Basel instinct

Michele MorosiMichele MorosiMichele MorosiMichele MorosiMichele MorosiMichele Morosi

Tutti la conoscono per le banche e la Fiera, ma la terza città svizzera è anche un sorprendente centro di cultura. Tra musei, gallerie e un pubblico sempre curioso, Basilea è caratterizzata da un buon gusto diffuso e da un'attenzione costante per tutto ciò che è nuovo, basta che non sia ostentato. Per questo anche uno come Brad Pitt non è sempre il benvenuto.

 

Qualche anno fa Brad Pitt si era fatto vedere sulle rive del reno e l’intellighenzia locale aveva avuto un sobbalzo dietro gli occhiali con la montatura grossa. Se anche la star di Hollywood per eccellenza viene alla fiera ArtBasel per fare shopping in milioni di dollari l’esclusività settoriale di questo evento era andata a farsi benedire. Qualche maligno molto radicale l’avrà forse anche invitato ad andare a Miami in dicembre, quando l’edizione americana di ArtBasel (che mantiene il suo nome anche in Florida) è colonizzata da piccole e grandi star, poco intellettuali e molto glamour, con in testa più il red carpet dell’arte. Eppure in 43 edizioni della manifestazione fieristica le presenze sono andate aumentando in maniera esponenziale tanto che c’è chi ormai le chiama le olimpiadi dell’arte. Un evento che, nonostante la concorrenza sempre più agguerrita di Londra e New York con Frieze, rimane ai massimi livelli con le sue 300 gallerie ospiti che arrivano da tutto il mondo con il loro carico di artisti e opere sperando sempre di concludere buoni affari. Basilea caput mundi dell’arte quindi? Possibile nella Svizzera delle banche e degli orologi? Possibilissimo. Abbiamo le prove. E vanno ben oltre i giorni di giugno della fiera (dal 14 al 17).

La terza città del Paese, prima e dopo ArtBasel, continua infatti la sua vita a crogiolarsi nell’arte ai massimi livelli garantita per 12 mesi da un’incredibile concentrazione di musei e gallerie private che riescono a combinare con successo classico e contemporaneo, ricerca e sperimentazione. La condizione speciale di Basilea si fa evidente osservando quanto si sentono tutti a proprio agio là dove di frequente si crea più imbarazzo: di fronte a un’opera d’arte, spesso non immediatamente comprensibile. Acchiappare un bambino per chiedergli che cosa ne pensa delle assurde macchine di Jean Tinguely sulle quali si sta arrampicando non è impresa facile, ma osservare le facce divertite e soddisfatte dei genitori la dice già lunga di come anche una domenica piovosa possa trasformarsi in un successo in famiglia. Il museo Tinguely dedicato all’artista svizzero, e realizzato dall’architetto ticinese Mario Botta, è l’esempio perfetto di come si possa coniugare l’aspetto pop (nel senso di popolare, del popolo) dell’arte a quello più complesso della ricerca. Da una parte decine di bottoni rossi da schiacciare a piacimento per vedere una scimmietta martellare una banana, o una spazzola pettinare una bambola, dall’altra le installazioni provocatorie, esplicite e polemiche di Edward Kienholz.

Non avere paura di essere originali è il fil rouge che accompagna un intero soggiorno in quel di Basilea. C’è chi lo fa immergendosi nelle gelide acque del Reno in estate, magari infilando il completo gessato da bancario nel sacchetto impermeabile fornito dal Comune e negli uffici del turismo, e chi si lascia tentare dalla gastronomia sperimentale coniugata a quella tradizionale alla Volkshaus (la casa del popolo), il nuovissimo ristorante concepito da Herzog & de Meuron, i due architetti figli prediletti della città. E poi c’è chi lo fa trasformando la macelleria di nonno e papà in una galleria e appartamento come Samuel Leuenberger che, con la moglie Anna, condivide lo spazio privato con gli artisti che decide di ospitare da Salts. «Possono fare più o meno quello che vogliono sia in casa sia in giardino. A seconda della mostra lo spazio cambia», racconta Sam. «Lo scorso anno l’artista Beni Bischof ci ha sequestrato il frigo per un paio di mesi per utilizzarlo per fare la sua installazione!». Alcune tracce rimangono, rendendo la galleria-appartamento un esperimento continuo. Persino il piccolo bagno è un’opera d’arte in toto piena di graffiti, come fosse la toilette di un autogrill o di una discoteca. Al contrario di molte altre città, a Basilea non c’è una zona dove sono concentrate le gallerie o i musei, sono sparsi, ma il problema non si pone perché la fittissima rete di tram conduce ovunque e, ci tengono a far notare, passano sempre ogni sette minuti e arrivano chiaramente puntuali. Sono svizzeri mica per niente. Tutto qui funziona come un metronomo. Per questo nelle gallerie di Oslostrasse, nella zona industriale di Dreispitz, non si scompongono di un millimetro per la presenza dei cantieri che stanno realizzando una scuola d’arte e design. Basta chiudere le porte con vista su gru e macerie per godere del silenzio e dei lavori esposti da Oslo10, delle foto in mostra da Oslo8, dei sotterranei della House of electronic arts, tutti vicini, raffinati e compatti in mezzo al delirio. La città è in evoluzione e i lavori sono in corso ovunque, anche nel grazioso centro storico intorno alla cattedrale.

Sette minuti e due fermate di tram dopo ci si imbatte in un altro landmark firmato sempre da Herzog & de Meuron. Si tratta dello spazio espositivo Schaulager concepito come un magazzino aperto che garantisce le condizioni ottimali per la conservazione di opere di arte contemporanea. Un unicum che unisce il museo a un’area tecnica, dedicata alla tutela delle opere, ideale per professionisti del settore, ma anche per curiosi in cerca di novità. Visto che è attualmente in ristrutturazione, per vedere da vicino come si conserva e restaura l’arte bisogna andare alla Fondation Beyeler. Realizzata da Renzo Piano, è composta da una collezione cospicua messa insieme da Hildy e Ernst Beyeler che comprende opere di Monet, Rodin, Degas, Chagall, Matisse tra i tanti; proprio a Matisse è dedicata una grande sala con una peculiarità: qui è possibile osservare, dietro un vetro, l’opera di restauro in corso di Acanthes, un lavoro della serie dei découpage realizzato dal maestro francese nel 1953. Un’occasione più unica che rara da non perdere. Come le due mostre in corso dedicate al provocatorio Jeff Koons e all’enigmatico Philippe Parreno. La contemplazione poi può proseguire nel quieto giardino esterno. Unico rumore molesto quello del telefonino che impazzisce cercando la rete perché due passi in là e ci si trova in Germania e due in qua e rieccoci in Svizzera. Succede lo stesso andando dall’altra parte di Basilea. La Francia è vicinissima e ci si trova in New Jerseyy. Non è un errore, è una scelta, anche ortografica, quella della galleria che ha preso il nome di uno Stato americano poco di moda, ci ha aggiunto una y ed è diventata la reale trend setter della città. Daniel Baumann, uno dei curatori, ne racconta la genesi: «Sono un curatore free lance da molto tempo. Qualche anno fa mi hanno contattato i giovanissimi autori di una fanzine dedicata all’arte e abbiamo deciso di lavorare insieme. Come spazio abbiamo scelto un negozio abbandonato e, da allora, ogni mese ospitiamo un’inaugurazione, una performance, talvolta persino uno show che poi finisce in strada perché qui non ci si sta in tantissimi» racconta Daniel compiaciuto, e prosegue: «Ci siamo riproposti di essere uno spazio indipendente, persino un po’ rivoluzionario. Provocatoriamente abbiamo deciso di inaugurare lo stesso giorno di apertura di ArtBasel e ci siamo ritrovati circondati da 500/600 persone!». Anche in questo caso gli artisti usano l’intero spazio come fosse casa loro. Un letto sfatto, scritte sulle vetrine, un enorme peluche... È così che si diventa di tendenza: «E poi tutti alla pizzeria Mamma Lucia che è qui dietro!» conclude Daniel, curatore anche al Carnegie Museum di Pittsburgh, un’istituzione meno alternativa, ma ideale per bilanciare l’originalità del lavoro a Basilea.

Perché talvolta qui diventa originale persino fare benzina. Basta fare una tappa alla galleria Von Bartha, un ex garage con pompa di carburante ancora attiva a “sporcare” un po’ la leccatissima vetrina. Capitarci durante un’inaugurazione è quanto di meglio possa succedere per entrare nell’ambiente dell’arte made in Switzerland. Tutto il bel mondo della Basilea culturale concentrato in un centinaio di metri quadrati. Coppie multiculti come dicono qui, ovvero multiculturali, algide signore probabili collezioniste, giovani creativi in cerca d’ispirazione, i soliti bambini che corrono incuranti di dove sono e liberi di farlo, semplici curiosi. Insieme senza pregiudizi, tanta curiosità e persino simpatia. Per ambientarsi basta sorridere e assumere uno sguardo intelligente. Brad Pitt non si è fatto vedere. Basilea continua a non essere Miami. Per fortuna. Per questo scoprirla riserva belle sorprese, non patacche d’artista, ma vere intuizioni, quasi geniali.

Fotografie di: Michele Morosi
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