di Tino Mantarro | @Archivio Tci
Dopo Luigi Ghirri e Gianni Celati nessuno aveva più raccontato il fascino della pianura italiana. Ora Marco Belpoliti prova a colmare quel vuoto e lo racconta a Touring
Se la vita delle persone fosse tradotta in paesaggio chissà che paesaggio sarebbe. Quello di Marco Belpoliti, docente di letteratura italiana, scrittore e saggista, è senza dubbio la pianura. Del resto è nato a Reggio Emilia, che della Pianura Padana potrebbe essere considerato il baricentro, come certifica la spaziale stazione dell’Alta Velocità disegnata dall’architetto Santiago Calatrava: Reggio Emilia Av Mediopadana.
Pianura è anche il titolo di un libro edito da Einaudi in cui Belpoliti parla di luoghi e di persone, più di persone che di luoghi. Molti scrittori, un grande fotografo, una manciata di intellettuali che rendono onore a un temine desueto, ma anche diverse personalità eccentriche, un cantante salito in montagna e dei teatranti. Tutte persone di pianura, accomunate dal fatto di esser nate in certi luoghi, o averli frequentati a lungo, e da questi luoghi esser stati influenzati nel loro modo di vedere il mondo. «Esiste una psicologia legata al paesaggio, al luogo dove si è nati e vissuti che forma sensibilità e pensieri. Il paesaggio dà oggettivamente forma ai pensieri: vivere in città, in campagna o al mare è diverso», conferma Belpoliti. «La montagna, per me uomo della pianura, ha qualcosa di inquietante e minaccioso, che è lo stesso sentimento con cui la vivevano i montanari fino al Settecento, quando dei cittadini che venivano da un’isola quasi piatta hanno inventato l’alpinismo e trasformato la montagna in oggetto turistico. In montagna mi sento piccolo, ma è un piccolo diverso da quello che provo in pianura. Qui l’orizzonte è sempre lontano e sempre irraggiungibile: più ci si sposta, più si sposta. E questo dona un senso dell’immensità, ma anche del limite, a questo spazio aperto. E chi come me nasce e cresce in mezzo a questo paesaggio qui trova il suo posto» spiega. La terra piatta ci fa sentire più sicuri, scrive a un certo punto Belpoliti. Sarà anche per via di quell’antico ordine che regna nell’organizzazione degli spazi della Pianura Padana.
Un ordine che a Belpoliti piace pensare derivi dai Romani: dalla centuriazione che ha diviso il territorio con una griglia quasi perfetta basata sulla centuria: 2.400 piedi di lato, 708 metri di campi, canali, fossati, pioppeti. «Se si guarda il paesaggio della pianura dall’alto, diciamo da un aereo, ancora si intuisce il reticolato romano, il cui segno è rimasto nonostante lo abbiamo rotto e violentato con strade e capannoni. Questo antico paesaggio aveva una sua misura e forma che ancora si legge in quel che sopravvive della campagna (che per fortuna è tanto). Poi, certo, i moderni sistemi di coltivazione dell’agricoltura un poco lo stanno cancellando anche nei campi, modificando il paesaggio agricolo a misura di macchine, ma da venti secoli la base è quella. E fa impressione: perché venti secoli nella storia della terra non sono nulla, ma nella breve storia dell’uomo sono molto, moltissimo». E lasciano il segno.
Così come ha lasciato il segno il racconto per immagini della pianura che ha fatto Luigi Ghirri, le cui fotografie – scattate negli anni Ottanta per i due volumi Emilia Romagna della collana Touring Attraverso l’Italia – illustrano queste pagine. Foto che, almeno nel nostro immaginario, sono diventate un po’ il manifesto della più estesa pianura italiana. «Le immagini di Ghirri hanno svelato in forma artistica ma mai esagerata, mai estetizzante, quello che avevamo sotto gli occhi. Lo hanno fatto con grazia, eleganza e semplicità. È bastato che mettesse il cavalletto e fotografasse lo spazio che aveva davanti a sé, riuscendo a dargli sia la dimensione della profondità che quella della superficie» racconta. «È come se avesse aperto la finestra e avesse guardato fuori: un gesto banale ma complicato, perché quando guardiamo una sua fotografia siamo affacciati alla finestra ma siamo anche dentro. Un gesto con cui Ghirri non immortala un istante, ma il sempre, quello che è così. E nel farlo ci ha consentito di riconoscerlo: è forse per questo che sono entrate a far parte del nostro immaginario, diventando il nostro paesaggio, cui lui ha dato una forma artistica che è quella della fotografia».
E chissà che cosa fotograferebbe oggi di questa pianura padana, Luigi Ghirri: forse rotonde e capannoni, centri commerciali e insegne? «Forse sì, del resto è quel che fotografava già 40 anni fa. Tra le sue foto, quelle che mi colpiscono di più non sono quelle della campagna, con la casa colonica, gli alberi e i fossatelli. Sono quelle dei distributori di benzina, sul far della sera, quando si spengono le luci del cielo e quelle dei lampioni diventano rossastre. Perché quei distributori di benzina non è che siano meno paesaggio della pianura dei campi. Certo, forse oggi Ghirri non farebbe più delle fotografie: si dedicherebbe ai video, alle immagini in movimento». Del resto oggi la pianura del nostro immaginario è un paesaggio sfuggente. «Quando è nata l’Alta Velocità nel nostro Paese aveva uno slogan che parlava della metropolitana d’Italia. L’autostrada e le ferrovie veloci hanno cancellato lo spazio tra una città e altra, la pianura è qualcosa che sta tra Torino e Milano, tra Milano e Bologna, che si attraversa sempre più velocemente e su cui non ci si sofferma. Eppure in mezzo c’è tutto, in Italia la maggioranza della popolazione risiede in città medie e piccole, non nelle metropoli. Eppure questo territorio negli ultimi 50 anni non ha avuto una sua narrazione, tranne Ghirri e Celati che hanno raccontato quello che nessuno guardava più dai tempi di Un Paese di Zavattini e Strand». Eppure lungo la pianura si concentra il meglio dell’industria italiana, dall’agroalimentare alla meccanica, dai distretti delle moto a quelli del tessile specializzato. Perché la pianura è una terra dove si lavora tanto. «Un po’ anche per fuggire a quel magòn, quel sentimento di dolore e malinconia legato a questi territori, che è una forma di malessere sottile che permane, un senso di perenne insoddisfazione che è diventato una molla per fare e uno strumento per dimenticare» precisa. Anche se questo attivismo per Belpoliti ha una radice storica evidente, da rintracciare nell’esistenza per secoli della mezzadria. «Qui non era come nella Lombardia dell’Albero degli zoccoli, dove il padrone ti caccia se tagli un albero e il contadino è solo un dipendente. Qui il sistema di conduzione era 50 e 50, metà tuo e metà mio, per cui uno era spinto a lavorare di più, e questo ha creato un’idea positiva del lavoro. La mezzadria è durata tre secoli, e tre secoli lasciano il segno».
E allora come fare per rimettere al centro del racconto delle tante Italie la pianura? «Dovremmo raddrizzare le mappe. Un tempo il Po era un’autostrada: Petrarca scendeva il Po in barca. Per secoli i pellegrini passavano dal passo del Gran San Bernardo e dal Brennero, tagliavano la pianura da nord a sud, queste erano le direttrici. Poi la scelta dell’automobile ha cambiato tutto. Ha cambiato il paesaggio e la sua percezione: oggi tutti pensano la pianura come diagonale est-ovest, ma la pianura era verticale, e dunque per ridarle il suo vecchio ruolo andrebbero girate le carte geografiche».