di Giorgio Ieranò | Foto di Vittorio Giannella
Spiagge e mare cristallino sono solo una facciata, l’altra è fatta di montagne, grotte mitologiche ed eredità culturali diverse. Da scoprire dall’alto per allargare gli orizzonti
È un luogo lunare, immerso in un silenzio solenne il villaggio di Kallikratis. Una manciata di case e qualche decina di anime sparse in un altopiano nascosto tra i Lefka Ori, i maestosi Monti Bianchi. Ci si arriva salendo da sud, dalle coste del mar Libico, attraverso una strada che s’inerpica per tornanti vertiginosi: l’hanno asfaltata da poco ma si procede comunque con la velocità di un mulo. Oppure si può raggiungere dal versante occidentale: qui la strada sale più dolcemente ma i paesaggi sono altrettanto desolati e inquietanti. Certo, il consiglio di iniziare un viaggio a Creta da un altopiano così selvaggio e fuori dal mondo potrà sembrare stravagante. Creta è da millenni sinonimo di civiltà, di splendori urbani, di vita marinara. Omero, il primo a descrivere l’isola, ne parlava così nell’Odissea: «Nel mezzo del mare lucente come il vino c’è un’isola, Creta, bella e feconda. Vi abitano uomini innumerevoli, infiniti, e vi sorgono novanta città».
È a Creta che, oltre tremila anni prima di Cristo, è sorta la prima civiltà del Mediterraneo, quella che gli archeologi, in omaggio al mitologico re Minosse, hanno chiamato minoica. E allora il viaggio dovrebbe iniziare da dove iniziano tutti: da Cnosso, dalle celebri rovine del raffinato palazzo dell’Età del bronzo scoperto da Arthur Evans nell’anno 1900. Ma è difficile ritrovare lo spirito di Creta in quelle rovine che lo spregiudicato archeologo inglese ha molto fantasiosamente ritoccato. Evans ha ricostruito loggiati e colonne ricoprendo le antiche pietre con colori sgargianti, giallo e ocra. Ha restaurato i millenari affreschi con tocchi in stile art déco. Per cui oggi, a Cnosso, si respira più l’atmosfera dell’Europa della Belle Epoque che quella dell’Egeo protostorico. Del resto, Evans s’immaginava la civiltà minoica come una specie di anticipazione dell’Inghilterra vittoriana: un mondo raffinato e pacifico, governato da una monarchia saggia, la cui flotta dominava i mari. Ma i greci che pure, come Omero, guardavano con ammirazione alla civiltà cretese, conoscevano anche il lato oscuro dell’isola: la crudeltà di Minosse, gli amori bestiali di Pasifae con il toro, la figura mostruosa del Minotauro, i meandri inquietanti del labirinto. Creta è un’isola ambigua: il suo mito, la sua storia, il suo paesaggio sono percorsi da contrasti drammatici. è l’isola sacra dove sono nati tutti gli dei della Grecia, come scriveva lo storico Diodoro Siculo. Zeus è cresciuto bambino in una grotta del monte Idi, noto anche come Psiloritís: quell’Idaion Antron, forse un santuario preistorico, che ancora oggi “accoglie” i turisti. Ma Creta è anche stata per millenni, un covo di pirati e i greci antichi descrivevano i cretesi come un popolo di briganti e mentitori.
Creta è un “terreno Paradiso”, come scriveva nel 1689 Vincenzo Coronelli, cosmografo della Repubblica di Venezia. Ma è anche «un leviatano spinto in superficie da successive esplosioni geologiche, un luogo inquietante dominato da una nota minacciosa», come sosterrà tre secoli più tardi lo scrittore inglese Lawrence Durrell. E allora proviamo a iniziare il viaggio dallo sperduto altopiano di Kallikratis. Forse da lassù, tra i picchi dei Lefka Ori le cui vette sfiorano i 2500 metri di altezza, si può cogliere meglio la misteriosa solennità dell’isola. E si possono meglio percepire, come in un microcosmo di dolore, i millenni di tragedie che hanno segnato la storia di Creta: dalle devastazioni degli ottomani fino alla rappresaglia nazista nel 1943, Kallikratis è stata distrutta più volte e la sua popolazione, sempre ribelle, più volte massacrata. Ma da Kallikratis bisognerà poi scendere verso l’altra Creta, cittadina e marinara, ancora punteggiata dai monumenti del lungo dominio veneziano. La Serenissima acquistò l’isola con denaro sonante nel 1204 da Bonifacio del Monferrato, capo della Quarta Crociata che, invece di combattere gli infedeli in Terrasanta, aveva invaso i territori dell’impero bizantino.
Per oltre mezzo millennio, fino al 1699, Creta appartenne a Venezia. Ma fu molto più che un semplice dominio: fu “un’altra Venezia”, alia civitas Venetiarum apud Levantem, secondo la formula che si legge in un documento del Senato veneziano. La strada che da Kallikratis scende verso l’Egeo, insinuandosi nella gola di Imbros (anche questa strada, fino a pochi anni fa, era un periglioso sterrato a precipizio su un canyon), porta alle città della costa nord, a Iráklio, a Réthimno, a Haniá, dove aleggia la memoria di Venezia. Sui bastioni dei castelli (kastra) veneziani campeggia ancora, consunta dal tempo, l’effigie del leone di San Marco e i cannoni arrugginiti restano puntati verso il mare da cui, nel Seicento, arrivarono i nuovi padroni dell’isola, gli ottomani. I campielli, i sottoporteghi, le fontane rimandano ai secoli in cui Creta era divisa in sestieri e per le strade si celebrava il Carnevale mascherandosi come in Laguna. Haniá è forse il luogo in cui l’atmosfera veneziana è ancora più forte. Ma è anche la città dove è meglio avvertibile la stratificazione della storia cretese. Qualche decennio fa qui sono state scoperte le rovine di una rocca micenea del secondo millennio avanti Cristo: gli archeologi hanno trovato una tavoletta d’argilla in cui per la prima volta possiamo leggere il nome di Dioniso, il dio del vino e dell’ebbrezza. Sul lungomare gli arsenali della Serenissima si alternano alle cupole della moschea dei Giannizzeri. Mentre il faro veneziano svetta a pochi metri dal vertiginoso minareto di Ahmet Aga. I villeggianti passeggiano tra i caffè del vecchio porto, magari reduci da una giornata di bagni sulla spiaggia di Stavròs, dove Anthony Quinn impersonando Zorba danzava il suo sirtaki nel vecchio film di Michael Cacoyannis. Ma il sirtaki è un’invenzione del compositore Mikis Theodorakis per quel film, spacciata poi a turisti come ballo tradizionale. Lassù, sull’altopiano di Kallikratis, nel cuore segreto e selvatico di Creta, il sirtaki non si balla.