di Erminio Perocco | Foto di Andrea Signori/Parallelo Zero
Un nativo “lidiense” racconta la sua isola: così appartata, così riservata, così diversa dalla Serenissima
Una volta arrivati al Lido, se chiedete dove sono le “terre perse”, trovate subito chi vi indica la strada. Tutti i lidiensi sanno dove sono. Peccato che delle terre perse non vi sia traccia in nessuna mappa, in nessuna guida o storia di Venezia. Nemmeno Google le riporta. Le terre perse, insomma, ufficialmente non esistono. Alcuni spiegano questa stranezza col fatto che si tratti di terre fuori mano, un modo gergale di dire semplicemente lontane, poco abitate. Ma, fino a metà XIX secolo tutto il Lido era poco abitato. Vi sono molti punti della laguna molto più lontani e “persi” di questo che portano nomi importanti, unici e eleganti. Non solo. Le cosiddette terre perse si trovano proprio accanto a Malamocco, l’antico centro del Lido, più antico addirittura di Venezia stessa. Quindi sono molto meno “perse” per esempio delle zone a nord di Lio Maggiore, del Lago del Duro o degli stessi Alberoni, dove ancor oggi nidificano specie di uccelli di passo, rare e uniche, proprio perché libere e indisturbate. Se amate le leggende, forse potrete rifarvi alle Crociate. Siamo nel 1204 e si vuole andare a liberare Gerusalemme. La meglio gioventù di tutta Europa si raccoglie proprio a Venezia, tra le poche città in grado di costruire le navi capaci di trasportare un intero esercito. Peccato che nessuno abbia i soldi per pagare. I veneziani allora li piazzano tutti lì, al Lido. Dove c’è l’acqua (le odierne Quattro Fontane) e c’è da mangiare (tra l’altro, i carciofi del Lido erano più prelibati di quelli di Mazzorbo). E, soprattutto da dove non si può andare da nessuna parte, senza permesso. Finché non si paga, niente navi. E quindi niente “Santo viaggio”. Principi, duchi e cavalieri trascorrono al Lido sei mesi di ozi forzati, aspettando solo di partire. Ma di questa sosta così imponente non rimane alcuna traccia. È possibile che questi ricchi nobili si siano attendati oltre che a S. Nicolò anche in un luogo del Lido che poi il mare si è divorato? Quindi su delle terre perse perché andate perdute, scomparse? Non sarebbe la prima volta. Malamocco, che in realtà anticamente si chiamava Metamauco, venne distrutta da un maremoto. E mai più davvero ritrovata. Anche qui terre perse, dunque. Strano, no? Eppure nell’isola nessuno saprà dirvi qualcosa sull’argomento. Perché il Lido (e vi sveliamo qui il suo vero segreto) è tutto, a suo modo, una terra persa. Bella e perduta.
La sua caratteristica è il niente. Una Rimini d’inverno senza mai estate, un Amarcord senza ricordi. Andate e lasciatevi perdere. Da qualche parte aleggia ancora il sapore di quei pomeriggi interminabili a attendere, a guardare tra il mare e la laguna, en attendant Gerusalemme. Un’attesa che si propaga nei secoli e che nel tempo ha assunto, pare, qualcosa di velatamente funebre. Anche Thomas Mann, quando ambientò la sua Morte a Venezia, in realtà in buona parte l’ambientò al Grand Hotel Des Bains, cioè al Lido. Eppure all’epoca l’isola era così effervescente e splendida che il locale più moderno e scandaloso della Parigi di allora si chiamò (e si chiama ancora) proprio così, Lidò, in onore a quest’isola. Di quella stagione, siamo ai primi del XX secolo, si possono ancora vedere alcuni affascinanti resti. Per esempio nelle ville Jugendstil (o Liberty) di cui è disseminata l’isola. Una vera e propria caccia al tesoro che, se avrete la pazienza di seguire, rivelerà piacevoli sorprese. Sono l’ultimo baluardo della Belle Époque, quando gli alberghi qui si chiamavano Pannonia e Hungaria, a testimonianza di un turismo nobile e mitteleuropeo, che la Grande Guerra ha cancellato e dissolto come tutto l’Impero austroungarico. Chi legge i romanzi di Joseph Roth può comprendere il trauma del Lido. Si parlava tedesco, allora, e circolavano grandi cappelli e crinoline, e dame di corte sulle carrozze, e si facevano bagni in abiti osé, che lasciavano vedere spalle e caviglie. A quei tempi a Vienna c’era ancora l’Imperatore. I tartari non sembrava avrebbero mai bussato alle porte imperiali. Invece tutto crollò. E l’isola non si è mai più ripresa, in fondo, da quel trauma.
D’altra parte sull’isola dorata non deve accadere nulla. Se andate per strada in certi giorni non vedrete nessuno. E quando arrivate, fateci caso, appena scesi, gli altri passeggeri che erano con voi sul vaporetto spariranno in pochi istanti, come inghiottiti, attratti dal silenzio di una forza misteriosa. Lo stesso silenzio vi accompagnerà nei tanti luoghi abbandonati. La zona della Favorita è chiusa (resta aperto solo il famoso ristorante). Le colonie sono chiuse. La caserma dove nacque il reggimento scelto della fanteria, i Lagunari, eredi dei “Fanti da mar” della Serenissima, è chiusa come l’intero ex forte di san Nicolò. Persino l’Ospedale al Mare, importante sanatorio con molte tracce liberty è ostinatamente chiuso da quasi vent’anni, nonostante le richieste di acquisto. Al Lido non si vogliono stranieri. Anche l’aeroporto (il primo aeroscalo d’Italia, da cui nel 1926 decollò il primo volo di linea) ha qualcosa di lugubre, di sospeso tra realtà e ricordo. È a mio avviso bellissimo, come un angolo degli anni Trenta ancora miracolosamente intatto. Niente jet, niente colorati turisti in transito con volgari trolley. Solo monoplani, e qualche raro aviatore d’antan. Andateci a prendere uno spritz, o magari un bicchierino di anice. E poi, se avete coraggio, ritornate nel XXI secolo. Al Lido se li cercate, trovate anche altri segni della Storia. A poche decine di metri dalla Riva di Corinto c’è l’isola di San Lazzaro o Lazzaretto, il primo al mondo, da cui deriva il nome. Si possono ancora vedere, sulle pareti, i graffiti dei marinai chiusi lì in quarantena (altra invenzione veneziana). Altri sono più inquietanti: dal Tiro a segno, dove è partito l’esplosivo di piazza Fontana, agli Alberoni dove approdò il Papago, la barca con le armi che insanguinarono l’Italia durante il terrorismo (e molto appartato, in un quartiere borghese, vive ancora qualche terrorista). In ognuno di questi luoghi c’è sempre un segno di desolazione, fateci caso. Per contrasto, il Lido è un posto salutista dove si vive a lungo e sani (l’Inps fallirebbe se fossero tutti longevi come al Lido: i quasi centenari non si contano). Per esempio si possono fare moltissimi sport diversi. Ci sono quasi trenta associazioni sportive per meno di ventimila anime. Dal basket al tiro con l’arco, dalla scuola di calcio a quella di rugby, dal golf al tennis, dal canottaggio alla vela, fino all’equitazione (si sono svolti qui anche i campionati italiani) e al pattinaggio in un pattinodromo con le curve paraboliche. Un tempo c’era persino una pista per lo sci di fondo.
Si dirà che i lidiensi sono individualisti, chiusi e poco loquaci con gli stranieri. In verità la differenza con i ciarlieri veneziani si spiega forse col fatto che mentre questi vivevano in campo, con le finestre delle case una di fronte all’altra, al Lido si vive in casette separate da bellissimi giardini: il luogo fa il carattere. Qui ognuno pensa per sé. E poi non esistono gli abitanti della laguna, ogni isola ha la sua caratteristica. I muranesi son diversi dai buranelli che son diversi dai chiozzotti. E anche i veneziani si dividevano (quando ancora esistevano) in fazioni tipo castellani e nicolotti. Talvolta il Lido sembra ricordare il Grande Oriente esoterico, il mitico luogo del riposo dopo il trapasso. Luogo le cui sponde potrebbero invero arrivare sino a quest’isola, da secoli, con Venezia, l’ultima propaggine dell’Oriente in Europa. In questo caso sarebbe vera la leggenda che tra i lidiensi si nascondano dei fantasmi. E che quindi, se trovate qualcuno ispido nel rispondervi, non dovete farci caso, giacché egli in realtà, da lungo tempo, non vive. Per questo è così altezzoso e solitario. Se invece decidete che il Lido è il luogo giusto per voi – quasi una piccola Svizzera: natura, sport, bellezza e silenzio – e pensate di trasferirvi per sempre da queste parti, allora vi accoglieranno e non faticherete troppo a trovar casa. In fondo, c’è sempre posto, nelle terre perse. Ma se andate al Lido solo per qualche ora, parlate poco. Percorrete i canali lungo laguna, meglio se in bicicletta. Mangiate da Andri, o a Malamocco. Correte lungo la spiaggia libera fino all’oasi verde degli Alberoni. Andate al faro con la nebbia, a sentire le navi che passano. Vogate sulla laguna dorata e immobile. Ascoltate il vento, il mare e il rumore dei grandi alberi. Ma rimanete sempre in attesa. Perché il Lido è così, è in attesa. Se del ritorno dei cavalieri templari o di un futuro diverso, solo la Storia potrà raccontarlo.