Evergreen. Robinson Crusoe e la fine delle risorse

Quanto è sostenibile la nostra crescita?

La Terra ha una superficie di 510 milioni di chilometri quadrati: è, cioè, misurabile, dunque finita. Che si tratti di diamanti, oro oppure rame, che si tratti di calcare o lave, di petrolio o gas, ma anche pesce o carote, tutto sul pianeta è soggetto a finire. A maggior ragione se gli uomini crescono di numero e di esigenze. Come mai i sapiens trascurano questa semplice legge fisica, cioè che il pianeta Terra lo hanno smesso di creare da un bel po’?
Per dirne una, oggi solo il 20% degli uomini consuma ben il 75% dell’energia disponibile, grazie alla filosofia del cow-boy: ci si muove in sella a un animale trascinandone un altro al lazo, si esauriscono miniere, si deforesta, si coltiva e si sfrutta fino all’esaurimento ogni metro quadrato di territorio, fiume, lago o spiaggia, si getta quello che avanza dove capita e quando tutto è sporco e finito ci si sposta per ripetere l’operazione altrove.
In questo senso il sapiens assomiglia al Robinson Crusoe di Daniel Defoe, che arriva su un’isola, per definizione deserta, dopo un naufragio nel XVIII secolo. La prima cosa che fa è cercarsi un rifugio, come è ovvio, ma sceglie la caverna più grande che c’è. Non basta: la fortifica continuamente con palizzate e colline artificiali, permettendone l’accesso solo attraverso una scala a pioli che ritira la notte. Per quale ragione, visto che è solo?

La sua seconda ossessione è quella delle scorte: di cibo, di acqua, di polvere da sparo. Con l’archibugio rimastogli stermina le specie animali sull’isola prima di accorgersi che, magari, sarebbe bene si conservassero per i giorni a venire. Le uccide comunque anche quando non sono commestibili e non si fida di mangiarle. Robinson vuole divorziare dall’ambiente naturale ed è letteralmente ossessionato dalle bestie feroci. Ora vede che l’isola è disabitata, ma teme che comunque ci siano bestie feroci in ogni anfratto e vive con il fucile in mano. A un certo punto ritrova un barile di semi d’orzo e ne semina immediatamente sei acri. Ma a chi serve, visto che è solo? Infine, appena si imbatte in un altro essere umano, Venerdì, lo sottomette e ne fa uno schiavo!
Questo il vero spirito che anima il mondo moderno. Uno spirito che porta dritto dritto alla fine delle risorse, anche perché la tecnologia non è la panacea e, anzi, procura sempre più danni rispetto ai vantaggi che eventualmente riserva. E nessuna tecnologia si può applicare a un pianeta le cui risorse siano in procinto di finire, perché nessuna tecnologia si fa senza materiali su cui operare. Se finisce il rame potremmo condurre l’elettricità con un altro metallo, ma anche quello finirebbe e così anche uno successivo. In questo senso la crescita sostenibile sembra un’indicazione ipocrita e ossimorica nello stesso tempo: nessuna crescita è sostenibile in un pianeta i cui ritmi di sfruttamento e la cui popolazione sono cresciuti con queste proporzioni. Se ne potrebbe parlare in un mondo popolato da un miliardo scarso di persone, ben distribuite e senza agglomerati metropolitani da paura, con oltre trenta milioni di anime, a costellarne il territorio. Ma un mondo così era già finito nel XVIII secolo.