Nostalgia del Mozambico

Douglas RogersDouglas RogersDouglas RogersDouglas RogersDouglas Rogers

Dopo cinque secoli di colonizzazione portoghese, a 40 anni dall’indipendenza e dopo 20 anni di guerra civile, il Paese pacificato torna a essere, come negli anni Settanta, un’affascinante meta turistica di mare e natura con 2.500 chilometri di spiagge

«Vuoi farle fare un bagno?», mi chiede Pat Retzlaff esperto cavallerizzo e mia guida. «Certo», rispondo in sella a Holly. In realtà mi aspetto un piccola deviazione nella acque dell’oceano Indiano che lambiscono le coste del Mozambico prima di tornare al lodge sulla spiaggia, ma Retzlaff ha un’idea diversa. Guida il suo cavallo verso il largo. Io a mala pena riesco a stare in sella, ma non posso fare altro che seguirlo. L’acqua diventa sempre più profonda e cambia colore: dal verde al blu cobalto. Per fortuna il cavallo si ferma proprio al limite del baratro. L’oceano mi arriva ai fianchi ormai. Poi Holly si tuffa e nuota, in circolo mentre io urlo euforico. La guida ci guarda con serenità da lontano. Questa è routine per lui. sono venuto in mozambico per scoprire come sta cambiando questo Paese africano. Solo 40 anni fa dichiarò la sua indipendenza dopo cinque secoli di colonizzazione portoghese. Vent’anni fa, devastato da un lungo periodo di malgoverno marxista e da una guerra civile tra anticomunisti e forze governative sostenute dall’Unione Sovietica costata migliaia di vittime, era uno dei Paesi più poveri della terra. Oggi ha una delle economie più in espansione del mondo e si sta promuovendo come destinazione da mare e spiagge nell’Africa del Sud. D’altronde ha quasi 2.500 chilometri di coste. Io voglio scoprirne la parte più a Sud nota per la città di Vilankulo e per le cinque isole che compongono il parco nazionale dell’arcipelago Bazaruto.

Conosciuta fino a pochi anni fa per il suo decrepito porto, Vilankulo è ora famosa per i ristoranti di pesce e per essere punto di partenza per l’esplorazione delle isole: Magaruque, Benguerra, Bazaruto (tutte e tre con resort e lodge per i turisti), Banque e Santa Carolina che ha un particolare interesse per me. I miei genitori hanno fatto la luna di miele in questo posto negli anni Settanta quando l’isola era soprannominata il paradiso e all’hotel Santa Caterina trovava ispirazione anche Bob Dylan che probabilmente prese da qui l’idea per scrivere la canzone Mozambique. La prima tappa del mio viaggio è Vilankulo, sulla costa. Ci arrivo al tramonto e dal resort osservo le isole lontane, ma non troppo. Al mattino, al risveglio, decine di pescatori navigano sui dhow, le tipiche imbarcazioni in legno che solcano queste acque, o su canoe che si muovono silenziose al ritmo lento delle pagaiate. I commercianti arabi navigavano le stesse acque sugli stessi dhow già più di mille anni fa trafficando in schiavi, perle e avorio. Anche il nome Mozambico pare derivi dal commerciante e governatore arabo Moussa ben Mbiki che si stabilì qui nel Quattrocento. Trovo le rovine di un luogo di smercio dell’epoca durante una breve passeggiata a sud di Vilankulo e provo a immaginare il mare pieno di vascelli che trasportano tessuti e altre mercanzie. Oggi i dhow accompagnano i turisti sulle isole e io ci voglio andare. in una piovigginosa mattina mi ritrovo finalmente sulla motonave Adriana diretta verso l’arcipelago. L’imbarcazione è fatta con tre tipi diversi di legno e dipinta di verde e viola. Non esattamente confortevole, puzza anche un po’ di gasolio, pesce e sale ma scivola serena sull’oceano. Adoro ogni secondo del viaggio di quattro ore che mi porta a Benguerra. La guida Duma Mufume racconta del periodo d’oro del turismo in Mozambico tra la fine degli anni Sessanta e i primi Settanta: “Io ero solo un bambino ma mi ricordo che arrivava gente da tutto il mondo. C’erano sale da ballo, ristoranti, musica...”. Poi la guerra civile dilagò e per tanto tempo non si vide più un turista. Nel 1992 la firma di un seppur fragile trattato di pace ha dato il via a un lungo processo di guarigione. “C’è ancora molto da fare, ma il Mozambico sta tornando”. Intorno a mezzogiorno arriviamo nei pressi della spiaggia di Benguerra e vado a fare snorkeling sulla barriera corallina. L’acqua è talmente limpida che riesco a vedere le stelle marine sul fondale mentre alcuni pesciolini si intrufolano tra le mie dita dei piedi.

L’arcipelago Bazaruto è stato dichiarato riserva marina nel 1971 e oggi ospita alcune specie rare, incluso il dugongo. Mi piacerebbe partire subito all’esplorazione, ma la mia guida dell’isola Billy Landrey vuole farmi vedere i dintorni. Mi aspetto un paradiso tropicale di sabbia, palme e cocchi, invece l’interno mi ricorda la savana. “Migliaia di anni fa l’isola di Benguerra era attaccata alla terra e gli ippopotami hanno vissuto qui fino agli anni Sessanta”, spiega Landrey. Oggi al loro posto ci sono i fenicotteri rosa ed esemplari di trogone narina, uccelli tropicali verdi e rossi. Il giro dell’isola prosegue fino a quando raggiungiamo una duna di sabbia che sembra una piramide. Da lassù il panorama è sconvolgente: isole verdi circondate da strisce di sabbia bianca e anelli di acqua turchese. Ma non riesco a vedere l’isola per la quale sono arrivato fino a qui. Santa Carolina, il paradiso dei miei genitori, non mi è mai sembrata così lontana. Per fortuna scopro che gite giornaliere partono da Inhassoro per Santa Carolina in barca. Un viaggio di un’ora compresa una sosta per acquistare un polipo da un pescatore di passaggio. Appena raggiungiamo l’isola mi accorgo che non c’è anima viva in giro. Ci vuole un po’ per trovare, nascosto tra le palme, il mitico Hotel Santa Carolina dove i miei genitori novelli sposi hanno iniziato la loro vita insieme. Entro e mi faccio strada sulle scale abbandonate verso una stanza a caso ricoperta di piastrelle rosa. Ne raccolgo qualcuna come souvenir o memento. Proseguo verso la sala da ballo devastata dai cicloni e abbandonata, ma con al centro una colonna ricoperta da piccole piastrelle azzurre che mi immagino lavorate dagli artigiani locali mezzo secolo fa. In fondo alla stanza c’è anche un piano. Avrà scritto qui Mozambique Bob Dylan? Le parole mi vengono in mente come un soffio di vento: “I like to spend some time in Mozambique/The sunny sky is aqua blue/And all the couples dancing cheek to cheek/It’s very nice to stay a week or two (Voglio passare del tempo in Mozambico/Il cielo soleggiato è blu come l’acqua/E tutte le coppie che ballano guancia a guancia/È molto bello stare una o due settimane..., ndr). Mi immagino i miei genitori, nel 1963, pieni di ottimismo che ballano proprio qui. Cerco il cellulare e chiamo mia madre; c’è la segreteria: “Mamma, sono sull’isola del paradiso, all’hotel Santa Carolina. Dillo a papà”. Dò un’ultima occhiata, faccio qualche foto e poi torno alla barca. Non vedo l’ora che sentano il messaggio.

Foto di Massimo Bassano