di Clelia Arduini | Fotografie di Giuseppe Carotenuto
Da Palazzo Barberini a Trinità dei Monti, sulle strade, nei palazzi e nelle atmosfere fine Ottocento del romanzo di Gabriele D’Annunzio
«L’orologio della chiesa della Santissima Trinità dei Monti suona le tre, ma lei non è ancora arrivata. Nella sua dimora in via Gregoriana, Andrea Sperelli aspetta l’amante e i suoi sensi si acuiscono come un animale a caccia: un profumo di ginepro e di rose gli salta alle narici, le tende appaiono misteriose ai suoi occhi e il ricordo dei suoi riccioli neri mescolati alla pelliccia diventa un martello che picchia sul cuore.
Fuori, tra piazza di Spagna e il Pincio, fremono le vetture e mentre l’obelisco di piazza Trinità dei Monti si tinge di rosa, lui si tortura per quell’amore che scuote ogni centimetro della sua pelle.»
Sono le prime pagine de Il piacere, primo romanzo di Gabriele D’Annunzio, che racconta tra il 1885 e il 1887 le lussuriose avventure di Andrea Sperelli, giovane aristocratico, esteta, poeta e amante delle belle donne, che «intende fare la propria vita come si fa un’opera d’arte».
Come in un gioco di specchi, Sperelli è l’alter ego di D’Annunzio, il futuro Vate, che nel 1881, non ancora ventenne, lascia la natia Pescara e approda con il padre nella Città Eterna, dove tutto è imbevuto di arte. Il giovane inizia a collaborare con i giornali locali occupandosi di cronaca mondana, ma vuole il successo, la fama e una vita da “principe romano”. Riuscirà ben presto ad averli grazie al matrimonio segreto con la duchessa Maria Hardouin di Gallese, che lo introduce alla grande bellezza sin dalla loro prima lussuosa abitazione in piazza Barberini all’angolo con via Sistina.
A 80 anni dalla morte di D’Annunzio e a 129 anni dalla pubblicazione de Il piacere, seguiamo insieme Andrea Sperelli nella sua scoperta della città, una Roma barocca e goduriosa, «non la Roma dei Cesari, ma la Roma dei Papi; non la Roma degli Archi, delle Terme, dei Fori, ma la Roma delle ville, delle fontane, delle chiese», tra bellezza, lusso, privilegi, dove Il piacere tesse la sua trama libertina di seta, pizzi e chiffon dalle sfumature rosa, malva, avorio, blu.
I colori della belle époque, di benessere e invenzioni che migliorano la vita - la luce elettrica, l’automobile, la radio, il cinema – e creano ovunque un clima di ottimismo. Roma, giovane capitale, fa la sua parte: sta sviluppando una vivace economia e si avvia a diventare una sede privilegiata di cultura. Il giovane aristocratico si nutre dei saloni dalle volte affrescate, delle scale di marmo, dove scorrono i liquidi strascichi degli abiti da sera, dei piatti di cristallo guarniti d’argento, dei festoni di camelie e violette, dei palchi di velluto rosso, le corse di cavalli, le aste, le carrozze.
Una sera, in uno dei salotti di questa Roma piaciona e riccona fin de siècle, Andrea è folgorato dalla duchessa di Scerni, che gli suscita subito «il presentimento del possesso». Si chiama Elena Muti ed è una creazione dell’arte: la sua figura è slanciata con le spalle che «emergono pallide come l’avorio» dai merletti del vestito, agile e tondo è il collo, la sua voce è ricca di suono e il suo sorriso è sensuale e le fa tremare con dolcezza la parte inferiore del mento. Ad Andrea pare di averla già vista, forse in sogno, «forse in un’esistenza anteriore».
L’incontro fatale avviene in piazza Farnese 44, a palazzo Roccagiovine, dipinto con quel “color cilestrino”, detto anche “color dell’aria”, in uso a Roma nel Settecento, fresco oggi di un restauro che ha riacceso le decorazioni in stucco, i fregi, i marmi. Qui, i due giovani si mangiano con gli occhi e gli sguardi si intrecciano con desiderio.
Dall’altra parte della piazza c’è palazzo Farnese, dal 1936 sede dell’ambasciata di Francia, altro luogo galeotto in cui Andrea ed Elena, di nuovo insieme per una festa da ballo, si giurano amore nella celebre galleria dei Carracci, anch’essa tornata a nuova vita dopo un importante restauro che ha ridato luce a Bacco, Arianna, Diana, Pan, Mercurio, Paride e tutti gli altri mitici personaggi racchiusi in dodici medaglioni in finto bronzo.
Come D’Annunzio dopo il matrimonio, anche Andrea Sperelli vive non lontano dalla fontana berniniana del Tritone, detta sonante per via del sibilo emesso dallo zampillo: la sua dimora è infatti palazzetto Zuccari, tra via Gregoriana e via Sistina, alla sommità della scalinata della Trinità dei Monti, in cui «v’è raccolta come un’essenza in un vaso tutta la sovrana dolcezza di Roma». L’edificio del XVII secolo – chiamato popolarmente la casa dei Mostri perché il portone su via Gregoriana ha la forma di una gigantesca bocca spalancata, ispirata all’Orco del Bosco Sacro di Bomarzo – ospita oggi la Bibliotheca Hertziana-Istituto Max Planck per la storia dell’arte, nata grazie alla donazione della mecenate ebrea Henriette Hertz dopo la sua morte nel 1913. La Hertz, che negli anni della belle époque ha affittato una parte di palazzetto Zuccari come seconda casa a Roma e sogna di costruire un luogo di ricerca dove studiosi di tutte le nazioni possano incontrarsi in piena libertà, è celebre per il suo salotto frequentato da diplomatici, studiosi, artisti. D’Annunzio è tra i suoi più assidui ospiti.
Dalla sfarzosa residenza, Sperelli guarda da una parte il cinquecentesco palazzo Mignanelli – proprio in quegli anni rinnovato e ingrandito, e in futuro sede della maison Valentino – sotto cui si apre l’immortale piazza di Spagna, e dall’altra, piazza Trinità dei Monti dove si sta innalzando uno splendido stabile in cui un albergatore svizzero, Albert Hassler, vorrebbe costruire un hotel.
Dalla sua domus aurea vede anche Villa Medici, sede dell’Accademia di Francia dal 1803, che «pare una foresta di smeraldo ramificante in una luce soprannaturale»: per quel palazzo circondato da un immenso giardino, Sperelli darebbe in cambio persino il Colosseo.
In lontananza, appaiono i contorni di via delle Quattro Fontane, dove al numero 13 c’è una residenza principesca, l’edificio più bello fra quelli della nobiltà romana: palazzo Barberini, oggi sede della Galleria nazionale di arte antica. La sua Elena abita lì. Quando percorre via Sistina – fino a venti anni prima un tratto della lunghissima “Strada Felice” dal nome del suo artefice papa Sisto V, al secolo Felice Peretti – Andrea protende lo sguardo verso quel punto. E mentre schizza in coupè sui sanpietrini, le targhe dedicate agli artisti Giovanni Battista Piranesi, Bertel Thorvaldsen e al suo allievo Luigi Rossini si schiudono con le botteghe degli artigiani, gli atelier di moda, le case d’aste. C’è un negozio al civico 85 aperto da poco da un argentiere greco fuggito dall’Epiro dilaniato dalle lotte fra greci e turchi, che sta riscuotendo successo. Si chiama Sotirio Bulgari e darà inizio alla fortuna della maison di alta gioielleria celebre in tutto il mondo. Al suo posto, oggi c’è una graziosa galleria d’arte.
Di fronte, pochi metri più avanti, in un minuscolo appartamento e in anni diversi un giovane Franco Migliacci compone per Domenico Modugno Nel blu dipinto di blu. è un’altra storia, certo, ma è per dire che la via non ha mai smesso di emanare creatività e bellezza. Al 147, invece, c’è una piccola osteria, dove Sperelli non ha mai messo piede; fino al 1880 era una stalla con cambio cavalli di proprietà dei Barberini, ma quando il principe Enrico Barberini Colonna acquista l’auto, dona il locale al suo stalliere che lo trasforma in osteria. Il locale c’è ancora oggi, si chiama La tavernetta e lo dirige il pronipote.
La passionale liaison tra Elena e Andrea vive tra le mura di palazzetto Zuccari, palazzo Barberini e i luoghi più struggenti della capitale. I due al tramonto si lanciano al galoppo dall’Aventino giù per via di S. Sabina mentre alle loro spalle i palazzi imperiali si infiammano di rosso; esplorano nei pressi l’edificio sacro di S. Alessio e la sua lingua di terra protesa sulla città, che una decina di anni prima la Chiesa ha consegnato al Comune. Quel terreno è diventato un meraviglioso terrazzo ombreggiato da pini mediterranei e profumato da essenze.
La loro vita da ricchi innamorati è bella in una città in continua trasformazione come Roma, tra carrozze e tram a cavallo, dove spesso si abbatte l’antico e si eleva il nuovo, come la demolizione di un intero quartiere medievale – l’Ara Coeli – per la costruzione del Vittoriano. Eppure il folle amore tra Andrea ed Elena dura lo spazio di un mattino: lei per ragioni economiche si sposa e si allontana da lui. Così il giovane viveur cerca di sostituire quell’amore lussurioso con una donna angelo, Maria Ferres, che gli suscita pensieri e immagini di poesia: le cita i versi di Percy Shelley… «tu m’illumini d’una luce che è quasi per me insostenibile...» e la conquista.
I due si recano al Cimitero inglese per deporre fiori sulla tomba dell’irrequieto e romantico poeta inglese, che 63 anni prima, nel 1822, era annegato al largo della Toscana. Il suo sepolcro, insieme a quello di John Keats e di molti altri artisti, è sempre lì al Cimitero acattolico di via Cestia 6. Lo chiamano pure cimitero dei protestanti, o ancora cimitero degli artisti e dei poeti, ma comunque si chiami assicura da 302 anni una piacevole frescura con un intrigo di tigli, gelsomini e siepi di lauro gentile, che seguono il visitatore ammantandolo di verde e di malinconia.
La storia tra Andrea e Maria naufraga come il battello di Shelley e Sperelli si ritrova solo e sconfitto. Come quegli anni visionari che sognano un Novecento di pace e benessere e invece s’inabissano ben presto con il Titanic e la Grande Guerra nei fondali di un’orrida realtà.
Oggi l’immagine di Roma è sempre quella de Il piacere, decadente e meravigliosa, solo che a differenza di quegli anni, mancano cultura, passione, slancio vitale, e ciò la rende senz’anima. Come la strada dedicata al Vate, che corre in solitaria da piazza del Popolo fino a via della Trinità dei Monti tra gramigna, immondizia, palmizi e busti marmorei, con una fontana del Valadier da anni senz’acqua, che sembra una tazza sgrugnata. Con buona pace della belle époque, della Grande bellezza, di Gabriele D’Annunzio e Andrea Sperelli che, almeno, provarono a vivere come un’opera d’arte.