Spagna. La storia corre sull'Ebro

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Attraversa da nord a sud e dà il nome a tutta la penisola iberica. Ma è in Catalogna che questo corso d’acqua, ricco di echi di vicende fatali, si rivela il cuore di un turismo naturalistico e rispettoso dell’ambiente

L’Ebro, fiume caro alla patria, tanto caro e importante da dare il suo nome a tutta la penisola iberica. Ma, al contrario del nostro Piave, a quale patria attribuire questo aggettivo? Il fiume, con i suoi 930 chilometri è il secondo per lunghezza dopo il Tago e attraversa da nord a sud molte regioni della Spagna. Nasce sui monti della Cantabria, scorre lungo la Castiglia e Leon, bagna La Rioja, attraversa i Paesi Baschi, la Navarra e l’Aragona e raggiunge la Catalogna dove sfocia nel Mediterraneo, nel golfo di Sant Jordi, a sud di Tarragona e di Barcellona. Caro dunque a molte regioni e da millenni arteria trafficata e ambita per collegamenti, trasporti, commerci. E per il suo controllo fu teatro di conflitti e di battaglie tra le varie popolazioni che si sono succedute, iberici e cartaginesi, romani, musulmani, cristiani, francesi... Nell’immaginario collettivo è scolpita la canzone cantata dalle truppe repubblicane durante la guerra civile spagnola (1936-1939) persa contro le truppe del dittatore Francisco Franco. Si intitolava L’esercito dell’Ebro o anche Ahi Carmela, versione di una più antica ballata, Ahi Manuela, che risale all’altro grande conflitto che vide l’Ebro testimone, tra napoleonici e spagnoli. Quello che pochi ricordano è che già nel 217 a.C. l’Ebro fu coinvolto in un’altra battaglia, sul suo estuario (all’epoca non si era ancora formato il grande delta, frutto del deposito di terre e materiali) tra i Romani comandati da Cornelio Scipione Calvo e i Cartaginesi di Asdrubale Barca che occupavano quel territorio. Una grande vittoria dei Romani che si assicurarono il controllo di una importante via d’acqua per i commerci con la madre patria.

Oggi il fiume, soprattutto nella parte finale, quella catalana, è diventato un grande area attrattiva per un turismo attivo, per visitatori appassionati di natura, di archeologia, di vita all’aria aperta, oltre che di storia. E le comunità che si affacciano sulle rive hanno promosso un progetto di sviluppo, di conservazione e di valorizzazione sostenibile del fiume come prodotto turistico integrale. Ed è per questo che dall’aeroporto della brulicante Barcellona, nel giro di un’ora ci si ritrova avvolti dal silenzio e dai paesaggi delle Terres de l’Ebre. Una destinazione che dal 2013 è una biosfera riconosciuta dall’Unesco. Dal paese di Garcia siamo risaliti lungo le rive del fiume scoprendo un territorio che, nonostante le traversie subite, sembra aver riconquistato una calma e una bellezza naturalistica sorprendente. Prima sosta, nella riserva naturale di Sebes. Fino a qualche anno fa un’area intensamente coltivata. Oggi la natura l’ha riconquistata a regno degli uccelli, a una vegetazione rigogliosa. Grazie a passerelle di legno sopraelevate sulle zone umide, si possono raggiungere la sede del parco e poi, in religioso silenzio gli osservatorii ben camuffati nel verde dove ammirare le centinaia di uccelli che vi nidificano (reservanaturalsebes.org). Pochi chilometri più a sud, il paese e il castello di Miravet. In un’ansa del fiume in quello che appare come un placido paesetto, ricco di bar all’aperto all’ombra di maestosi lecci, si svolse la più cruenta battaglia dell’Ebro, l’ultima combattuta dai repubblicani contro i franchisti nel 1938 e che durò 115 giorni. L’impari lotta dei volontari delle brigate internazionali e dell’esercito repubblicano contro l’aviazione e le truppe falangiste sostenute da Hitler e Mussolini, finì con decine di migliaia di morti da entrambe le parti, ma creò il mito della resistenza contro la dittatura alimentata dalle immagini di Robert Capa e Gerda Taro e dalle pagine di Ernest Hemingway, autore di alcune delle testimonianze più toccanti come le Colline come elefanti bianchi e Il vecchio al ponte. Ma sul teatro di battaglia dell’Ebro Hemingway non era solo. Attratti dall’epica del reportage di guerra, ci furono personaggi come l’inglese Kim Philby (futura nota spia filosovietica) per il Times di Londra e, anche se sul fonte opposto, si registrano le corrispondenze di Luigi Barzini per Il Popolo d’Italia e di Guido Piovene del Corriere della Sera. Ma chi volesse saperne di più di questo storico evento può andare nella vicina Corbera d’Ebre, dove il Centro di interpretazione della battaglia, diventato simbolo di pacificazione nazionale, raccoglie testimonianze video, fotografie e oggetti, armi, divise e pubblicazioni dell’epoca della battaglia (batallaebre.org).

Oggi quelle colline bianche e brulle che nella fantasia di Hemingway sembravano elefanti bianchi sono ricoperte da una fitta vegetazione che arriva fino al pelo dell’acqua. Ed è qui che si trova il pas de la barca, l’ultimo traghetto fluviale che permette di attraversare l’Ebro. Due semplici approdi chiamati llaguts sono collegati da una chiatta che può trasportare fino a tre auto. In funzione da diversi secoli, si sposta tra le due rive senza motore sfruttando la corrente del fiume e l’esperienza del barcaiolo. In alto domina la scena un castello arabo conquistato dai templari nel 1100. Ben restaurato e visitabile, ha al centro una minuscola antica chiesa. Raggiungendolo a piedi si possono visitare le botteghe specializzate nella vendita di ceramiche di fattura locale e qualche atelier di artista (turismemiravet.cat/proposta/el-castel-de-miravet). Dopo tante emozioni è il momento di prenderci una pausa rilassante, così raggiungiamo la Antigua Estacion de Bot, una vecchia stazioncina ferroviaria dove passa una attrezzata via ciclabile e su due ruote pedaliamo lungo la Via Verde fino alle sorgenti termali di Fontcalda. Un nome e una garanzia. In una valletta riparata si nasconde un centro termale all’aria aperta dove le acque, verdi dal riflesso dei boschi, hanno una temperatura di 28 gradi. è ora di vedere la regione da una posizione panoramica. E puntiamo verso il parco naturale di Els Ports. Su un fuoristrada di una coppia di insegnanti in pensione raggiungiamo lungo un percorso scavato nella roccia che i ciclisti paragonano al leggendario Tourmalet del Tour de France, le vette delle aspre rocce calcaree che dominano l’area. Sembra di essere in Barbagia. Ma quello che si vede da quassù è un panorama molto più ampio. In basso le anse del fiume, sullo sfondo il Mediterraneo e intorno la vista spazia dalla Catalogna fino a Valencia e all’Aragona. Sopra di noi volteggiano decine di aquile e grifoni a caccia di prede. Nei boschi monumentali vivono indisturbati stambecchi, volpi, scoiattoli e nel sottobosco di bosso, erica, rosmarino e timo, e tra grotte preistoriche, crescono colonie di funghi porcini (gubiana.com). A proposito di preistoria non perdiamo l’occasione per una sosta a Ulldecona. È un piccolo paese medievale. Nella periferia, nella Serra de Godall, un pugno di case arroccate sul fianco di una montagna nasconde un importante reperto preistorico. Qualche “artista” neolitico sfruttando il riparo naturale creato dalle rocce ha realizzato preziosi disegni. Con un inchiostro rosso preparato con ossido di ferro polverizzato e grasso di animale, descrisse scene di caccia al cervo e danze rituali, che ricordano quelle di Altamira in Cantabria e quelle francesi di Lascaux. Con Narciso, guida e insegnante di geografia, ci inerpichiamo tra le rocce per ammirare questi piccoli disegni scoperti per caso nel 1975 da Juan Ruiz un giovane speleologo e ora inseriti dall’Unesco nella lista dei patrimoni dell’umanità.

A Ulldecona poi vale la pena di fermarsi al Museu Natural de les Oliveres de l’Arion, una piantagione di alberi millenari ancora oggi carichi di olive. Il più vecchio, ci spiega Jordi, la guida, risale al 30 d.C. e apparteneva al terreno di un legionario romano. Ci fermiamo poi a Tortosa, sul fiume, la città più grande della zona, tappa del cammino di Santiago, con una formidabile e restaurato centro storico, un collegio per neo cristiani edificato da Carlo V, e un’imponente cattedrale dove si conserva la statua della miracolosa Madonna della cinta, protettrice delle donne incinte. Siamo ormai arrivati al grande delta del Baix Ebre, la più grande zona umida della Catalogna, dove si trova una riserva naturale di oltre 7mila ettari, ricca di 100mila esemplari di uccelli di oltre 300 specie diverse, ideale per il birdwatching ma anche per visitare le fattorie come quella di Polet, 75 anni, ex calciatore e contadino filosofo che si dedica alla coltivazione sostenibile del riso, elemento essenziale dell’alimentazione, ma anche, giura, una pratica rigenerante per il benessere. Un ultimo appuntamento con Albert al Musclarium, in mezzo alla baia di Alfals, un allevamento di cozze e ostriche che si raggiunge in barca da Sant Carles de la Ràpita. Qui sull’Oyster bar galleggiante, gustiamo un piatto di molluschi e un calice di cava prima di riprendere il mare e tornare a Barcellona.

Foto di Massimo Pacifico