Lombardia. Si è rimessa in Sesto

Giulio OldriniGiulio OldriniGiulio OldriniGiulio OldriniGiulio Oldrini

Sesto San Giovanni, periferia nord di Milano, un tempo epicentro della grande industria italiana, si sta trasformando in un importante polo dell’arte, del design e della musica

La più grande industrializzazione. Può una città che è stata per quasi un secolo uno dei simboli dell’industrializzazione, trasformarsi poi in uno dei luoghi più frequentati da chi cerca cultura e socialità? È quello che ha cercato di fare Sesto San Giovanni, la città di 83mila abitanti alle porte di Milano, che dopo la deindustrializzazione che l’ha portata a perdere decine di migliaia di posti di lavoro negli anni ‘90, e a vedere chiudersi fabbriche storiche come le Acciaierie Falck, la Breda, la Ercole Marelli, la Magneti Marelli, la Campari, la Garelli e altre, ha dovuto reinventarsi. Spesso riutilizzando le strutture ereditate dal passato industriale, per ricostruire un futuro all’altezza della lunga tradizione. Il suo infatti era stato un Novecento importante. Secondo gli storici dell’industria, tra il 1903 e il 1911 a Sesto San Giovanni si era verificata la più grande industrializzazione d’Europa in poco tempo e su un territorio ristretto. Fabbriche enormi avevano occupato improvvisamente i campi, migliaia di migranti erano arrivati da ogni parte del Norditalia per lavorare, e il numero degli occupati era diventato ben superiore a quello degli abitanti. Il prevosto di quegli anni, don Paolo Molteni, nel suo Liber chronicus scriveva quasi spaventato: «Non si possono più fare le processioni tradizionali, perché non ci sono più i sentieri lungo i quali camminavamo e nemmeno le cappelle oggetto del culto», tutto fagocitato dalle mura delle nuove fabbriche. Poi, quasi tanto veloci come quando erano arrivate, quelle enormi aziende cattedrali se ne erano andate, lasciando infiniti vuoti e terreni inquinati.  

A prima area recuperata è stata quella della Breda, ai confini con Milano, al punto che il centro commerciale che sorge lì sul territorio sestese si chiama Centro Sarca, dal nome dell’omonima via milanese che arriva fino a qualche decine di metri dai muri dell’ipermercato con multisala cinematografica. Un’area di 400mila metri quadrati, a due passi dal Parco Nord Milano, polo di attrazione per decine di migliaia di persone che vengono dal capoluogo e dai Comuni vicini, e dalla storica Villa Torretta, una residenza del 1600, oggi restaurata e divenuta hotel a 4 stelle con annessa chiesetta per i matrimoni. Sull’area sono tornate industrie piccole e medie, ma la vera svolta si ebbe quando fu abbattuto il grande capannone della Breda Siderurgica dove avvenivano le colate. Non appena si acquietarono le polveri sollevate delle vecchie mura che franavano sotto i colpi delle ruspe, apparve in tutta la sua imponente bellezza il carroponte, la gru aerea che trasportava i grandi rottami da fondere. Anche lui da abbattere. Fu il musicista e compositore Rocco Abate, che era presente a quelle demolizioni, a gridare «È troppo bello, non può essere distrutto». Sotto quella cattedrale in ferro è stato poi realizzato un grande palco e l’illuminazione di fari, rossi come le colate, è stata segnalata dalla Philips come una delle 12 più belle architetture di quell’anno, insieme al ponte di San Francisco, a Buckingam Palace e ad altre meraviglie del mondo. Da una decina d’anni per tutta l’estate al Carroponte l’Arci organizza concerti ed eventi che attirano centinaia di migliaia di persone. È stata così recuperata un’area, ma anche una parola. I giovani non sapevano più cosa fosse un carroponte, era persino scomparso il vocabolo che lo definiva. Ora, spesso, quando chiedi a una ragazza o a un ragazzo «dove vai questa sera?» ti senti rispondere «Al Carroponte». Proprio di fianco ci sono i Magazzini bassi, o delle minuterie, della Breda Siderurgica. Sono stati recuperati e divisi in tre parti. Nella prima, il ristorante Il maglio, che prende il nome da questa enorme macchina installata nello stesso edificio. Nella parte centrale il Laboratorio di Giovanni Sacchi, che questo falegname sestese ha lasciato in eredità al Comune. Subito dopo la seconda guerra mondiale, in un’epoca in cui non c’erano i computer, Giovannino era stato scelto per la sua intelligenza e abilità dai maggiori designer e architetti, italiani e non solo, per realizzare i modelli delle loro opere. Ora questi disegni e la loro materializzazione si possono ammirare lì, insieme ai tavolacci e agli strumenti che Sacchi usava e che oggi vengono spesso utilizzati dai ragazzi delle scuole che vi effettuano dei corsi. Nella terza parte dell’edificio, grandi saloni per esposizioni, rappresentazioni teatrali, eventi.

Era il 1903 quando Davide Campari acquistò a Sesto San Giovanni, sullo stradone imperiale per Monza, la Casa Alta dei marchesi Arese Lucini, dove tra l’altro Ugo Foscolo aveva avuto una relazione con la nobildonna Antonietta, L’amica risanata della famosa, compromettente poesia. In una parte del grande giardino aveva costruito la fabbrica che nel 2005 è stata trasferita a Novi Ligure. Grazie a un accordo tra Amministrazione comunale e proprietà, oltre a realizzare la nuova sede della Direzione centrale della multinazionale su progetto degli architetti Mario Botta e Giancarlo Marzorati, è stato mantenuto l’edificio industriale del 1903, trasformato però in un Museo aziendale straordinariamente interessante. Certo, la Campari era favorita. Davide infatti era stato uno dei pionieri nella pubblicità di qualità in Italia. Lui aveva convinto, all’inizio del ‘900 e negli anni seguenti, grandi artisti a lavorare per l’azienda e i manifesti di Depero, Dudovich, Metlicovich, Nizzoli, Nespolo costituiscono una base artistica di grande valore, alla quale nel corso dei decenni si sono aggiunti mille e mille oggetti, dai portacenere ai lampadari, dalle carte da gioco alle agende che portano il marchio del buon gusto “Rosso”. Fino ad arrivare agli spot pubblicitari per le tv, uno dei quali firmato persino da Federico Fellini, l’unico che il regista romagnolo abbia mai girato. Un immenso salone dove si organizzano eventi e mostre, un giardino pensile curvo che precipita in un laghetto, e poi, a completare il nuovo quartiere, la Casa Alta recuperata che oggi ospita a pianterreno un ristorante che si affaccia sul grande giardino e ai piani superiori l’Academy dove i sommelier di tutto il mondo vengono a imparare a creare i cocktail col Campari.  

Ora a Sesto resta da recuperare l’immensa area della ex Falck, la più grande d’Europa in trasformazione, ancora segnata dai grandi edifici di archeologia industriale che verranno salvati e riutilizzati nel progetto di Renzo Piano e che avranno il loro motore nella Città della salute e della ricerca, con l’unione di due ospedali storici come il Neurologico Besta e l’Istituto dei Tumori che attualmente sono a Milano, con in più un grande centro di ricerche mediche comune. Un progetto che colloca le nuove strutture sanitarie nel verde di un grande parco, con l’idea e la convinzione che la cura e lo sviluppo della conoscenza per guarire le persone siano decisamente più efficaci se avvengono nel mezzo della natura. Anche questa un’idea forte per mutare profondamente una città mantenendo ferma la sua tradizione di luogo di innovazione e di attenzione alle persone. È in corso infatti il lungo ed elaborato processo di bonifica con l’intervento di droni e gps che renderà utilizzabili ed edificabili 1,4 milioni di metri quadrati di terreno. Ci starebbero 240 campi da calcio affiancati l’uno all’altro, ma non sarebbe il modo migliore per utilizzare questo spazio. Sesto San Giovanni vuole rimanere una città che guarda avanti. Sempre.

Foto di Giulio Oldrini