Il Viaggiatore. Ma perché i cinesi ce l’hanno con me?

Jack Stoliar, un gestore di un negozio di articoli da campeggio di Sydney, da 70 anni è in fuga da una curiosa persecuzione a opera dei cinesi. Ecco la sua incredibile storia 

Pioveva da maledetti nella ChinaTown di Sydney, una zona del centro vicino al porto. Al numero 752a di George Street ho trovato «Stoliar Bros», un negozio di articoli da campeggio e sono entrato per comprare un ombrello. Il proprietario mi ha detto che, sì, ce l’avevano un ombrello da vendermi ma non era molto conveniente. Lasciassi pure perdere. A parte la straordinaria risposta – mai visto un commerciante che non vuole vendere – la mia attenzione a quel punto si è spostata dalla pioggia al proprietario del negozio. Un uomo sui settant’anni, completamente curvo, rosso di capelli, che appoggiandosi a un bastone mi ha detto di chiamarsi Jack Stoliar. Il soggetto più distante dall’immaginario australiano che si possa concepire, anche se, volendo, lo si può immaginare su un surf, curvo sulla tavola ad aspettare le onde, visto che è piegato in due. Tra l’altro abita non lontano da Bondi Beach. «Sono nato – mi ha detto – nel 1942 a Harbin, nel Nordest della Cina, durante la dominazione giapponese.

«Alla fine della seconda guerra mondiale la città è passata alla Cina. Si trovava non lontana dal confine sovietico». Dopo la denuncia dei crimini staliniani da parte di Chrusˇcˇëv, la Cina mao­ista ha rotto con Mosca e i russi di Harbin, tra cui molti ebrei come gli Stoliar, sono stati messi di fronte a una scelta: diventare cinesi o partire: «Prima i russi frequentavano le scuole sovietiche, erano tutelati». Gli Stoliar se ne sono andati e hanno avuto il permesso di raggiungere i parenti a Sydney. Sono stati dei privilegiati. Nel 1962 hanno aperto il negozio, un locale storico, che ora rischia di chiudere. Sì perché, mi dice Jack, George Street si è cinesizzata, la proprietà dei muri del negozio è passata a un cinese. Non è bastato a Stoliar fuggire fino a Sydney, i cinesi lo perseguitano anche qui. Rischia di dover chiudere il negozio, mi dice, come colpito da una maledizione biblica, la persecuzione cinese su scala planetaria. Non sembra preoccupato dall’evenienza Igor Turianskij, uno dei commessi, un ucraino nato nel 1960 che pare uscito da un musical staliniano sui trattoristi: calzoni a vita alta, camicia grigia...
Sono tornato altre volte a trovare Jack, che spuntava, curvo a novanta gradi, tra giacche antivento, tende, zaini, cappelli, cerate: «Sono affetto da una malformazione genetica – mi ha detto –, da giovane non ero così ma con gli anni... Inoltre mi hanno investito qui davanti mentre attraversavo la strada e sono peggiorato».
Jack ha tentato di vendermi un classico prodotto aussie acquistato dagli italiani: gli scarponcini Blundstone (prodotti in Tasmania, l'isola australiana dove è stato perpetrato un genocidio ai danni degli aborigeni). Mi ha fatto un grande sconto, dicendo che anche le Blund­stone non sono più quelle di una volta, perché la suola non è più di gomma naturale ma è fatta in Cina, manco a dirlo.

Così le ho comprate, ma dopo averle portate qualche giorno in Italia la suola ha iniziato a sgretolarsi. Con la sua invettiva anticinese Jack si mette al riparo da ogni sospetto di rifilare dei pacchi? In Italia dicono che la colpa è di una sostanza contenuta nell’asfalto delle strade. Saranno diverse davvero da quelle del resto del mondo? Per fortuna a Milano, nonostante i cinesi, c’è ancora un ciabattino che sostituisce anche le suole di gomma, non solo quelle di cuoio, di fronte all’atelier di marionette dei Colla, in via Montegani. In ogni caso non me la sarei presa con Jack Stoliar: la storia dell’ebreo errante perennemente in fuga dai cinesi valeva il pacco, e anche qualcosa di più.

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