di Tino Mantarro
Alternare visite culturali e appaganti pedalate in una vacanza in bicicletta? Si può grazie alla ciclabile dell’Adige che lungo il percorso permette di conoscere i quattro musei provinciali trentini, dal Muse al Mart, dal Buonconsiglio al Museo degli usi e dei costumi della gente trentina
Viaggiare in bicicletta ha molti pregi e un solo difetto. Colonna pregi: il paesaggio non lo attraversi e basta, lo vivi. Lo respiri pedalata dopo pedalata, addentrandoti per le strade meno battute, guardando piccoli paesi dalla porta sul retro. In bici sei più libero di costruire la giornata e arrivare, a una velocità di crociera ideale, dove portano istinto e curiosità. E allora, si dirà, dove sono i difetti? In bicicletta, direbbero a Roma, s’ha da fatica’. Ma a ben vedere rientra tra i pregi alla voce: attività fisica all’aria aperta. L’unico difetto allora è che in bici non puoi davvero “approfondire” il territorio che stai scoprendo. Non c’è nessuno sul sedile che legge la Guida Verde spiegando che cosa è questo e quello. Ed è difficile confrontarsi con i compagni di viaggio su come interpretare il paesaggio e le sue specificità: sono tutti presi a pedalare. Scendendo lungo la ciclabile dell’Adige si può ovviare a questo difettuccio coniugando cicloturismo e cultura. Come? Costruendo un percorso tanto facile da pedalare quanto ideale per comprendere geografia, storia, geologia, usi, costumi e tendenze artistiche che hanno reso questo pezzetto di terra così particolare. Un percorso in quattro atti che tocca i musei provinciali del Trentino. Tutti collegati dalla stessa sicura ciclabile lungo l’Adige, ognuno focalizzato su un aspetto che aiuta a farsi un’idea più articolata del territorio trentino
Prima tappa. Giuseppe Šebesta era un esploratore. Un esploratore della cultura dei trentini. Coltissimo e poco convenzionale, nel 1968 ha fondato il Museo degli usi e dei costumi della gente trentina di San Michele all’Adige, che per vastità delle collezioni e struttura è considerato il maggiore museo etnografico locale d’Italia. Certo, bisogna ammetterlo, spesso polverosi e fermi nel tempo i musei etnografici non godono di buona fama, ma questo di San Michele è tutta un’altra cosa. È nato non come deposito di collezioni, ma da un’idea precisa: raccontare la vita alpina. Così tutto quello che è esposto è stato raccolto sul territorio per essere messo in mostra all’interno di un percorso che racconti come viveva la gente trentina fino agli anni Cinquanta. Basta vedere il plastico all’ingresso per capire che si uscirà avendo ben chiara la geografia umana di queste terre. Presenta il paesaggio umanizzato montano secondo una scansione verticale: gli alpeggi estivi in alto, le baite per la mezza stagione con i piccoli campi dei cereali, le stalle per l’inverno, gli orti e i frutteti nei paesi del fondovalle. Sala per sala racconta come si stava nei villaggi, come ci si procurava da vivere nella società agro-silvo-pastorale che abitava le valli. Piccoli e grandi oggetti, modellini, intere macchine trovate da Šebesta nelle sue esplorazioni. Smontate e portate nell’antico monastero degli Agostiniani per conservare memoria della cultura materiale trentina in un’epoca in cui la modernizzazione trasformava vita e paesaggio. E quanto questo sia cambiato lo si capisce risalendo in sella fino a Trento, tra i filari di vigneti della piana rotaliana, costeggiando l’Autobrennero che spezza il fondovalle e ricorda che questa è sempre stata terra di passaggio.
Seconda tappa. A Trento, a un passo dall’Adige, giusto dopo lo stadio, spunta il Muse. La tappa più indicata per imparare a decifrare il paesaggio naturale trentino. Bello fuori – l’architettura, sostenibile e leggera è di Renzo Piano –, intenso e tecnologico dentro. In sei piani tanti ricchi quanto luminosi esplora le particolarità geologiche e naturali dell’ambiente alpino accompagnando per mano i visitatori. È un museo di ultima generazione, di quelli in cui le cose esposte si toccano, si ascoltano e alle volte si smontano anche. È popolato di giovani e famiglie che si disperdono tra le sale aperte per fare esperienza della natura e delle scienze connesse. Un’esperienza totale e multisensoriale, che ti porta a riflettere sulla sostenibilità ecologica del nostro stile di vita, sulle conseguenze dello sviluppo sull’ambiente e su altri pensieri che in sella chissà perché vengono naturali.
Terza tappa. Lasciato l’Adige sali verso il Castello del Buonconsiglio attraversando l’ordinato centro di Trento. Con il suo profilo massiccio, la pietra grigia e l’aspetto austero già dall’esterno racconta la storia di quando Trento era retta dai principi vescovi. Dal 1924 è un museo. Un museo che mette in scena se stesso perché i principi vescovi non lesinavano in mecenatismo. Così in pieno rinascimento Bernardo Clesio fece costruire il Magno palazzo con sontuosi affreschi che adornano stanze e loggiati. A fine Trecento il vescovo Giorgio di Liechtenstein aveva fatto affrescare la Torre Aquila al maestro Venceslao. Ne è uscito il Ciclo dei mesi, rappresentazione pittorica della vita trentina nel Trecento che idealmente fa il paio con quel che si vede a San Michele. Ma il Buonconsiglio è stato anche altro. Dal 1803 ha ospitato la guarnigione asburgica. Qui venne incarcerato, processato e giustiziato Cesare Battisti, patriota irredentista, collaboratore del Tci (era un valente cartografo) e deputato a Vienna. Durante la prima guerra mondiale combatté per l’Italia e quest’anno si celebrano i 100 anni del suo sacrificio (al Buonconsiglio è in programma una mostra). Ogni giorno si visitano le celle dove Battisti e Filzi vennero rinchiusi prima dell’impiccagione, nella fossa della Cervara, sul retro del castello
Quarta tappa. Per arrivare al Mart un poco devi faticare. Rispetto alla ciclabile è sull’altro versante e devi risalire fin quasi in centro a Rovereto. Poi zac, apparentemente stretto tra le case, ecco il Mart con la sua cupola trasparente, la struttura immensa di mattoni, come piace a Botta. Il Mart ha 14 anni e come tutti i musei spesso cambia faccia. Non solo per via delle mostre che si avvicendano, ma perché ogni tanto i direttori cambiano e decidono di esporre con un’altra prospettiva. Da qualche mese le collezioni permanenti sono state riallestite con un percorso espositivo snello e ricco. Cento opere tra quelle in dotazione al museo per capire il Novecento e i suoi movimenti artistici. Due i percorsi: da un lato l’invenzione del moderno con le avanguardie e un’attenzione particolare ai futuristi; dall’altro l’irruzione del contemporaneo, con l’abbattimento dei limiti concettuali, fisici e geografici dell’arte. Abbattimento che è anche spaziale: l’ultimo piano è stato sventrato e le opere galleggiano in un’unica sala ampia e luminosa. Come è ampio e luminoso il fondovalle trentino, ideale per le bici.