di Isabella Brega | Fotografie di: Federica Fioravanti
Un penitenziario senza barriere, una casa vitivinicola con oltre 700 anni di storia alle spalle, un progetto di reinserimento dei detenuti che passa attraverso la produzione di un vino. Il tutto in un luogo con un eccezionale concentrato di biodiversità. Così la più piccola delle isole dell’Arcipelago Toscano scommette sul proprio futuro. A sinistra, la presentazione di Isabella Brega, autrice del reportage.
Si chiamano Salvatore, Brian, Benedetto, Ismail. Il cognome poco importa. Quello che conta è la realtà dura, feroce che hanno alle spalle ma soprattutto il futuro che, grazie al messaggio contenuto in una bottiglia, hanno davanti. Un messaggio di speranza, di fiducia nel domani. Perché qualcuno ha deciso di investire attenzione e denaro in una vigna, ma soprattutto ha deciso di investire su di loro.
La vita è fatta di incontri. Alcuni, negativi, hanno portato alla Gorgona, l'isola penitenziario a 20 miglia da Livorno, questi detenuti. Altri, positivi, possono riportarli all’onor del mondo. E tutto perché le strade di alcune persone si sono incrociate. Perché questa è una storia di collaborazione. Fra una direttrice di carcere e un marchese produttore di vini, fra l’isola e i detenuti, fra società civile e istituto penitenziario. Perché insieme ce la si può fare.
Non è un posto facile Gorgona, aspra, solitaria. Isola guardiana e prigioniera dei suoi due chilometri quadrati, che incarcera allo stesso modo reclusi e guardie fra voli di gabbiani imperiali, rocce scoscese, pini marittimi, strade polverose sbriciolate dal sole, venata da una sottile inquietudine. Un porticciolo ossuto, un centinaio fra abitanti, detenuti, agenti di polizia penitenziaria, un pugno di case, un solo residente fisso, la signora Luisa, 80 anni. E poi la torre medicea sede della direzione penitenziaria, un piccolo cimitero nascosto fra i boschi e in cima, lassù fra gli alberi piegati dal vento, una fortezza dimenticata e ferita, vero nido d'aquila, il più antico monumento di Livorno, di cui l'isola è un quartiere, la casa di reclusione che chiude le porte la sera per riaprirle alla mattina ai detenuti che vanno a lavorare nei campi, nelle stalle, nei laboratori. Solo in quest’isola senza barriere, anche mentali, poteva nascere un progetto di speranza come Frescobaldi per Gorgona. Dall’ettaro di vigna impiantato nel 1999 sul versante rivolto verso il continente, grazie al lavoro dei detenuti e in virtù della collaborazione tra la direzione della casa di reclusione e l’azienda toscana Marchesi de’ Frescobaldi che da oltre 700 anni produce vini famosi in tutto il mondo, con il sostegno di Parco nazionale dell’Arcipelago Toscano, Comune di Livorno e Regione Toscana, quest’anno nasce Gorgona, un bianco a base di vermentino e ansonico. Scopo dell’iniziativa, dare ai carcerati la possibilità di diventare viticultori grazie all’esperienza professionale maturata sotto la supervisione degli enologi dell’azienda e potersi così reinserire più facilmente nel mondo del lavoro.
I buoni semi danno buoni frutti e le belle cose sono più contagiose di quanto si pensi, soprattutto quando dietro ci sono tanta passione ed entusiasmo. Così alla proposta della direttrice Maria Grazia Giampiccolo, sangue e tempra siciliani – ideatrice delle note Cene Galeotte, organizzate con l’aiuto di importanti chef nell’altro carcere di cui è responsabile, quello di Volterra – di sponsorizzare la produzione di un vino di alta qualità prendendo in gestione la vigna, fornendo attrezzature e consulenza, ha risposto con entusiasmo Lamberto Frescobaldi, che non si è risparmiato per coinvolgere amici e conoscenti in questa nuova avventura. Grazie a lui, che ha messo a disposizione l’agronomo ed enologo Niccolò d’Afflitto, Simonetta Doni dello Studio Doni & Associati ha realizzato gratuitamente l’etichetta, mentre la famiglia Morra ha offerto un trattore Landini per i lavori. Partner del progetto anche l’Enoteca Pinchiorri di Firenze, tre stelle Michelin, che ha persino inserito nel proprio menu estivo un piatto, Risoni al limone verde e chiocciole, ideato da Annie Féolde e ispirato ai colori e ai sapori dell’isola. La piccola, preziosa produzione di 150 magnum e 2.700 bottiglie di Gorgona, tutte numerate, è destinata a un gruppo ristretto di clienti dell’alta ristorazione. Perché questa non è una bottiglia qualunque, va raccontata. Le bottiglie da 75 ml sono infatti disponibili al prezzo di 50 euro in una selezione di ristoranti italiani, fra cui l’Enoteca Pinchiorri e La Pergola dell’Hotel Cavalieri di Roma, il 3 stelle Michelin dello chef Heinz Beck.
Un’isola forte e intensa, un carcere, il mare: in un posto così non può nascere nulla di banale. «Abbiamo puntato sì sulla qualità ma anche su un gusto inconfondibile. Non necessariamente il più buono del mondo, ma unico, perché l’unicità è una straordinaria opportunità per sfuggire alla standardizzazione» sostiene Lamberto Frescobaldi. «Gestire l’ultima isola-penitenziario rimasta in Italia vuol dire gestire prima di tutto un intero territorio. Questa non è un’esperienza nuova, altri penitenziari hanno dato vita a oggetti o prodotti di vario genere, ma il progetto Gorgona vuole essere un best practice per altre realtà carcerarie – sostiene Giampiccolo. – Abbiamo maiali, mucche, pecore. Produciamo olio, vino, formaggi, salumi, miele, ortaggi, ma tutto era precedentemente consumato all’interno del circuito penitenziario. Per poter portare fuori i prodotti, sostenendo così l’economia del carcere, bisogna alzare la qualità e spingere sulla loro commercializzazione. E senza l’aiuto di un privato è difficile. Ora stiamo cercando un imprenditore che abbia voglia di investire nel vecchio impianto di acquacoltura che si trova davanti all’isola mentre a metà agosto, su prenotazione, apriamo Gorgona ai visitatori con i Pranzi Galeotti, frutto della collaborazione fra uno chef, nel 2012 Marco Stabile, quest’anno Stefano Frassineti, e i detenuti».
Da un vino di 12,90 gradi con una struttura da rosso a un formaggio il passo è breve. Sempre grazie all’interessamento e al sostegno di Frescobaldi, e seguendo le stesse modalità di affiancamento di tecnici e ammodernamento delle strutture obsolete, in autunno dal laboratorio caseario del penitenziario, che ora produce provole, uscirà un formaggio da latte crudo ovino, con 30 giorni di stagionatura, numerato e caratterizzato dall’utilizzo delle straordinarie erbe autoctone dell’isola. Raro infatti trovare una natura intatta come questa, come dimostra anche la scoperta di una ventina di ulivi di una cultivar a se stante, sfuggita alla classificazione, la Bianca di Gorgona. Il merito va forse al suo forzato isolamento da quando, nel 1869, venne trasformata in casa di reclusione a indirizzo agricolo-zootecnico.
A prendersi cura ogni giorno delle piante e degli animali dell’isola di proprietà demaniale, ma data in concessione al ministero della Giustizia, sono i detenuti di questo penitenziario concepito non come un parcheggio ma come offerta di un’alternativa e che persegue la riabilitazione attraverso il lavoro agricolo. Un lavoro duro, basato sulla pazienza dell’attesa e sul rispetto dei tempi lenti della natura, che permette loro di sentirsi responsabili di qualcosa o qualcuno, pianta o animale che sia.
Non meno importante la voglia di condividere esperienze, di lavorare insieme per spezzare l’isolamento della colpa. Non si arriva qui per caso. Guardie e carcerati, spesso a fine pena, devono fare domanda. E i risultati ci sono, soprattutto per quello che riguarda la recidiva. Che, se normalmente sfiora l’80 per cento, a Gorgona, scende al 60. Gli stessi risultati ottenuti a Volterra, dove le sette edizioni delle Cene Galeotte hanno visto ben 20 ex carcerati entrare nel mondo della ristorazione. Importante per combattere la recidiva, oltre alla formazione di nuove professionalità, è anche la possibilità di mettere da parte un gruzzoletto per i primi, difficili momenti dopo la scarcerazione. I reclusi che lavorano nella vigna sono infatti regolarmente retribuiti. Così come retribuito sarà l’ampliamento dell’ettaro di terreno destinato alla produzione del vino Gorgona, che raddoppierà. I progetti per il futuro non mancano, compreso quello, in collaborazione con l’Ente parco dell’Arcipelago Toscano, di aprire l’isola a ristretti gruppi di turisti. Tutti infatti dovrebbero poter venire qui per ammirare una natura straordinaria e capire che cosa c’è in questo vino. Quanto lavoro, sogni, speranze, voglia di riscatto. Perché sono tanti i messaggi nelle bottiglie di Gorgona. Mentre in alto continuano a volteggiare i gabbiani imperiali. Liberi.