Evergreen. Amministrare l'ambiente, anche in città

Anche dopo le elezioni amministrative l'impegno politico in tema ambientale sembra passare sempre in secondo piano. Un errore che non guarda al futuro

Molti italiani hanno appena scelto i loro sindaci e amministratori, ma hanno tenuto conto della più importante questione sul tappeto, cioè quella ambientale? A prima vista direi di no. Per prima cosa sembra che le aree metropolitane siano indipendenti dal contesto ambientale, fatte cioè soltanto di strade, palazzi e monumenti, tutt’al più qualche parco urbano, aiuole spartitraffico e alberelli in mezzo ai viali. Parliamo cioè di un verde addomesticato e indebolito dall’inquinamento. In questo quadro l’ambiente viene ridotto alla manutenzione dei giardini e alla potatura degli alberi, invece che spingere verso città sostenibili e resilienti. Prendiamo poi in esame la mobilità: nelle città del futuro non ci potrà essere più spazio per le auto private a combustione, ci potranno essere solo mezzi pubblici ecologici, auto elettriche condivise, biciclette e altra mobilità. Eppure, durante la campagna elettorale, qualcuno ha sostenuto che le piste ciclabili peggiorano il traffico veicolare e che le ZTL andrebbero eliminate perché invise ai commercianti che, invece, vedono aumentati i loro affari se la gente va solo a piedi (viene il dubbio che il loro scopo sia soltanto arrivare al proprio esercizio in auto). Comunque schiavi dell’auto privata, con grandi città come Roma che hanno la stessa velocità media di traffico veicolare di quando si andava con le carrozze. Pochi tram, poche metropolitane, pochissimi filobus.

Tematiche cruciali che però non trovano albergo presso nessun partito, tantomeno in uno ecologico: in Italia non c’è un partito o un movimento green degno di questo nome, così come, invece, si registra in Francia o, soprattutto, in Germania. Un’anomalia casareccia a fronte di una politica europea che vede i Verdi ormai nelle sale di comando anche locali. E le ragioni sono molteplici, dall’eccessiva politicizzazione alla incapacità di rendere auspicabile una transizione ecologica che, invece, viene vista come dolorosa e punitiva. Ma forse la principale è che in Italia queste tematiche sono viste come impositive e foriere di povertà e privazioni. Si ritiene, a torto o a ragione, che l’ambiente significhi dire no a tutto, salvo tipicamente essere portati comunque a dire no quando qualcun altro entra nel proprio giardino. La cartina di tornasole di questa lacuna ambientale è plasticamente rappresentata dal consumo di suolo e dalla bulimia costruttiva che ammala gli italiani. Nessuno ha mai preso provvedimenti “pesanti” in questo campo: nessun sindaco, in nessuna città d’Italia, ha mai veramente provato a ridurre a zero il consumo di suolo, la vera piaga nazionale, la catastrofe ambientale per cui va perduto un metro quadrato di territorio vergine ogni secondo. È anzi accaduto il contrario: tutti hanno continuato a concedere licenze per costruire, indurre condoni e non abbattere alcuna costruzione abusiva (pur essendo i sindaci i soli che hanno il potere di farlo). Eppure sappiamo che su ristrutturazioni e ricostruzioni il settore edile prospererebbe meglio che sul mattone nuovo, cioè guadagnandoci di più. Da noi l’ambiente non trova spazio neppure quando farebbe guadagnare.

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