Evergreen. Quanti simboli in quelle mappe

Quanti simboli e quante storie ci sono in quelle mappe... Riflessioni sull'importanza per l'ambiente del fatto che chi ci governa conosca non solo i confini politici del Paese, ma anche quelli geografici

Che cosa c’entra la geografia con l’ambiente, ci si potrebbe domandare, se ho deciso di dedicare questa rubrica alla scienza più negletta della scuola italiana e, visti gli ultimi episodi, internazionale.
C’entra molto più di quanto si pensi: se voglio costruire un muro anti-migranti messicani, e assicuro che funziona benissimo già in fase progettuale, non è indifferente che questo sia costruito al confine fra Stati Uniti e Messico, invece che fra Colorado e New Mexico, come ha dichiarato improvvidamente il Presidente americano Donald Trump. Più in generale, chi governa dovrebbe conoscere non solo i confini politici del proprio Paese, ma anche quelli geografici: sapere, per esempio, se ci sono grandi catene montuose oppure solo pianure.

L’Italia, per dirne una, è una nazione di montagna e di collina, con pochissime pianure, di cui una sola rilevante. Eppure, a ogni alluvione o frana ci si sorprende di quanto siano diffusi questi fenomeni, neanche fossimo in Siberia. La geografia è la prima scienza, sostenevano gli antichi, perché descrive dove sei e addirittura indirizza la storia. Inoltre colloca l’individuo dentro il mondo e lo mette in relazione con l’ambiente e con gli altri. Eratòstene di Cirene, nel III secolo a.C., progenitore illustre dei geografi, riuscì a calcolare le dimensioni della Terra con un’ottima approssimazione pur non riuscendo a vederla per intero, oltretutto dando per scontata la forma sferica che oggi qualche ignorante vorrebbe addirittura mettere in discussione. Ma oggi abbiamo i satelliti e il gps, si dice, che ce ne facciamo della geografia?

La rappresentazione del mondo ha, inizialmente (e per lungo tempo), avuto un marcato valore di conoscenza-conquista del territorio e all’inizio nomadi e naviganti hanno sempre contribuito a questo obiettivo, prima in maniera sporadica e primitiva, poi attraverso un vero e proprio orientamento scientifico (con i Greci). Solo nel Rinascimento la costruzione delle carte geografiche assolverà in pieno alla funzione pratica che poi le è stata riconosciuta. La “riscoperta” rinascimentale della sfericità della Terra prelude a una grande diffusione della geografia per la massa: non più carte iniziatiche o la dicotomia tipica della cartografia cinese coeva, che teneva separate le rappresentazioni a stampa (le sole a essere divulgate) da quelle manoscritte, che rimanevano segrete al popolo.

Per tutte queste ragioni un carta geografica non è una pura rappresentazione ridotta della superficie terrestre, ma è anche altamente simbolica e la sua consultazione permette di sognare, riflettere e conoscere, oltre che di orientarsi. Anche solo per questo non è indifferente sapere che Dublino non è in Inghilterra e che l’Emilia Romagna non ha mai confinato con l’Umbria, né tantomeno con il Trentino-Alto Adige. Soprattutto per chi aspira ad amministrare quei territori. Indipendentemente dalla bandiera partitica. Ma quanti concittadini italiani sono in grado di elencare i capoluoghi di regione e i confini delle stesse? E perché dovrebbero preoccuparsi di farsi rappresentare da chi, come loro, non li conosce?