Gioielli di famiglia. A Metaponto

In Basilicata, sulle sponde dello Ionio si trova Metaponto, colonia della Magna Grecia che, secondo la leggenda, è stata fondata da due reduci della guerra di Troia: il saggio re Nestore ed Epeo, il falegname che costruì il cavallo fatale ai Troiani. Il tempio di Hera, il Museo archeologico e il teatro raccontano una storia millenaria, oggi minacciata dall'alluvione.

«Questo lo vorrei», vi sarete certamente sorpresi a pensarlo davanti a qualche raro reperto. A me è capitato ammirando l’incredibile corona di rame dorato e di argilla con rose, pampini, cicale e altri insetti risalente al VI secolo a.C. esposta al Museo archeologico di Metaponto (Mt), in Basilicata. La città, fra Taranto e Policoro, ha il fascino della leggenda che le attribuisce ben due fondatori, reduci dalla guerra di Troia, due nòstoi, il saggio re Nestore e il più famoso dei falegnami, Epeo, costruttore del grande cavallo ligneo fatale ai Troiani. Secondo lo storico romano Giustino, i Metapontini esponevano orgogliosi in un tempio gli strumenti in ferro coi quali Epeo avrebbe costruito il cavallo. E strumenti simili sono stati trovati in altre tombe nei pressi. Un modo, spiegano gli archeologi (qui operò il grande Dinu Adames¸te-anu), per rafforzare col mito l’identità locale.

Il paesaggio è dominato dai resti imponenti del tempio delle Tavole palatine, santuario dedicato a Hera (VI secolo): delle trentadue colonne originarie in stile dorico ne restano, su due file, quindici. Testimonianza di una ricchezza sontuosa, legata ai traffici e a una terra fertile. Durata fino a quando i Romani distrussero la città alleatasi con Pirro nella battaglia di Eraclea. Qui sostò anche lo schiavo ribelle Spartaco nella speranza vana di potersi imbarcare e salvarsi.
Da questo e da altri santuari provengono i materiali, bellissimi, del Museo della città. Fra tutti spicca il monumentale deinos (bacino) proveniente dall’Incoronata (VII secolo), prodotto qui da un artista greco con storie a rilievo di Bellerofonte, figlio di Glauco o di Poseidon. Nella realtà storica Metaponto è stata fondata da gruppi di Achei, chiamati dai Sibariti allarmati dalla crescente potenza di Taranto. Ma forse viveva già in loco una piccola comunità di artigiani e mercanti greci in buoni rapporti con gli Enotri. E il nome della città probabilmente evoca un eroe indigeno: Metabos.  Il museo espone i resti di cotto colorato, di antefisse dei templi – oltre all’Heraion ve n’erano altri uno dei quali dedicato ad Apollo – e poi anfore, ceramiche raffinate, oggetti di metallo rinvenuti nei ricchi corredi funerari di questa zona di poco alta sulla spiaggia ionica approdo degli Achei.

Sotto il tempio di hera si distende la piana verso il porto, un parco archeologico di grande suggestione malgrado le depredazioni di materiali lapidei subite nei secoli (anche il vicino complesso medievale di Torre del Mare è stato costruito con essi). Per cui di tanti edifici magnogreci sono rimaste poco più che le fondamenta. Non così del vasto teatro in vista del mare, centro dell’agorà, dove si vuole che sia stato messo in scena il Filottete di Sofocle. Purtroppo di recente una nuova alluvione ha sommerso d’acqua e di fango l’agorà. Ragione di più per andare a Metaponto raccogliendo e sostenendo anche così l’invocazione del soprintendente Antonio De Siena: «Salviamo Metaponto».

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