto lo scorso settembre. «È un bambino che gioca a calcio nel cortile delle case parcheggio del rione Tamburi, quartiere a due passi dalle ciminiere dell’acciaieria Ilva. I circa 2.500 abitanti di queste case popolari inizialmente dovevano essere qui “parcheggiati” per pochi mesi, ma ormai ci vivono da più di trent’anni. Anche i tarantini provenienti dal resto del rione lo considerano un ghetto infernale covo di droga e criminalità. Arrivo nel quartiere al tramonto, noto subito l’asfalto e i palazzi sporchi di rosso a causa delle polveri dell’Ilva. Ho la fortuna di incontrare diversi abitanti, vogliosi di raccontare storie di famiglie devastate da tumori, disoccupazione o delinquenza, come se parlandone ritornasse una speranza per una vita che si possa definire tale».
MONIKA BULAJ
La porta dell'Europa verso l'Oriente
Storie di confine, di minoranze, di migranti e nomadi. Monika Bulaj, nata in Polonia, ma cittadina del mondo, con una passione per l’Italia, ha fin dagli inizi della sua carriera manifestato un interesse mirato per le immagini di popoli e umanità periferiche. In questa foto, scattata al porto di Trieste, sintetizza tutto questo. «Le grandi navi da crociera si avvicinano il più possibile per ammirare la bellezza della città. Trieste cattura la luce. Per me è importante perché è un luogo di partenza verso l’Oriente. Io stessa son partita tre volte da qui per andare a Istanbul con navi mercantili dove si incontra pochissima gente, magari una dozzina di persone al massimo. Tra gli incontri più interessanti quelli con gli autisti iraniani che passano il tempo a giocare a nard, un gioco persiano». Trieste continua a essere l’inizio di grandi storie e avventure.
ANDREA FORLANI
Una Milano da scalare
Di casa a Tallin come a Beirut Andrea Forlani sceglie la sua Milano per raccontare l’Italia che cambia, in particolare i nuovi grattacieli in piazza Gae Aulenti: «Potrà piacere o non piacere, ma non c’è dubbio che il monotono skyline milanese è stato stravolto dal progetto Porta Nuova. Un impatto visivo, urbanistico ma anche sociale paragonabile alla discesa di una nave aliena. Giocando con questo concetto e con la mia passione per le forme geometriche e la fantascienza, ho realizzato lo scatto forzando al massimo l’idea di astrazione dalla realtà e decontestualizzando gli edifici esistenti. Ogni volta che osservo questa foto penso alla trasposizione futuristica di un’antica porta medievale, all’ingresso quasi minaccioso (ma affascinante) in una dimensione altra, lontana e irraggiungibile. Invece basta uscire da una fermata del metro e alzare gli occhi verso il cielo per godersi lo spettacolo».
ZOE VINCENTI
Quegli occhi allegri di italiano...
«Si chiama Giuseppe Drali, ma tutti lo chiamano “il drali”. Nella sua officina di Milano, fra il naviglio e il quartiere popolare Stadera, aggiusta e costruisce biciclette da più di sessant’anni. Personaggio leggendario nell’ambiente, ha costruito le bici dei più grandi campioni italiani di tutti i tempi, fra cui Coppi e Bartali. A 82 anni è stato nominato Cavaliere del lavoro della Repubblica». E Zoe Vincenti ha deciso di immortalarlo così, al lavoro, cogliendo la sua fierezza, la sua storia, le sue personali vicende, in un solo scatto. Proprio i ritratti di persone sono la cifra stilistica del suo lavoro che va a scovare in realtà non convenzionali, cercando di approfondire il concetto dell’identità personale, con un racconto che va oltre le immagini. Nel corso degli anni le sue foto sono apparse in tutto il mondo. Un obiettivo da esportazione.