L’Italia (e il Touring) tornano in sella

@Archivio Fotografico Tci@Archivio Fotografico Tci@Archivio Fotografico Tci@Archivio Fotografico TciGianluca Biscalchin

Nasce il Sistema nazionale delle ciclovie turistiche: dal Brennero a Capo Passero, dieci ciclabili per circa 6mila chilometri di pedalate. Per la prima volta sono considerate un’infrastruttura strategica per la mobilità sostenibile in Italia. E per sviluppare il potenziale del turismo in bicicletta.

 «Ero rimasto alpinista e camminatore, ma dal giorno in cui ho provato la bicicletta, in verità, ho capito quanto valga il ciclismo, ne ho sposato la causa e mi son fatto ciclista». Una vera illuminazione di cui scriveva, nel 1897, Vittorio Bertarelli, tre anni prima fondatore – assieme ad altri 57 velocipedisti – del Touring Club Ciclistico Italiano, nato con lo scopo dichiarato di promuovere la conoscenza del Paese grazie a quello che ancora non era chiaro se si chiamasse velocipede, bicicletto o bicicletta. Quale che fosse il nome, era un nuovo modo di viaggiare e il Tci se ne faceva alfiere. Ma se ai tempi di Bertarelli l’alternativa era tra cavalli, carrozze o tutt’al più treno, dopo decenni di oblio in favore della motorizzazione di massa oggi il turismo in bicicletta deve nuovamente conquistare il suo spazio. Specie in Italia, ancora relativamente indietro nel sviluppare compiutamente il potenziale del viaggiare su due ruote. E per farlo necessita per forza di cose di infrastrutture dedicate.

Infrastrutture leggere, va da sé, ma necessarie per sviluppare il cicloturismo, perché la sicurezza è un requisito essenziale, ancor più della certezza di poter godere di tutti i servizi turistici collegati all’indotto. Infrastrutture che allora diventano non grandi opere, ma possibilità concrete di sviluppo di un turismo sostenibile e attento ai territori, specie quelli meno battuti.
Un po’ perché con la scusa della crisi economica la bicicletta è tornata di gran moda, un po’ perché è cresciuta l’attenzione alla sostenibilità ambientale, un po’ perché altrove in Europa sono avanti decenni, se ne sono accorti anche ai piani alti del Governo. Così negli ultimi due anni grazie all’impegno congiunto del Ministero per le infrastrutture e i trasporti guidato da Graziano Delrio e del Mibact di Dario Franceschini è stato creato il Sistema nazionale delle ciclovie turistiche. «Finalmente siamo riusciti a far considerare questo sistema come un’infrastruttura strategica per lo sviluppo del Paese che è il solo modo per ottenere finanziamenti coerenti per le grandi ciclovie» spiega l’onorevole Paolo Gandolfi, che più di altri si è battuto per reperire fondi per le ciclabili.

Nel 2016, per la prima volta, la legge di stabilità ha previsto fondi per la progettazione e la realizzazione di quattro ciclabili: la Ciclovia del Sole, da Verona a Firenze; la ciclovia VenTo, da Torino a Venezia; la Ciclovia dell’acquedotto pugliese, da Caposele in provincia di Avellino sino a Santa Maria di Leuca, Lecce. E poi a Roma il Grab, il Grande Raccordo Anulare della Bicicletta. Oltre 1.500 chilometri in otto regioni per cui sono stati stanziati 91 milioni di euro per il triennio 2016-2018. Ciclovie selezionate sia tenendo conto delle indicazioni della rete europea di ciclabili Eurovelo sia dei suggerimenti dal basso redatti da associazioni, università ed enti locali con un concreto radicamento sul territorio. E oggi è già alla fase di progettazione dei tracciati. L’anno successivo con la legge di stabilità sono state finanziate altre sei ciclovie. Alcune sono progetti che forse non hanno gambe e rischiano di rimanere solo sulla carta. Per altre, come per 67 chilometri della Ciclovia del Garda e i primi 80 chilometri della Lignano-Grado-Trieste, si tratta solo di ricucire e amalgamare l’esistente. E di iniziare a promuovere pacchetti ad hoc.

Comunque sia, il Sistema nazionale delle ciclovie turistiche rappresenta uno sforzo nella giusta direzione per lo sviluppo del cicloturismo. Lo dimostra il caso della Germania che nel settore è l’esempio da seguire, basta dare un’occhiata ai numeri per capirlo. Nel Paese sono 209 le dorsali cicloturistiche, ovvero ciclovie di oltre 150 chilometri su cui compiere un viaggio di almeno due giorni. Nonostante la stagione turistica tedesca in confronto a quella italiana sia ridotta, lo scorso anno il sistema ha generato 175milioni giornate/vacanza in sella. Per un indotto stimato di 8 miliardi di euro, con una ricaduta occupazionale legata alle economie del cicloturismo di circa 180mila persone impiegate a tempo pieno. A riprova che gli investimenti pubblici in infrastrutture cicloturistiche hanno un grande ritorno. Uno studio del Politecnico di Milano spiega che per ogni milione di euro investito nel settore bici si generano 4,89 posti di lavoro. Nel settore aereo sono 3,9. Perché l’economia legata al cicloturismo – che in Italia nel 2016 ha generato circa due miliardi di euro – ha un enorme potenziale non ancora sfruttato. Se per anni i turisti in bicicletta erano visti dagli albergatori come una nicchia eccentrica un po’ stracciona, nell’ultimo lustro il panorama è finalmente cambiato. Il fenomeno non è ancora di massa, ma cresce. E con esso cresce la bike economy, un settore che nel solo Trentino vale 400 milioni di euro, grazie al vasto indotto generato da sport e turismo. E che in tutta Italia – Paese leader nella produzione di due ruote – vale 6,2 miliardi di euro. E crescerà ancora quando le e-bike, le biciclette elettriche a pedalata assistita, diventeranno ancor più efficienti e diffuse, e di conseguenza sempre più utilizzate per il cicloturismo in modo da poter coinvolgere anche chi ha paura di non farcela. «Per questo il Touring – come ha spiegato il presidente Franco Iseppi intervistato dal Corriere – vuole sempre più essere un protagonista attivo di un ripensamento, soprattutto culturale della mobilità in Italia». È il momento di tornare in sella.

 

Foto Archivio fotografico Tci