Intervista con Ferdinando Scianna. La foto racconta

Ferdinando SciannaFerdinando SciannaPaola BergnaFerdinando Scianna

Dalle feste religiose in Sicilia alla grande moda, ai viaggi, a Henri Cartier-Bresson. Una vita spesa a scattare immagini iconiche e indimenticabili. Incontro con il maestro dell’obbiettivo che si confessa in un appassionante autoritratto. In parole

«Ho cominciato a fotografare diciamo “seriamente”, intorno ai diciassette anni e la Sicilia era là. Ho cominciato a fotografare perché la Sicilia era là. Per capirla e attraverso le fotografie cercare di capire, forse, che cosa significa essere siciliano». Incontriamo Ferdinando Scianna in un’imprevidibilmente luminosa mattinata a Milano, nel suo studio in piena Chinatown ma è subito alle origini che torna nel racconto. Sulla scrivania le copie fresche di stampa del suo 60esimo volume, Autoritratto di un fotografo (vedi a pag. 65) e inevitabilmente la conversazione ci porta con lui nella sua prima casa. Là dove tutto è cominciato sia biograficamente sia fotograficamente. Nato il 4 luglio del 1943 a Bagheria, sotto i bombardamenti, come gli racconta la madre, è in adolescenza che riceve in regalo la sua prima macchina fotografica dal padre: «Lui mi voleva ingegnere e invece ho trovato la fotografia». Scianna la definisce «un’ossessione che ti abita» quell’urgenza quotidiana di scattare e ritorna con la memoria a quel primo lavoro sulle feste religiose che gli cambierà la vita. «Avevo poco più di vent’anni e da tre continuavo a scattare foto a ogni festa religiosa che potevo. Da quel lavoro da dilettante nacque una mostra proprio nella mia Bagheria, nel 1963. Per un caso o per fortuna quella mostra la vide Leonardo Sciascia. Ci incontrammo, ne parlammo e diventammo amici. In fin dei conti fu lui a ‘inventarmi’ fotografo», racconta indicando proprio un ritratto di Sciascia da lui realizzato tempo dopo appeso alla parete. Il primo dei 60 libri di Scianna porta la firma proprio del grande scrittore siciliano. «Sono stato molto fortunato nella mia vita, ho capito presto qual era il mio scopo: volevo fotografare e scrivere. Innanzi tutto dell’Italia che stava cambiando così rapidamente. È difficile descrivere ai giovani di oggi che cosa hanno voluto dire alcune rivoluzioni, anche in casa, dai fornelli alla doccia. Ma era un momento molto interessante da raccontare». Per farlo si trasferisce a Milano poco dopo quella prima fortunata mostra. Entra nella squadra dell’Europeo e inizia a essere un professionista circondato da professionisti. Comincia a viaggiare in lungo e in largo per il mondo, in ogni situazione politica possibile, scattando tantissimo. Incontra quelli che definisce gli “amici maestri” come Henri Cartier-Bresson del quale si considera tutt’ora un allievo. «Fu lui a invitarmi a presentare la candidatura per entrare nell’agenzia Magnum, primo e unico italiano fino a quel momento, un bel fardello in quel predominio franco-anglo-americano! Per fortuna poi si sono aggiunti altri italiani di grande valore come Paolo Pellegrin e Alex Maioli...».

Con la chiusura dell’Europeo si trova a fare il free lance e sono altri due siciliani a segnare l’ennesima svolta nella sua intensa carriera: Domenico Dolce e Stefano Gabbana. «Erano stilisti giovani e misconosciuti. Io avevo pregiudizi nei confronti della fotografia di moda ma trovammo il modo di comunicare proprio perché loro erano alle prime armi e io mi cimentavo per la prima volta con una modella e dei vestiti. E poi eravamo siciliani». Il risultato sono i celeberrimi scatti con la modella Marpessa che lanciarono i due stilisti nel firmamento della moda mondiale e diedero a Scianna l’ennesima dimostrazione di sapere fare foto di qualsiasi cosa. «Non ho mai creduto agli specialisti. A me interessa raccontare quello che vedo, la bellezza che ci circonda e non nego di cercare un po’ di Sicilia ovunque nel mondo», racconta mentre si accende la pipa. «Durante i mesi di lockdown ho cercato di fare un po’ ordine nel mio archivio. Sono circa un milione e 200 mila scatti di cui un milione e 100 mila da buttare», impossibile non sbarrare gli occhi a un’affermazione così ma a Scianna piace provocare, «Il 90 per cento del mio archivio è analogico. Siamo riusciti a digitalizzare circa 50 mila scatti. È un lavoro immenso e io devo pensare anche ad altri libri sui quali sto lavorando. Non sono più veloce come un tempo!». Ridendo sotto i baffi ammette però di essere rimasto colpito da quante cose interessanti conserva il suo archivio e delle quali non si ricordava. «Il prossimo progetto è sulle foto di viaggio con alcuni miei testi dell’epoca. Il primo fu in Tunisia. Peccato non aver mai lavorato per il Touring, Berengo Gardin era un mio amico e lo incrociavo sempre mentre era in giro per voi. È che non mettevano la firma sui libri e io ce la volevo!». Il sole si è nascosto nella casa di ringhiera accanto ma Scianna ha voglia ancora di raccontare di Messico, di bellezza, di esotismo, di Sicilia. Tante storie, tanti progetti, tante foto che 60 libri non bastano davvero.

Foto di Ferdinando Scianna
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