di Barbara Gallucci
Quando il venerdì pomeriggio i draghi boys lasciano l’Euro tower e si tolgono giacca e cravatta, la città sede della banca centrale europea si trasforma in un polo culturale e del divertimento. Senza perderci un capitale.
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«Questa è la celebre casa di Goethe, il cittadino più illustre di Francoforte. A dirla tutta pare lui abbia odiato ogni singolo minuto passato in città che, già allora, era un centro di scambi e affari, decisamente poco romantica per i suoi standard...», Mikael, la guida turistica, pare essere passato di qui controvoglia, poi si illumina e prosegue: «Guardatela bene, non vi ricorda qualcosa?». A chi è stato bambino tra gli anni Settanta e Ottanta, o genitore nello stesso periodo, una lucina nella memoria si accende: sembra la casa di Heidi, quella dove la bimba che salutava le caprette conosce la poliomielitica Clara e la severissima signorina Rottenmeier. Un riferimento culturale molto pop, ma allo stesso tempo curioso perché la serie di cartoni animati ambientata tra Francoforte e le Alpi è stata realizzata da giapponesi, in particolare da Miyazaki, geniale premio Oscar che ha scelto le linee molto tedesche della casa di Goethe per ambientare parte della storia (quella lontana dalle vette e dalle caprette).
La signorina Rottenmeier e Francoforte hanno in comune un bel po’ di cose nell’immaginario di ogni cittadino europeo. Sede storica della Banca Centrale Europea, diretta con piglio da Mario Draghi, la città è sempre rappresentata dalla celebre scultura luminosa del simbolo dell’euro, talvolta dalla sede della Borsa, qualcuno si azzarda a far vedere qualche scorcio della sede della Deutsche Bank (due torri gemelle nere che intimidiscono anche solo guardandole dal basso). Francoforte per molti è la città dove si decidono gli alti e bassi dello spread e dei tassi d’interesse, popolata da migliaia di uomini in giacca e cravatta che trattano solo numeri. Tutto vero. Attraversano di corsa strade e piazze prima di infilarsi in uno dei tanti grattacieli. Stanno seduti davanti a cinque o sei schermi alla Borsa dove le contrattazioni non sono urlate, ma tutte telematiche. Da lunedì al venerdì. Il sabato e la domenica è un’altra storia. La signorina Rottenmeier si scioglie i capelli, toglie gli occhiali, si trucca e si rilassa.
Una birra, una salsiccia e un pezzo di pane. Basta poco per riprendere colore e calore. Al sabato mattina tutta la zona intorno al Kleinmarkt Halle, il mercato coperto, profuma. Le bancarelle sono un’esplosione di colori e sapori a chilometro zero o esotici, poco importa. L’importante è trovare un angolo per mangiare quello che si è appena comprato. Con meno di dieci euro si può scegliere tra le classiche salsicce, un piatto di pasta, qualche ostrica, ravioli coreani, pesce freschissimo e frutta. Non si corre il rischio di rimanere a stomaco vuoto. Tanto tutto si smaltisce con lo shopping pomeridiano nei dintorni di Römerberg, la piazza dove si affacciano il Comune e gli edifici in stile classico della città. Non sono originali, ma ricostruiti. Durante la seconda guerra mondiale Francoforte è stata quasi completamente rasa al suolo e poi solo in parte ricostruita in stile. Hanno preferito guardare oltre, tanto che alcuni grattacieli sono più “antichi” di queste strutture graziose, ma buone solo per un selfie veloce. E, proprio salendo su uno dei palazzi più alti, si capiscono un po’ di cose sull’urbanistica cittadina. La Main Tower, alta 200 metri, ha una piattaforma di osservazione sul tetto dalla quale, in una giornata tersa, si vede tutto. Le architetture moderne, il fiume Meno, il Römerberg, i parchi, la nuova sede dell’Euro Tower in corso di inaugurazione proprio quest’anno. Si vedono anche jogger e ciclisti che percorrono il lungofiume pedonale nonostante il freddo invernale pungente. Un polmone verde che in estate si popola «tanto che sembra quasi una spiaggia», conferma Mikael. La nostra guida è un cittadino doc e si capisce che a Francoforte ci sta bene. Sa dove trovare il meglio, anche a basso costo. Dal mercatino bio alternativo dove bere il tipico vino di mele prodotto da piccoli produttori locali alla sala da tè Ronnefeldt incastrata nel centro commerciale progettato dall’architetto romano Massimiliano Fuksas, sullo Zeil, la via principale, dove si scopre che la tradizione di bere tè è radicata in città dal 1825 (o, per la precisione, 1824 come sostiene Mikael che ha studiato bene la faccenda e le specialità più originali in degustazione, compreso un tè affumicato molto particolare).
Mikael ci saluta con un invito sibillino a goderci il sabato sera francofortino. Ci suggerisce di provare uno dei locali sulla Münchener Strasse. Uno non ha nemmeno l’insegna, ma solo il citofono. È un ristorante “segreto”. Ci si iscrive a una newsletter e il gioco è fatto. Solo che il sabato sera la cena sarebbe vegana, ovvero senza derivati animali. Non proprio invitante... Poco distante, uno degli indirizzi più nuovi e ambiti della città sembra più interessante. Da Maxie Eisen c’è sempre un po’ di coda, ma si mangia il miglior sandwich di pastrami a Francoforte (il pastrami è una specialità rumena che a New York è diventata di tendenza e consiste in carne di manzo cruda prima preparata in salamoia e poi essiccata). Il menu comunque non supera i 15 euro, bevande incluse, quindi vale decisamente l’attesa. La scena gastronomica cittadina è in costante ascesa proprio per la presenza di tanti stranieri che a Francoforte vengono per lavorare nel mondo della finanza e hanno i palati cosmopoliti e raffinati, ma siccome sono comunque in Germania non vogliono ostentare. Ci tengono ad assomigliare ai loro colleghi di Downtown Manhattan, ma con meno rumore e clamore (caviale e champagne sono fuori moda).
Stesso discorso per la scena musicale e dei nightclub che, negli ultimi anni, ha trasformato la città sul Meno in una capitale della sperimentazione. Dopo il pastrami ci starebbero bene due salti al vicino Plank, locale notturno mitico e molto alternativo. Chi ha forza e gambe non esiti a varcarne la soglia; la birra costa comunque meno dell’acqua minerale. Musica diversa, ma stessa situazione rilassata anche al Chez Ima, ristorante dove suonano spesso gruppi indipendenti senza far andare di traverso le ottime Wienerschnitzel proposte nel menu. L’insegna luminosa fuori cita i Rolling Stones con “Let’s spend the night together”, ma l’invito vale solo per chi decide di prendere una stanza nell’hotel col quale il ristorante condivide l’edificio che si chiama 25 hours, la venticinquesima ora. Perfetto per chi, in fondo, si sente una rockstar.
Il bello di Francoforte è che la domenica mattina si incontrano le stesse facce, magari assonnate, viste la sera prima, in giro per uno dei tanti musei cittadini. Sono circa 40 e si possono scoprire con una card da 18 euro valida due giorni. Un affare garantito perché le collezioni esposte sono di grande valore e coprono un arco temporale e artistico vastissimo. Per questo la selezione si fa ancora più difficile. Il quartiere dei musei si trova sulla sponda sud del Meno, una zona immersa nel verde con vista sulla City dei grattacieli. Prima tappa lo Städel Museum che, già di per sé, è un pozzo senza fondo. Una sala dopo l’altra si incontrano grandi classici (Van Eyck, Bosch, Mantegna, Botticelli, Pontormo, Guercino, Rubens, Rembrandt), ma anche una nuova area al piano interrato che esplora l’arte contemporanea tedesca e non solo. Non manca un Warhol, il prezzemolo tra le collezioni internazionali, che ritrae il nostro amico Goethe ispirato dal ritratto che ne fece Tischbein esposto sempre allo Städel che Warhol ebbe la fortuna di visitare. «Negli ultimi dieci anni Francoforte si è sviluppata molto dal punto di vista culturale», esordisce così Felix Semmelroth, capo del dipartimento della Cultura della città: «Si è capito che senza cultura le città non hanno futuro, non bastano le infrastrutture, ci vuole sostanza. E poi la gente che vive qui, che spesso lavora nella finanza, chiede qualità. Piano piano cominciano a esserci anche tanti turisti che magari sono capitati qui prima per una fiera e poi ci tornano per vedere i musei. Pochi mesi fa è stato inaugurato l’MMK2, museo d’arte contemporanea; l’unico in tutta la Germania in un grattacielo». C’è orgoglio e voglia di continuare a migliorare nella voce e nello sguardo di Semmelroth.
Una delle strutture più interessanti è sicuramente il museo delle arti applicate dove è il design a essere protagonista delle sale progettate dall’architetto americano Richard Meier nel giardino di villa Metzler alla quale sono collegate con un suggestivo ponte sospeso. Oggetti della Braun (noto marchio di elettrodomestici), orgoglio locale, e installazioni di giovani creativi in ascesa, aree per bambini e di ristoro senza troppe porte o limiti. Ognuno procede nella visita un po’ come gli pare e questa sensazione di libertà è piacevole. Stessa libertà che si sente esplorando le sale delle tre sedi del museo d’arte contemporanea MMK. La numero uno sta in un edificio che tutti dicono assomigliare a una fetta di torta. Da fuori non particolarmente entusiasmante, dentro geniale perché gli spazi sono tutti di dimensioni diverse e le opere sono perfettamente allestite. Tra la collezione permanente e le mostre temporanee serve un po’ di tempo, ma ne vale la pena senza dubbio. Come d’altronde attraversare la strada per vedere l’MMK numero tre. Uno spazio ben più piccolo e dedicato solo a pochi artisti per volta. Prima di allontanarsi dal centro dove si trovano i primi due MMK serve senza dubbio una sosta ristoratrice nel paradiso dei golosi: la pasticceria Bitter & Zart. Le abbondanti fette di torta sono sublimi e, accompagnate da un buon tè (servito con tanto di clessidra per calcolare il tempo di infusione), sono quell’iniezione di calorie e calore necessari per far risalire la soglia di attenzione prima di entrare nel grattacielo che ospita l’MMK2. Fino al prossimo giugno è allestita una bella mostra con opere di artiste donne. Una panoramica molto interessante con alcune installazioni di grandi dimensioni, foto e sculture.
All’uscita il cervello è pieno di stimoli. I grattacieli intorno sono illuminati. Un attimo di spaesamento è più che probabile. Per un secondo il dubbio di essere in una città degli Stati Uniti si avverte. Non proprio New York, qualcosa in scala ridotta, ma affascinante. Gli yuppie 2.0 sono pronti a rimettere giacca e cravatta, come ogni lunedì. La signorina Rottenmeier ha le sue regole da seguire. Almeno fino al prossimo weekend.