di Antonio Armano | Fotografie di Fabrizio Annibali
Dimenticate Malá Strana, con il Castello e il ponte Carlo invasi dai turisti: oggi l’anima della capitale ceca si può trovare oltre Staré Město, nei quartieri emergenti di Karlín e Žižkov, densi di storia e di nuovi locali
Le note della fisarmonica si spargono tra i cortili di via Křemencová entrando dalla finestra aperta in una giornata di sole di fine settembre. Da U Fleků stanno suonando Oči černye: significa che ci sono turisti russi. Per i tedeschi Rosamunda. Per i francesi La vie en rose. Per gli italiani O sole mio.
U Fleků è un antico birrificio – forse il più antico locale della città –, restituito ai proprietari dopo la Rivoluzione di velluto del 1989. Si serve birra scura e si mangiano piatti cechi, gulash e dintorni. è un posto turistico e con grandi sale; come U Kalicha, l’osteria dove inizia Il buon soldato Švejk, l’opera più famosa della letteratura ceca prima dell’Insostenibile leggerezza dell'essere.
«Quando vedi la faccia di Švejk scappa: tutto costa almeno il doppio» ironizza Franco Hüller. Hüller è un artista di Sassuolo che ho incontrato a Praga una decina d’anni fa e sono tornato a trovare. Allora stava realizzando dei murales per la Hlavni Nádrazˇ, la Stazione Centrale, e si era appena trasferito qui. Insegna al Prague College e abita in un appartamento di via Křemencová, quasi sopra a U Fleků: pareti bianche e nude, parquet, tele accatastate e girate contro il muro, tappeti orientali consunti. Il suo percorso praghese l’ha portato anche a vivere in una soffitta del quartiere di Žižkov, senza riscaldamento finché un vicino di casa non ha installato una stufa aprendo un buco nel muro: «Beveva molto» ricorda Franco. «Tutte le mattine veniva a trovarmi. Mi portava legna da bruciare, ricavata da mobili scartati durante i traslochi, e mi dava pareri su quello che stavo dipingendo. Questo è buono... Questo no».
Anche un discendente di Karl Hüller, progettista di giardini e pittore tedesco arrivato a Modena nel 1816 al seguito del duca Francesco IV d’Austria, può fare un po’ di bohème. Oggi se la passa molto meglio e se avesse una bacchetta per comandare al tempo lo farebbe fermare ora. Con Franco cerco di districarmi attraverso la mappa mentale e materiale di una città spoetizzata dal turismo di massa e dove non è semplice trovare qualcosa di autentico, di “magico” per usare un abusato termine lanciato dal fortunato libro di Angelo Maria Ripellino.
Negli inverni del mio scontento di viaggiatore mi è capitato di ritrovare l’incanto passeggiando con la neve, a notte fonda, per la città deserta. In questi giorni luminosi sul lungofiume della Moldava ho invece trovato due africani vestiti alla marinara che vendono l’esperienza “Venezia praghese”, boat trip sulla Moldava. Con una vera gondola veneziana. Come se al ghetto di Venezia vendessero pupazzi del Golem. I luoghi comuni del kitsch turistico si sovrappongono, come nei fotomontaggi. Ho visto un centro massaggi thailandesi in Staromeˇstské Námeˇsti, la piazza della Città vecchia: una insegna che sfregia la facciata affrescata di palazzo Storch. Ogni volta che torno trovo qualche nuova pacchianeria turistica che la città potrebbe risparmiarsi. Praga resta bellissima, ma qualcosa nel godimento della bellezza si guasta. I sei milioni e passa di visitatori annui possono dare alla testa a una capitale uscita dal comunismo, con tutte le sfide che la transizione comporta, ma la mancanza di controllo può essere controproducente. Tutte le stanze d’albergo sono piene, comprese quelle degli hotel a cinque stelle.
Come ai vecchi tempi sono arrivato a Praga in autobus. Questa volta con un comodo Flixbus. Sono partito alle nove e mezzo di sera da Milano-Lampugnano e sono arrivato in tarda mattinata alla stazione Florenc. Senza i vincoli dell’aereo mi sento più libero. Il viaggio notturno ha svantaggi e vantaggi: se sei il tipo che riesce a dormire ovunque, sfrutti la notte per spostarti. Con Flixbus puoi portare anche la bici, c’è la rastrelliera in coda. Tra la Svizzera e la Germania sono salite le guardie di confine tedesche per controllare i passaporti. Il controllo all’alba fa rivivere vecchie esperienze di viaggi via terra. Allora i confini controllati erano molti di più. Quando i cechi – come i polacchi – emigravano.
Con Franco si fa un passeggiata salendo al parco Letná, oltre il fiume. Transitiamo davanti al cinema Oko: nel primo pomeriggio al bar del cinema si beve già birra ma la sala delle proiezioni è ancora vuota. Se le sedie dei cinema oggi vengono usate ovunque come oggetto di design vintage, all’Oko si fa l’operazione opposta: sedie di ogni tipo – da dentista, da barbiere... – si alternano alle normali poltroncine per gli spettatori. I film qui sono in lingua originale con sottotitoli e anche chi non parla ceco può trovare qualcosa da vedere.
Sorprendentemente, tra i libri più belli che ho letto in questi ultimi anni ce ne sono due che hanno per soggetto Praga. è difficile aspettarsi ancora un buon libro su un tema così inflazionato. Gli autori sono il francese Laurent Binet e il polacco Mariusz Szyiegeŀ. I titoli sono enigmatici: HHhH e Gottland. HHhH è l'acronimo tedesco per indicare l’SS nazista Reinhard Heydrich, “Il macellaio di Praga”, Reichsprotektor responsabile per la Boemia e Moravia. HHhH racconta l’operazione Anthropoid, l’attentato contro di lui. Nel 2017 ne hanno tratto un bel film, per la regia di Cédric Jimenez. In italiano: HHhH – L'uomo dal cuore di ferro. In Gottland, attraverso brevi schegge narrative molto forti e ben montate il polacco Mariusz Szczygieł racconta invece alcune piccole e grandi storie che hanno segnato la Cecoslovacchia. Tra tutte la più impressionante è quella della costruzione del monumento a Stalin, 15 metri di altezza per 22 di lunghezza.
Il più grande monumento al dittatore sovietico in Europa che durò poco. Lo demolirono nel 1962, durante la destalinizzazione. Otakar Švec, lo scultore, non assistette alla distruzione e si suicidò nel 1955, poco prima dell’inaugurazione. Anche il modello usato per Stalin – un elettricista diventato improvvisamente “il sosia” – fece una brutta fine morendo alcolizzato. Ora nel parco Letná al posto del gigantesco gruppo scultoreo c’è un metronomo. Poco sotto un locale che funziona nel finesettimana come centro culturale.
Con Franco Hüller torniamo verso casa e dopo avere a lungo camminato, finiamo a mangiare da U Parašutistů, l’osteria dedicata al commando dei soldati cecoslovacchi che il 27 maggio 1942 compirono l’attentato, dopo essere stati paracadutati in territorio nemico dagli inglesi. L’osteria è piena di foto e cimeli bellici. Si trova proprio di fianco alla chiesa dove il commando si nascose, la cattedrale ortodossa dei Ss. Cirillo e Metodio, in passato dedicata a San Carlo Borromeo. Cirillo e Metodio sono i fratelli, missionari di Salonicco, che avevano evangelizzato gli slavi a partire dalla Moravia. I vertici della chiesa ortodossa ceca – i cechi sono prevalentemente cattolici – furono annientati per aver cercato di nascondere i paracadutisti. Due villaggi furono totalmente cancellati dalla faccia della terra per sospetta complicità: Lidice (dove avvenne l’attentato) e Ležáky. Per rappresaglia furono eliminate cinquemila persone. Heydrich fu l’unico nel cerchio magico hitleriano ucciso in un attentato e la vendetta doveva essere spietata. Quando arrivarono due battaglioni di SS il commando era nascosto nella cripta. Dopo sei ore di resistenza i sette paracadutisti, traditi da Karel Čurda, uno di loro, giustiziato dopo la liberazione, si suicidarono. Oggi la cripta della chiesa è stata trasformata in memoriale.
I due quartieri di Praga oggi più interessanti e ancora lontani dall’overturismo sono Karlín e Žižkov. Sono attaccati al centro storico e divisi tra loro da un tunnel pedonale. Li sovrasta il parco di Vítkov dove si trova una gigantesca statua equestre che raffigura l’eroe nazionale Jan Žižka, delle stesse dimensioni di quella di Stalin; e un memoriale costruito per onorare i legionari cecoslovacchi che ha ospitato la salma di Klement Gottwald, il leader comunista che portò la Cecoslovacchia all’ombra del Cremlino e morì poco dopo i funerali di Stalin. In un sondaggio è risultato il personaggio ceco meno amato: ha superato persino il traditore Čurda.
Poco prima della partenza, verso sera, con il tempo ormai autunnale, mi trovo con Hüller alla Kasárna Karlín, vicino alla stazione degli autobus Florenc. È un grande edificio militare in parte vuoto e in parte adibito a spazio culturale, con una caffetteria, una buona biblioteca e una sala per le mostre dove un tempo c’era la piscina coperta. Si scende anche nella vasca vuota. È sabato e ci sono alcune festicciole nel cortile, tra due grandi installazioni. Un gruppo di zingari di Žižkov balla, mangia e beve intorno a una lunga tavolata. Un maiale arrostisce al fuoco. Ho avuto un lieve sussulto animalista nel vedere la bestia intera rosolare sulla brace. Poi ho pensato a un celebre racconto di Jaroslav Hášek, Storia del porco Saverio, dove un fattore, licenziato dagli aristocratici padroni tedeschi per aver trascurato il pregiato maiale, uccide per vendetta l’animale e viene arrestato. A Žižkov esistono ancora gli zingari, per fortuna, nonostante il quartiere sia in fase di riqualificazione e sia diventato un luogo dove i giovani praghesi e gli expat cercano una città alternativa al centro storico invaso dai turisti. Ci sono birrerie storiche come U Vistřelnýho Oka (All’occhio accecato), nuove come U Tunelu, ostelli alternativi come il Brix, alberghi originali come il Theatrino, negozi di vestiti vintage come Bohemian Retro.
Gli zingari ci regalano un assaggio del maiale. Non è ancora pronto, ma la partenza incombe e l’autobus non può aspettare che faccia la crosta. Le partenze e i distacchi sono sempre un po’ crudi.