Siviglia. Flamenco e futuro

John KernickJohn KernickJohn KernickJohn KernickJohn Kernick

L’immutabile fascino della città andalusa raccontato dall'inviato del National Geographic Traveler. Tra locali e feste tradizionali e tanta voglia di modernità, senza perdere in autenticità.

Prosciutti Patanegra interi penzolano dal soffitto di legno del bar El Rinconcillo come fossero decorazioni natalizie. Intorno a me i camerieri servono tapas di alici marinate, crocchette e tortillas ovviamente in un balletto che si ripete dal 1670, quando questo locale di Siviglia fu aperto. Le conversazioni hanno una cadenza andalusa che ho imparato a riconoscere e capire mentre vivevo qui, negli anni Ottanta. In un angolo noto un signore elegante, con un’espressione alla Goya. Sta consegnando un biglietto a una donna. «Una poesia per te». Si inchina e se ne va.

Sono tornato a siviglia da un’ora, dopo sei anni dalla mia ultima visita; sono ancora nella bolla del volo aereo, ma bastano pochi istanti dentro El Rinconcillo per ricordarmi perché questa è la mia città preferita. Un elegante signore che regala a una bella signora (che non conosce) una poesia non è una cosa che accade spesso nel XXI secolo. Ma qui sì. Un bar come ce ne sono centinaia a Siviglia, un bar dove, nonostante le circa 30 visite che ho fatto alla città, non sono mai entrato, ma capisco intimamente.più di qualsiasi altra città dove sono stato, Siviglia resiste al cambiamento. Dalla passione per la corrida alla spettacolarizzazione religiosa, la capitale dell’Andalusia si è sempre svelata attraverso le sue tradizioni. «Siviglia è una città femminile» scrisse James Michener nel suo capolavoro sulla Spagna Iberia del 1968 e aggiunge: «con la femminilità di una vedova elegante consapevole del suo fascino. Non è un caso che Siviglia sia sempre stata più leale con certe tradizioni che nel resto della Spagna sono in declino».

Questo la mette in una situazione complessa nell’epoca di internet nella quale chi rimane indietro è perduto. Ma per chi torna qui per respirare la fioritura degli aranci, per camminare tra le navate di vecchie chiese e applaudire alla cerimoniosità delle corride questa prevedibilità è miracolosa. «Ogni volta che vieni qui dici le stesse cose», mi sgrida la mia amica Irene Lopez-Melendo. «Non conosci niente di più costante di Siviglia». Quando sono qui in effetti ricado nelle stesse vecchie abitudini. Per esempio dormo fino a tardi. D’altronde la città si trova nell’angolo sudoccidentale della Spagna, quasi al limite del suo fuso orario. Dovrebbe essere su quello di Lisbona, non di Berlino. Di conseguenza i sivigliani mangiano ancora più tardi di molti spagnoli, spesso intorno a mezzanotte. Questo significa poi andare al lavoro con le borse sotto gli occhi se vivi qui, una spiegazione per la proverbiale mancanza di produttività della città. Per questo non mi stupisco di scoprire che è già mezzogiorno quando apro gli occhi la mia prima mattina qui. Sto all’hotel Palacio de Villapanés, un tempo residenza privata e ora ristrutturata con cura.

Tutta la città sembra ridipinta di fresco. L’ultima volta che ci sono stato il giardino Alameda de Hércules era infestato da erbacce e spacciatori. Oggi ci sono tapas bar dappertutto pieni di gente che beve e mangia tranquillamente. «Siviglia si sta comportando bene», mi racconta Irene, «ma la questione è capire se questo ritmo sia sostenibile per la città. L’Andalusia sostanzialmente non produce nulla, per questo il turismo è così importante. Se la città cambiasse troppo la gente non verrebbe più». In effetti mi sembra di vedere qualche piccolo accomodamento in favore dei turisti stranieri che vogliono la Cnn in camera e magari anche mangiare un sushi. Camminando per la città scopro che ci sono piste per chi fa jogging e una nuova e scintillante metropolitana. Per fortuna non hanno toccato la via pedonale Calle Sierpes e il negozio Juan Foronda dove le donne comprano da sempre pizzi e merletti da indossare per la Feria de abril, la festa più importante della città.

Ma c’è un altro elemento controverso che ha cambiato il panorama di Siviglia: l’Espacio Metropol Parasol, un’immensa tettoia contro il sole a picco che occupa e copre circa due isolati e la Plaza de la Encarnación, nuova zona ideale per bar, locali e ristoranti. Cammino approfittando dell’ombra che produce per poi prendere una scala mobile che mi conduce più in basso, per vedere le rovine romane che sono state trovate durante la costruzione della struttura. Da lì con un ascensore si sale al livello più alto dove, con tre euro, si gode di una bellissima vista sulla città sorseggiando un bicchiere di vino o birra.

Piazzare il Parasol nel bel mezzo della città è stata una scelta assurda, ma quello che deve fare (ombra e vista) lo fa bene e in effetti non c’è niente di simile altrove. «Siviglia è così legata alle sue tradizioni che è sempre difficile accettare le novità», conferma l’artista e ristoratore Ricardo Rodriguez Llinares. «Non saremo mai come Barcellona. Per questione di ritmi e clima siamo più simili all’Africa. Però il mondo contemporaneo ci imporrebbe qualcosa di diverso. La sfida è di fare bene le cose, con cura, ma a modo nostro». Mi trovo a ripensare al Parasol e realizzo che in qualche modo rappresenta un gesto grande e simbolico quasi quanto deve essere stato costruire la cattedrale di Siviglia, la terza più grande del mondo, eretta nel Quattrocento. Il Parasol è il segno lasciato da questa generazione. Un buon modo per dimostrare che la città è viva.

La domenica mi sveglio con un palpabile senso di aspettativa. È prevista una corrida alla Maestranza, la Plaza de Toros più antica di Spagna. Sono anni che non ne vedo una. Siviglia è considerata la città più “taurina” del Paese. Insieme alla Settimana Santa, i tori sono l’ossessione locale primaria. «Siviglia è la città dei tori», come la definì lo scrittore britannico Victor Pritchett aggiungendo il piccolo dettaglio di quando re Ferdinando VII chiuse l’università per aprire una scuola di toreri. Io ho un rituale speciale per il giorno della corrida. Prima di tutto vado in edicola a comprare i giornali, poi al bar per godermi la colazione alla sivigliana (una fetta di pane e una tortilla di patate) leggendo le critiche sui “protagonisti” della corrida come li chiamano qui. Protagonisti? Sì perché la corrida non è uno sport, ma un arte, uno spettacolo. Nei quotidiani ne scrivono nella sezione culturale. I tre protagonisti di oggi sono toreri giovani, uno dei quali è nipote di Curro Romero di cui Orson Welles, appassionato della corrida diceva «Finché non hai visto lui, non hai visto niente».

Dopo pranzo mi cambio e mi vesto bene perché bisogna essere in ordine. È una questione di rispetto, un riconoscimento del fatto che i partecipanti rischiano la vita per intrattenerci. Dal punto di vista del rispetto degli animali, i sivigliani sostengono che questa razza di tori si sarebbe estinta molto tempo fa senza le corride, in più sembra che la vita di un toro da competizione sia migliore di quella vissuta negli allevamenti. I tori uccisi sono poi donati alle associazioni che distribuiscono cibo ai poveri. Solo chi non mangia carne e non si veste di pelle ha il diritto di protestare.

Alle 17.30, un’ora prima dell’inizio dello spettacolo, vado al bar a bere un brandy spagnolo, poi finalmente entro. La Maestranza combina fascino e grandezza, storia e tradizione, ma non certo comfort. Costruita nel 1765, è stata progettata per un pubblico che era decisamente più basso dell’uomo contemporaneo. Si sta seduti come su un volo low cost: con le ginocchia nella schiena dello spettatore davanti. Per fortuna sono seduto all’ombra, a sole sei file dal terreno. Evito ogni commento e considerazione dei miei vicini perché la corrida assorbe tutta la mia attenzione. Basta un attimo per perdersi il momento più importante. Toro e torero non sembrano particolarmente in forma. «Quando ci sono i tori mancano i toreri, quando ci sono i toreri mancano i tori», è un vecchio detto spagnolo che ripeto spesso. Ma non importa.

Sono a Siviglia con un’intera notte davanti a me. Lasciando la Plaza de Toros cammino lungo il fiume Guadalquivir verso la Torre del Oro, e le sue 12 facce, costruita come minareto nel 1220 dai Mori che brilla nel tramonto. Su una strada laterale vedo un bar che non conosco. Da fuori sembra molto internazionale, un posto che potresti trovare a Brooklyn o in Belgio. Ma quando entro e scorgo le classiche piastrelle colorate che caratterizzano le decorazione della città e le botti di sherry dietro il bancone del bar, so esattamente dove sono. Nella Siviglia dei miei ricordi.