Venezia. L'oro della Serenissima

Alla scoperta della città lagunare con lo scrittore Alessandro Marzo Magno che ne ha raccontato il magico decennio

Sono ancora così forti le immagini che circolavano la scorsa primavera delle nostre città d’arte deserte. Della loro bellezza affidata al silenzio o allo sguardo voyeuristico di qualche drone. Le acque di Venezia soprattutto suscitarono emozione: tornate trasparenti in poche settimane, senza alcun naviglio a disturbarle. Oggi torniamo in quei luoghi con una nuova consapevolezza e con la possibilità di fruire degli spazi in maniera meno concitata, più riflessiva. Con la voglia di una visita meno convenzionale. Ce ne dà occasione la recente pubblicazione di un bel libro, La Splendida Venezia. 1499-1509, dello scrittore Alessandro Marzo Magno, veneziano, che da anni si occupa di esplorare primati, lati nascosti, curiosità della sua città. Il decennio preso in considerazione si può considerare l’acme della Dominante, come la chiama lo scrittore. Se non militarmente – gli Ottomani stanno già risalendo i Balcani e riconquistando le isole Ionie – certamente dal punto di vista economico e soprattutto artistico. Gli effetti della caduta di Costantinopoli e della scoperta dell’America non si fanno ancora sentire e le navi della Serenissima continuano a dominare i commerci in Europa. Ma soprattutto Venezia è l’ombelico del mondo per le arti, la cartografia, la musica, l’editoria, il collezionismo… Il libro si apre con l’inaugurazione della torre dell’Orologio in piazza San Marco. È il 1° febbraio 1499. «Una giornata curiosa – ci dice Marzo Magno –. Lo stesso giorno in cui il governo inaugura il suo gioiello per ribadire la tenuta economica della città contro le dicerie che davano le casse veneziane esauste per via delle guerre contro fiorentini e turchi, salta il banco più importante di Venezia, quello dei banchieri Garzoni. Cosa che però non impedisce di celebrare la gloria della Repubblica». Posta all’imbocco delle Mercerie, allora cuore pulsante della Venezia mercantile e dove si trovavano anche le rivendite di libri, costruita in tre anni, probabilmente su disegno di Mauro Codussi, la torre fu poi allargata nel 1506 con due corpi laterali, sopraelevati nel 1775. L’orologio che segna anche le fasi lunari – fondamentali per le maree – è dominato da due “giganti” che battono le ore su una campana. Sono chiamati i mori perché il bronzo s’è scurito. Le sculture, visibili da molto lontano, sono snodabili per consentire il movimento della battitura. Dalla terrazza con i mori si domina tutta la piazza e si ha una stupenda vista della laguna. Ci spostiamo adesso di poco, davanti alla basilica di S. Marco dove, tra le tante meraviglie, Marzo Magno mi fa notare i pili reggistendardo in bronzo. «Condannati a passare per lo più inosservati, ed è un peccato perché sono tre autentici capolavori dell’arte fusoria rinascimentale, in particolare quello di centro, inaugurato il giorno dell’Assunzione del 1505». È vero, non li avevo mai notati. Recentemente sono stati attribuiti ad Alessandro Leopardi che stava lavorando per il monumento equestre di Bartolomeo Colleoni in campo Santi Giovanni e Paolo. Nel pilo centrale – il più bello – è raffigurata, tra affusolate galee, Venezia in forma di Giustizia.

altri Stati amavano riferimenti più virili». Ma molto particolare in questo pilo è anche il profilo del doge Leonardo Loredan. In genere, per evitare il culto della personalità, questi ritratti venivano rimossi. Non questo forse perché, rapidamente scuritosi, il riferimento al doge fu dimenticato. Ci trasferiamo adesso dal lato opposto della piazza, alle Procuratie Nuove che ospitano il museo Correr che ci interessa per diversi motivi. Innanzitutto ospita quella che è da considerarsi la più bella veduta di città del Rinascimento: la Venezia di Jacopo de’ Barbari. Alta quasi un metro e mezzo e larga tre, attribuita a lungo a Dürer, questa veduta a volo d’uccello trasmette il suo messaggio di modernità in cui sapienza artistica e conoscenza scientifica si fondono perfettamente. È anche un lavoro “politico”: le proporzioni non sono mantenute con coerenza e le zone portuali sono evidenziate, quasi a volere sottolineare l’importanza mercantile della città. Fu commissionata dal mercante tedesco Anton Kolb che la sponsorizzò con grande successo. Il museo, in cui si ammira un’importante collezione di artisti veneti (i Bellini, Vivarini, Carpaccio), ospita anche l’organo con canne di carta di Lorenzo Gusnasco prodotto a Venezia nei primi anni del Cinquecento, quando la città era anche capitale della musica.

Una parentesi: Venezia era il centro più importante dell’editoria per via della grandissima quantità di tipografie e perché ospitava il primo editore moderno della storia, Aldo Manuzio, il cui cenacolo di umanisti includeva anche Pietro Bembo, che si può considerare il padre della lingua italiana: fu lui a prendere l’idioma letterario toscano di Dante, Petrarca e Boccaccio, che nessuno parlava, e a farlo diventare l’italiano che ancora oggi utilizziamo. Nella cerchia di Manuzio gravitò per alcuni anni anche il più grande intellettuale dell’epoca, Erasmo da Rotterdam. Manuzio inventò il libro tascabile e il carattere corsivo nel 1501, gli indici, la numerazione delle pagine, il catalogo dell’editore. E sempre nel 1501 Ottaviano Petrucci stampa l’Odhecaton, il primo libro musicale a caratteri mobili. «Sebbene i maggiori compositori dell’epoca fossero franco-fiamminghi, Venezia è testimone di una tale produzione di musica che si sviluppa uno specifico stile noto come scuola veneziana. Si cantava e suonava tantissimo a Venezia, nella cappella di S. Marco, nelle chiese, per le feste, nelle scuole di arti e mestieri, nelle case. Giorgione era famoso come musico tanto quanto lo era come pittore» afferma Marzo Magno, che suggerisce una visita al Museo degli strumenti del Conservatorio Benedetto Marcello a campo Santo Stefano, nello stupendo palazzo Pisani. Città ricca, potente, influente, è inevitabile che Venezia sia anche il maggiore centro di collezionismo d’arte dell’epoca. È qui che si svolge la prima asta di quadri, nel 1506, dopo la morte del collezionista Michele Vianello. In questo panorama svetta la figura del cardinale Domenico Grimani che, mentre si trova a Roma, raccoglie statue, marmi, cammei. La sua collezione compete con quella di Lorenzo il Magnifico e di papa Paolo II. Possiede una biblioteca di 15mila volumi. Amico di Pico della Mirandola e Angelo Poliziano, conosce Erasmo da Rotterdam, invita Sansovino in laguna. Al suo ritorno a Venezia porta con sé il suo patrimonio, che alla morte lascia alla città per costituire un museo dove le opere possano essere mostrate “alle persone virtuose”. Oggi rimangono una ventina di sculture che sono abitualmente esposte nell’antisala della Biblioteca Marciana progettata dal Sansovino. Fino al 2021 sono però visitabili a palazzo Grimani, a pochi passi da campo di Santa Maria Formosa. È un’occasione per conoscere questo edificio della fine del Cinquecento, uno dei rari esempi di “stile romano” a Venezia. E sono questi gli anni del trionfo della pittura veneziana. Tra Quattro e Cinquecento si trovano in laguna Gentile e Giovanni Bellini, Giorgione, Tiziano, Sebastiano del Piombo, Andrea Mantegna, Alvise Vivarini, Lorenzo Lotto, esponenti di una rivoluzione del colore che segnerà in maniera decisiva l’evoluzione della successiva arte europea. Una visita alle Gallerie dell’Accademia è quindi obbligatoria. «Consiglio di soffermarsi su due dipinti – suggerisce Marzo Magno – La processione in piazza San Marco di Gentile Bellini del 1496 per capire l’aspetto della piazza pochi anni prima dell’epoca di cui parlo; e La tempesta di Giorgione del 1505-06, uno dei dipinti più belli e misteriosi dell’arte veneziana».

Una tappa a parte merita la Scuola di S. Giorgio degli Schiavoni con i nove teleri realizzati da Vittore Carpaccio nel 1502. «A Venezia all’epoca c’erano più di 200 scuole. Quella di S. Giorgio è una delle poche rimaste e consente di apprezzare com’erano all’epoca questi spazi. Carpaccio non partecipò alla rivoluzione dei suoi coetanei, ma i dipinti di questo ciclo sono capolavori e il Sant’Agostino nello studio rimane una delle icone immortali della pittura del Rinascimento. Il trionfo dell’arte veneziana non fu merito soltanto dalla pittura. Nel suo libro Alessandro Marzo Magno si occupa di due gruppi scultorei di Tullio Lombardo che hanno influenzato molto l’architettura della città: «Il primo è l’Incoronazione della Vergine nella chiesa di S. Giovanni Crisostomo a Cannaregio. Credo sia una delle poche, se non l’unica, pala in marmo della storia dell’arte. L’aspetto misterioso della scultura è la presenza di cinque figure, quasi identiche, sdoppiate. La più evidente è quella di Cristo che al centro incorona la Vergine, un po’ più a destra compare un personaggio analogo, girato come allo specchio. Poi mi ha colpito il ritratto della Vergine. Mi pare somigliantissimo a quello di Isabella d’Este che Leonardo portò con sé nel suo viaggio a Venezia nel 1500. Che Tullio conoscesse Leonardo è evidente nella sua Ultima cena conservata alla Ca’ d’Oro. Così la mia ipotesi è che Tullio si sia ispirato a Leonardo anche per il volto della Madonna». La Dominante era la città più importante d’Europa. E oggi, grazie a un libro e attraverso le sue bellezze, ne riscopriamo un pezzo di storia.

Foto di Andrea Signori