di Silvestro Serra | Fotografie di Graziano Perotti
In sella ai destrieri andalusi nelle feste popolari, in barca o sulle spiagge solitarie. Il fascino insospettabile della più “britannica” delle isole Baleari
ESCLUSIVA WEB. Guarda a destra il video girato a Minorca dall'autore dell'articolo, Silvestro Serra; il video è visibile anche su Youtube a questo link.
Immaginate un’atmosfera concitata e frenetica da Feria di San Fermin a Pamplona o da palio di Siena. Solo che i cavalli sono andalusi, bai e morelli, lucidi e bardati con fiocchi e bandane, e montati da cavalieri, anche bambini, tutti rigorosamente in frac e con in testa bombette o cilindri.
Aggiungete una folla impavida che si accalca e accarezza e invita gli eleganti destrieri a impennarsi sulle gambe posteriori al ritmo di una jota suonata da una scatenata banda musicale. Inserite il tutto nella luce di un tramonto dorato in una bella piazza barocca circondata di palme tra le quali spira una fresca aria di mare. Non dimenticate infine di distribuire generosamente al pubblico (tutto rivestito con magliette e foulard rosso amaranto su cui spicca la croce bianca di Malta), grandi caraffe di pomada, un rinfrescante ma micidiale cocktail giallo oro a base di spremuta di limone, gin artigianale locale e ghiaccio. Avrete così un’ idea meno vaga di quello che accade ogni anno il 24 giugno, in occasione del Jaleo de Sant Joan, la festa patronale nel giorno di S. Giovanni, nell’antico borgo marinaro della Ciutadella, storica ex capitale dell’isola di Minorca, arcipelago delle Baleari, Spagna del Sudest.
La festa risale al 1300 e si ripete ogni stagione con la passione e l’entusiasmo di un rito liberatorio e attrae sia visitatori stranieri sia compagnie di adolescenti spagnoli che sbarcano per l’occasione dalle altre isole e da Barcellona. Un’occasione ideale per vivere una festa particolarmente sentita dai minorchini, per scoprire la profonda cultura del cavallo che essi vantano, ma anche per visitare un’isola che, nonostante sia Patrimonio Unesco dal 1993, non è ancora tra le destinazioni preferite delle Baleari: invece si è rivelata ricca di spunti, storie, personaggi ma anche di centinaia di calette solitarie e selvagge e prive di confusione. Non mancano peraltro per il turista ristoranti, chiringuito e stabilimenti balneari soprattutto sulla costa sud, più riparata dalla tramontana che investe in certe giornate il Nord, ostacolando le coltivazioni, tanto che la gran parte della frutta e della verdura viene importata dalle altre isole e quindi con prezzi più elevati.
Per capire il particolare e strettissimo legame tra gli isolani e il cavallo basta seguire i cavalieri nel pomeriggio della vigilia della festa, il 23, in una lunga e tranquilla passeggiata verso la solitaria chiesetta di S. Giovanni a cinque chilometri dal centro, in una bella campagna disegnata da ordinati muretti a secco proprio come in Sardegna (ne hanno calcolati oltre cinquemila chilometri). Tutti i fedeli che seguono in processione si avvicinano e accarezzano i cavalli, imponenti e mansueti, abituati come sono al contatto ravvicinato con le folle grazie a mesi di allenamento fatti facendo rotolare accanto a loro rumorosi barili di chiodi. Pochi lo sanno ma questi morelli andalusi fanno parte della tradizione equestre spagnola emigrata in Austria che ha dato poi alla luce la tradizione dell’alta scuola viennese dei cavalli lipizzani.
I pochi minorchini ancora sobri spiegano volentieri l’origine della festa che segue alla lettera le regole della comunità della Ciutadella, immutate dal 1558 data dell’ultima invasione saracena. Nell’incendio che seguì l’occupazione, l’unico documento originale che si salvò fu proprio quello della festa. Quindi per gli abitanti è considerato intoccabile (non prevede per esempio le amazzoni).
Dopo la solenne benedizione di cavalli e cavalieri da parte del vescovo e del clero in pompa magna, ormai a notte inoltrata si torna in ordine sparso in città dove i cavalieri sfilano nuovamente nella piazza del duomo e negli stretti vicoli del caragol de Santa Clara, tra balconi impavesati e tribune improvvisate.
Nell’attesa della grande festa dell’indomani la gente sciama tra i negozietti che vendono le avarcas minorchine, celeberrimi sandali di pelle con la suola di gomma, una volta ricavata dai copertoni delle biciclette, o si disperdono nelle trattorie del paese o nelle località vicine come la spiaggia del paese di pescatori di Fornells ad aggredire pantagrueliche zuppe di aragoste, innaffiate, manco a dirlo dalla solita pomada oppure da un calice di Rubi, un vino tinto locale o di Merluzo blanco, e concludere il pasto con un bicchierino di Figas de moro, potente distillato di fichi d’India.
La mattina della festa di San Giovanni tutta Ciutadella si riversa lungo il porto antico, stretto e lungo per una cerimonia del Joc del plat, che ricorda molto da vicino la Giostra medievale del Saracino di Arezzo. I cavalieri muniti di una lunga lancia galoppano a turno tra la folla che si apre solo all’ultimo istante e cercano di infilare un piccolo anello appeso a un filo. E nell’attesa si esibiscono con il solito bot, il numero da circo costituito nel far stare il più a lungo possibile il cavallo in equilibrio sulle gambe posteriori (mai usare l’espressione zampe per i cavalli!).
Pagato il contributo alla festa, conviene lasciare le celebrazioni equestri-alcoliche e dirigersi verso l’altro capo, quello più orientale dell’isola, dove spunta il primo sole di Spagna, 20 minuti prima che a Madrid. Punto di arrivo, la città di Mahon, più recente capitale, che ricorda da vicino una località britannica di mare. E non è solo un’impressione. Dal 1713 e per quasi un secolo il lungo porto di Mahon (forse da Magone, fratello del cartaginese Annibale), il più grande porto naturale del Mediterraneo e il secondo al mondo, lungo oltre tre miglia, è stato il riparo dell’intera flotta della marina da guerra britannica. E gli inglesi (come anche in precedenza Cartaginesi, Romani, Vandali, Arabi...) hanno lasciato il segno della corona imperiale nell’architettura coloniale dei palazzi, nella cura dei giardini, nel forte Marlborough, nelle ville affacciate sulle rive (tra cui la leggendaria Golden Farm, dominante l’intera baia, abitata pare dall’ammiraglio Horatio Nelson e dalla sua fedele favorita, Lady Emma Hamilton), e ancora con la fabbrica artigianale del gin, Distilerias Xoriguer, tutt’ora attiva, con gli alambicchi di rame d’epoca, inventata di sana pianta (non è mai stato coltivato il ginepro a Minorca) e impiantata lì proprio per fornire il tradizionale “carburante” alle ciurme.
Lo stile british lo si ritrova nei bar e nel decor dei piccoli hotel de incanto, versione spagnola dei b&b inglesi. Uno per tutti Jardi de ses Bruixes, il giardino delle streghe, un delizioso resort arabo-inglese nel centro di Mahon, con otto belle stanze dalle pareti di azulejos, affacciate su giardini interni con aranceti. Ma per gustarsi al meglio l’atmosfera solare di Mahon, la maniera più efficace è prendere in affitto una barchetta e bordeggiare lentamente, alla maniera del Bosforo a Istanbul, scendendo verso il mare aperto, fino alla Fortaleza Isabel, una fortezza capolavoro di architettura militare, che protegge l’imboccatura e l’Illa del Llatzaret che fu lazzaretto e ospedale reale riservato agli appestati di tutta la Spagna.
Poi si può risalire di nuovo in città e finire la serata nel Chiostro del Carmen, dal 1835 mercato comunale che la sera si trasforma in un unico ristorante all’aperto oppure in uno dei bar cosmopoliti che sono spuntati nelle piazzette del centro storico. Come il café Uria, in plaça de la Conquista 5, gestito da Juanio Guerenabarrena, telegiornalista di Tele Madrid, ex inviato di guerra in Kosovo e trasformatosi in più tranquillo locandiere di un posto di musica e conversazioni, ogni giorno a ritmo e temi internazionali differenti.